Premessa
Il 19 gennaio verso le ore 8, 30 del mattino non era una bella giornata. C’era una pioggia debole e l’umidità, molto superiore all’ 80 % , penetrava nelle ossa. Comunque era previsto un graduale miglioramento con temperatura in aumento. Scendo dal treno che da Prato mi ha portato alla città con il desiderio di passare qualche ora in balia del caso e in attesa di entrare a Palazzo Strozzi verso le 10 e trenta per vedere la mostra dedicata al “ Cinquecento a Firenze ”. Esco dalla stazione e mi dirigo a caso dove il flusso dei pedoni era maggiore, osservando negozi, e ogni tanto la massa e i volti delle persone che mi riusciva inquadrare e mi accorgo dopo un po’ , fermandomi a un passaggio di auto, di vedere una facciata di una chiesa e decido di entrare. Siamo in Via Vecchietti e la chiesa è dedicata a Santa Maria Maggiore, e girando intorno alla chiesa da Via Cerretani si può notare tra le pietre della torre campanaria una misteriosa testa scolpita. E’ la “Berta”. E’ una testa pèietrificata e come sia finita lassù e un mistero. Ci sono diverse leggende ma probabilmente è un resto di una statua romana.
La chiesa esisteva, sia pure con una diversa struttura, forse già in epoca longobarda nell’VIII secolo ed è già documentata nel 931, quando un documento cita il vescovo Rambaldo quale affittuario di una terra e una casa prope ecclesiam Sancti Marie Majoris, prima dunque che venissero erette intorno alla città le mura matildine (1078), il cui tratto nord passava in corrispondenza di via de’ Cerretani. La seconda menzione documentaria, inequivocabile, risale comunque al 1021, mentre non è ritenuta storicamente fondata la leggenda che indica come fondatore della chiesa Papa Pelagio II nel 580. Nel 1176 divenne collegiata e fu una delle dodici antiche priorie, con tanto di Canonici. Nell’archivio capitolare sono conservati numerosi atti notarili dal 1107 al 1520, che in gran parte registrano doni e acquisti di terre e fabbricati. Da questi documenti si è potuto stimare la ricchezza della comunità legata alla chiesa come molto cospicua, tanto da ricevere il privilegio di essere posta sotto la diretta protezione papale da Lucio III nel 1183, con conferma di Urbano II nel 1186 (una condizione mantenuta anche nel secolo successivo). Passata ai cistercensi, venne ricostruita in forme gotiche nel XIII secolo, forse mantenendo in piedi le mura esterne e le volte originarie. La struttura cistercense è riconoscibile dalle tre navate divise da arcate a sesto acuto su pilastri quadrangolari, con tre absidiole a fondo piano. Non è dato sapere chi sia quel “maestro Buono” che, secondo il Vasari, avrebbe diretto i lavori di rinnovamento dell’edificio. Sempre il Vasari ricorda come Agnolo Gaddi avesse dipinto la pala per l’altare maggiore (una Incoronazione della Vergine circondata da angeli), mentre la Cappella maggiore conteneva gli affreschi di Spinello Aretino con Storie della Vergine e di Sant’Antonio Abate, dei quali sopravvive solo un frammento con la Strage degli Innocenti. Prima dentro la chiesa c’erano delle opere di Botticelli, di Masolino e Masaccio che ora sono altrove.
Non posso non ricordare gli anni dei miei studi liceali: Brunetto Latini era stato il maestro di Dante e Dante nella divina commedia lo ritrova nel
girone dei sodomiti.
Esco dalla chiesa e mi avvio verso altre stradine che da lontano mi fanno vedere il campanile di Giotto, attraverso Piazza dell’olio, mi affaccio su vicolo dei Cavallari ma poi entro in Via Pecori, attraverso Via degli Agli e mi ritrovo di fronte il Palazzo Antinori.
Qualche passo avvanti e c’è l’invito delle scalinate ad entrare nella Chiesa dei santi Michele e Gaetano. Le origini della chiesa, già dedicata all’arcangelo Michele e detta San Michele Bertelde, risalgono almeno all’XI secolo: Michele era infatti un santo protettore dei longobardi. Una prima documentazione sulla chiesa risale al 1055, quando veniva indicata tra i possedimenti della potente abbazia di Nonantola presso Modena. Il monastero aveva il patronato della chiesa, e la reggeva tramite un priore e alcuni canonici appartenenti al clero secolare. L’ultimo atto nonantolano che menzioni la giurisdizione è del 1290. Dopo essere stata curata dal clero regolare fiorentino, venne utilizzata dai monaci olivetani di San Miniato al Monte. All’epoca la chiesa contava un’unica navata, con il tipico orientamento verso est, ed aveva un’abitazione per i monaci ed un chiostro. Della chiesa primitiva, distrutta definitivamente nel 1640 quando la navata della nuova chiesa era completata, restano poche tracce: tre rilievi in marmo facenti forse parte del portale romanico, oggi nella Cappella Antinori e raffiguranti San Michele, San Pietro e San Miniato. Nel 1592 venne concessa ai Teatini, uno dei nuovi ordini protagonisti della Controriforma che affiancarono alla tradizionale dedica a San Michele quella del loro fondatore San Gaetano di Thiene, ma solo dopo la sua canonizzazione, il 12 aprile 1671 ad opera di Clemente X. Ci sono diverse cappelle con incredibili decorazioni e quadri.
Esco dalla chiesa , mezzo stordito. Fortunamente in Chiesa non c’era nessuno. Ho potuto fare anche un pò di meditazione. Sono le dieci e qualche minuto e mi avvio verso Palazzo Strozzi, sede della mostra. Ma rimango incantato da altri tre palazzi.
Forse qualcuno non sa
Alla fine del Cinquecento il palazzo pervenne alla famiglia Corsi. Il marchese Jacopo Corsi, che amava la musica, vi riunì la prima “Accademia di Musica” di Firenze: qui nacque il melodramma italiano con la prima rappresentazione de La favola di Dafne, su libretto di Ottavio Rinuccini, nel 1594, come ricorda anche una lapide posta su via dei Corsi. Dafne è in assoluto la prima composizione conosciuta, che secondo gli attuali standard, può essere considerata un’opera. Essa venne composta da Jacopo Peri, nel 1598, su di un libretto di Ottavio Rinuccini. Dafne venne eseguita da un piccolo ensemble strumentale costituito da un clavicembalo, un liuto, una viola, un arciliuto e tre flauti. Per la prima volta Peri realizzò una composizione costituita sul recitativo, declamazione di testo con accompagnamento musicale, come parte preponderante dell’opera. Il soggetto è incentrato sulla storia dell’amore fra il dio Apollo per la ninfa Dafne. I personaggi sono: Ovidio, Venere, Amore, Apollo, Dafne, Nunzio. Jacopo Peri scrisse Dafne per un ristretto numero di eruditi di Firenze, che facevano parte della Camerata de’ Bardi, attiva fra il 1594 ed il 1597, con il supporto e la collaborazione del musicista e mecenate Jacopo Corsi. Essa fu probabilmente rappresentata privatamente il 26 dicembre 1598 a Palazzo Tornabuoni
Finalmente a Palazzo Strozzi
Non mi va di parlare della mostra del “cinquecento a Firenze “ (maniera moderna e controriforma)” che chiude una trilogia di mostre dedicate al cinquecento. Questa mostra ha stimolato e ha fatto portare a termine 17 impegnativi restauri che hanno salvaguardato opere colossali e permesso di ammirare la bellezza nelle sue profondità, il sacro e il profano in tutto il suo splendore e di capire la “controrifoma” nell’arte. Appena sono entrato dopo aver fatto la scalinata del vecchio e maestoso palazzo mi sono trovato di fronte al “dio fluviale” di Michelangelo. Riporto solo tre grandi capolavori di 3 artisti diversi su un unico tema. La mostra sul cinquecento ha un suo fascino perché ci troviamo in un secolo rivoluzionario per la religione (riforma e controriforma) ma anche rivoluzionario per l’arte in evoluzione e per la complessità dell’artista che si muove nel sacro e nel profano con estrema libertà espressiva.
Riporto ” la deposizione” vista da 3 grandi artisti: Andrea del Sarto, Bronzino e Pontormo esposte in una maniera fortemente seduttiva e contemplativa. 3 menti eccezionali nella loro creatività e nella loro espressività molto personalizzata.
L’eterno ritorno
Quando cammino per un centro storico sembra che la mia vita si prolunga che non abbia la mia età ma l’età degli artisti che ho vissuto nel presente e mi vengono in mente alcune riflessioni di Umberto Eco e Nietzsche dell’ “ eterno ritorno”, inteso non come una condanna all’eterna coazione a ripetere ma come la conquista della realtà con l’identificazione di essere e divenire. In “ Così parlò Zarathustra “ Nietzsche scriveva: « ecco, tu [Zarathustra] sei il maestro dell’eterno ritorno [….] Vedi, noi sappiamo ciò che tu insegni: che tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e che noi siamo stati già, eterne volte, e tutte le cose con noi. Tu insegni che vi è un grande anno del divenire, un’immensità di anno grande: esso, come una clessidra, deve sempre di nuovo rovesciarsi, per potere sempre di nuovo scorrere, per potere sempre di nuovo scorrere e finire di scorrere. Søren Kierkegaard giustamente affermava: che “ La vita può essere capita solo tornando indietro; ma deve essere vissuta adndo avanti”. Una opera d’arte è una lettura dell’anima. Umberto Eco diceva: Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro.
Camminare a zonzo è l’unica vera libertà non solo per osservare uomini, oggetti e cose ma anche per scorpire se stessi, per conoscersi, per fantasticare, sognare, rivivere e ammirare, e per non partecipare alla corsa di un obiettivo, di un piano strategico, di un fine che poi si può rivelare nullità esistenziale. Sei libero di girare a destra o a sinistra, di fermarti, di guardare avanti e indietro. Non devi aver paura di una multa,di un divieto di sosta o di eccesso di velocità. Finalmente non è la tua mente che comanda, ma ti lasci andare guidato dai tuoi passi senza una meta; finalmente hai la capacità di accorgenti che i più grandi pensieri spesso sono concepiti mentre si cammina. Lasciarsi guidare dai propri passi, meglio ancora senza meta, conduce la mente in un altrove che diventa scoperta, ri-scoperta, conoscere, ri-conoscere.. Questo sguardo ti dà una visione diversa nell’osservare una via, una piazza, un quadro, un’immagine. Tu ascolti l’infinito, sei pronto a guardare oltre la siepe, al di là dell’orizzonte, e la storia può scorrere dentro di te come un mappamondo e hai la sensazione del particolare e dell’universale in una simbiosi dinamica e progressiva. Inoltre un cammino sciolto e curioso, libera l’animo dalla tristezza, dalla noia, dalla malinconia. Nel sentire il mondo in divenire, hai la percezione che anche qualcosa cambia dentro di te. Il viaggiatore più veloce è colui che va a piedi (Henry David Thoreau). Ricordati anche una cosa: quando le tue gambe sono stanche, cammina con il cuore (Paulo Coelho).