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Sviluppo Infantile

Inquinamento e salute nei bambini

Inquinamento ( indoor e outdoor) e salute
nei  bambini

 

L’inquinamento è un problema di notevole importanza per i bambini e questa sezione sara continuamente aggiornata.

Consiglio tre libri per coloro che vogliono approfondire i vari contenuti:

 

1.Inquinamento e salute dei bambini ( Toffol et al.  ) Il pensiero scientifico ed. 2010

2. Gestione dei rifiuti  e rischi per la salute (  Romizi R:, Burgio E. ) – Edizioni medico – scientifiche – 2009

3. Aria da morire  (  Mannucci – Fronte ) Dalai ed. 2013

 

L’inquinamento “indoor” ( ambienti chiusi e confinati) è dato da fumo di sigarette e altri agenti di natura chimica ( composti organici volatici, anidride carbonica, formaldeide, polveri), di natura fisica ( rumore, microclima, e radon) di natura biologica ( funghi, batteri, acrari, alghe) fino alla sindrome dell’edificio malato ( tipologia di materiali di rivestimento, vernici, arredi e mobili, materili di  pulizia, riscaldamento,vestiario ecc.)

L’inquinamento “outdoor”  è quello atmosferico  e indica tutti gli agenti fisici, chimici e biologici che modificano le caratteristiche naturali dell’aria  ( traffico veicolare, rifiuti tossici, rumori, diossina inquinamento da fumi, da fabbriche, da polveri ecc.)

 

 

da: www.puntosicuri.it

.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) hanno presentato una monografia dal titolo “Children’s health and environment: a review of evidence”, per sottolineare l’importanza di salvaguardare la salute dei bambini nei confronti delle minacce ambientali.

La pubblicazione, presentata in occasione dell’apertura di Green Week 2002 da parte del presidente della Commissione Europea Romano Prodi, “dimostra che i governi europei e le istituzioni possono collaborare per proteggere la salute dei bambini contro l’ambiente”, ha sottolineato il Direttore Regionale OMS Europa, Marc Danzon.

I bambini sono particolarmente esposti all’impatto dell’inquinamento ambientale, perché organismi in fase di crescita e sono molto vulnerabili nei confronti di agenti chimici.
Il contatto frequente con pavimenti e giocattoli legato al tipico gesto delle ”mani in bocca”, li espone facilmente al rischio di ingerire sostanze potenzialmente tossiche.

Il rapporto tra degrado ambientale e cattiva salute è molto forte e “i bambini sono a rischio di esposizione a più di 15.000 agenti chimici sintetici, quasi tutti sintetizzati negli ultimi 50 anni ed a una varietà di agenti fisici quali aria inquinata in locali chiusi e all’aperto, traffico stradale, cibo e acqua contaminati, palazzi non sicuri, contaminanti nei giocattoli, radiazioni e fumo passivo” ha specificato Domingo Jiménez-Beltran, Direttore esecutivo dell’EEA.

Dal momento che molte malattie in continua diffusione quali asma, incidenti, disordini neurologici, cancro, malattie trasmesse da acqua e cibo sembrano strettamente correlate a particolari fattori ambientali, Jiménez-Beltran ha anche sottolineato quanto sia fondamentale “una stretta collaborazione tra organizzazioni ambientali e sanitarie”, per tutelare efficacemente i bambini e il loro sviluppo.
 

Inquinamento e salute

Fonte: http://www.nonsoloaria.com/index.htm – Dottor Davide Compagni

L’inquinamento atmosferico comporta spesso numerose conseguenze a carico della salute, soprattutto nei casi in cui si verifichi un brusco innalzamento delle concentrazioni dei comuni contaminanti dell’aria (inquinamento acuto). In questi casi, l’aumentata esposizione a vari irritanti atmosferici provoca la riduzione della funzionalità polmonare, l’aumento delle malattie respiratorie nei bambini, gli attacchi acuti di bronchite e l’aggravamento dei quadri di asma; il tutto comporta un forte incremento nel numero dei decessi fra le persone più sensibili a determinati inquinanti, come gli anziani o le persone affette da malattie respiratorie e cardiovascolari.
L’effetto dell’inquinamento a bassi livelli e per lungo tempo risulta invece più subdolo e difficile da individuare. Si presume che provochi a breve termine disagio, irritazione, tossicità specifica, affezioni respiratorie acute e, in rari casi, mortalità, soprattutto fra gli anziani affetti da patologie croniche cardiovascolari o respiratorie. Gli effetti a lungo termine causati da una esposizione ad inquinanti presenti a concentrazioni relativamente basse non sono ancora completamente chiari; in ogni caso si ritiene che fra i vari effetti vi sia la comparsa di malattie polmonari croniche aspecifiche (come la bronchite cronica, l’asma e l’enfisema), la formazione di varie neoplasie maligne (cancro polmonare, leucemie) ed un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari e respiratorie.
 
GLOSSARIO AGENTI NOCIVI ALLA SALUTE
 
Agenti Cancerogeni: agente o processo che aumenta significativamente l’incidenza di neoplasie, indipendentemente dal meccanismo di azione. Gli agenti cancerogeni si distinguono in genotossici e non-genotossici.
I cancerogeni genotossici sono agenti che significativamente aumentano l’incidenza di tumori in una popolazione e hanno l’abilità di alterare l’informazione genetica.
I cancerogeni non-genotossici (ad azione epigenetica) sono agenti che aumentano significativamente la frequenza di tumori in una popolazione ma non hanno l’abilità di alterare l’informazione genetica.
Sulla base della potenziale cancerogenicità delle sostanze sono state fatte numerose classificazioni.
L’Unione Europea distingue tre diverse categorie: alla prima appartengono le sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo; alla seconda quelle che devono essere assimilate ai cancerogeni umani sulla base degli studi condotti sugli animali; alla terza appartengono quelle per le quali gli studi hanno dato risultati preoccupanti, ma non sufficienti ad iscriverle alla seconda categoria.
Il Centro Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) adotta invece la seguente classificazione:
Gruppo 1 : l’agente è sicuramente cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 2A : l’agente è probabilmente cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 2B : l’agente è un possibile cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 3 : l’agente non può essere classificato come cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 4 : l’agente è probabilmente non cancerogeno per l’essere umano.
 
Agenti Mutageni: agente o processo che aumenta la frequenza di mutazioni in una popolazione di cellule o di individui. Gli agenti mutageni si distinguono in mutageni diretti e indiretti.
Mutageni diretti: agenti chimici o fisici che interagiscono direttamente con il DNA modificandolo.
Mutageni indiretti: agenti chimici che non interagiscono direttamente con il DNA, ma attraverso la produzione di radicali reattivi o la interazione con la sintesi, replicazione o mantenimento della sua struttura.
 
Agenti Teratogeni: agente che interferisce con il normale sviluppo dell’embrione. Fra le sostanze teratogene riconosciute o sospette che si possono trovare nell’ambiente vi sono le diossine, il mercurio ed il fumo di sigaretta.
 
Allergeni: Gli allergeni sono gli agenti che causano le allergie. Di varia natura, sono sostanze innocue per le persone normali ma determinano sintomi specifici soprattutto a carico della pelle e dell’apparato respiratorio nelle persone divenute ad esse ipersensibili.
La reazione dell’organismo a queste sostanze è scatenata dal sistema immunitario ed è dovuta alla produzione di particolari anticorpi.
Le allergie si possono manifestare in maniera molto diversa a seconda della loro gravità ed in alcuni casi determinano l’insorgenza dell’asma, dell’orticaria, delle polmoniti da ipersensibilità e degli shock anafilattici. Gli allergeni aerodispersi si possono suddividere in quattro diverse categorie a seconda della loro origine.
Gli allergeni di origine animale sono, per lo più, le parti del corpo e gli escrementi di acari ed insetti, ed anche le piume e i frammenti dell’epidermide dei mammiferi.
Gli allergeni di origine vegetale sono quelli più conosciuti: il polline, le fibre tessili, il pulviscolo di legno e di caffè, i residui delle gomme, gli oli, gli aromi e i profumi. In genere si fanno rientrare in questa categoria anche le spore dei funghi e delle muffe, anche se questi organismi non sono propriamente dei vegetali.
Gli allergeni di origine chimica sono diffusi per lo più negli ambienti chiusi, specialmente nei luoghi di lavoro. In questa categoria rientrano i sali metallici, le resine epossidiche, i residui dei medicinali, gli enzimi, il fumo di tabacco, ecc.
Gli allergeni metallici e minerali vanno a costituire gran parte delle polveri aerodisperse. In ambito professionale sono relativamente diffuse le allergie alla polvere di gesso, di asfalto, di cemento, di nichel, ecc.
 
Agenti nocivi all’apparato respiratorio: Il principale apparato da prendere in considerazione quando si ha a che fare con gli inquinanti dell’aria è il sistema respiratorio. Questo apparato può divenire il bersaglio di una quantità innumerevole di sostanze tossiche oppure può fungere da punto di entrata per tutti quegli agenti che, venendo a contatto col sangue, si diffondono poi nel resto del corpo.
Il tratto respiratorio è tradizionalmente suddiviso in una parte superiore ed in una inferiore. Quella superiore è composta dalla regione nasale, dalla faringe e dalla trachea e serve a riscaldare, inumidire e ripulire l’aria che viene condotta nei polmoni.
I bronchi, i bronchioli e gli alveoli costituiscono il tratto inferiore (o polmoni) dove avviene lo scambio dei gas con il sangue. La forza motrice della respirazione è data dal diaframma, un esteso muscolo che si estende sopra la cavità addominale alla base dei polmoni. Per questo motivo, ogni tossina che agisce negativamente sull’azione del sistema muscolare può avere anche un effetto nocivo sull’apparato respiratorio.
Il particolato aerodisperso penetra abbastanza difficilmente all’interno dei polmoni, in quanto esiste tutta una serie di mezzi anatomici e funzionali che ostacola l’accesso delle polveri.
Al contrario i gas ed i vapori penetrano molto più speditamente nell’organismo ed i composti tossici inalati vengono spesso assorbiti, anche se con modalità diverse per quanto riguarda la quantità ed il punto di assorbimento. Un gas molto solubile in acqua viene assorbito facilmente già nel tratto superiore del sistema respiratorio: può finire nel muco oppure passare attraverso lo strato epiteliale e penetrare così all’interno del corpo. I gas meno solubili, invece, vengono più che altro trasportati nel tratto più profondo dell’apparato respiratorio fino agli alveoli dove l’assorbimento dipende prevalentemente dalle pressioni parziali dei gas nell’aria inspirata.
Gli effetti tossici a carico del sistema respiratorio sono molto vari e possono spaziare da una semplice irritazione e costrizione dei passaggi dell’aria, alla fibrosi polmonare (cambiamenti nella composizione e nel tipo cellulare), all’edema (un’eccessiva ritenzione di fluidi), al cancro.
Da notare che gli effetti irritanti sono solitamente reversibili, comunque l’esposizione cronica ad un irritante può comportare l’insorgenza di un danno permanente a livello cellulare.
L’azione dei composti tossici può quindi variare da un comune senso di malessere e di oppressione al petto, all’anossia, alla tosse cronica, ecc.; in alcuni casi vi può essere la morte.
L’amianto e l’arsenico sono due agenti tossici che rappresentano anche le più comuni cause del cancro ai polmoni.
 
Agenti nocivi al sistema nervoso: Neurotossiche sono tutte quelle sostanze nocive che hanno come organo bersaglio il sistema nervoso.
Gli effetti tossici sul sistema nervoso comprendono principalmente l’alterazione del bilanciamento ionico, l’interferenza con i neurotramettitori chimici o con i loro recettori e l’anossia, cioè la mancanza di ossigeno a livello cellulare. Le cellule nervose hanno infatti un’elevata velocità metabolica e per questo richiedono un maggiore apporto di ossigeno rispetto alle altre cellule del corpo. Dato che un apporto adeguato di ossigeno è essenziale per l’appropriato funzionamento del cervello, ogni sostanza che compromette il flusso del sangue al cervello può causare dei seri danni.
Quindi la tossicità si può manifestare sia a livello generale del cervello, ma anche sulle singole fibre nervose, sulle guaine mieliniche, ecc.
Il piombo è una classica neurotossina, da molto tempo conosciuta per i suoi effetti deleteri. L’estrema pericolosità del piombo si può attribuire in parte ai suoi diversi meccanismi di azione. Può infatti colpire il sistema neuronale danneggiando gli assoni, distruggendo la guaina mielinica ed anche interferendo con i neurotrasmettitori chimici nelle sinapsi. Anche gli insetticidi organofosfati interferiscono con la funzione dei neurotrasmettitori chimici all’interno del sistema nervoso, spesso causando debolezza e paralisi, qualche volta anche la morte.
Altri composti neurotossici diffusi sono l’acrilamide, l’endrin, il dieldrin ed alcune forme di mercurio.
 
Agenti nocivi al fegato: All’interno del corpo umano il fegato svolge un ruolo di fondamentale importanza: rappresenta il punto principale nel quale avviene la biotrasformazione delle sostanze, cioè il loro metabolismo. Questo organo agisce in modo da modificare chimicamente i nutrienti, gli ormoni, i componenti del sangue oramai invecchiati ed anche le sostanze estranee, al fine di ottemperare a vari processi di estrema importanza come il nutrimento, l’immagazzinamento di vitamine e nutrienti, la detossificazione e l’escrezione.
Il fegato svolge un’azione detossificante nei confronti della maggior parte delle sostanze tossiche, anche se in alcuni casi la sua azione metabolica può rivelarsi dannosa. In effetti la sua azione è anche in grado di modificare la struttura delle sostanze pericolose trasformandole in sostanze tossiche e causando così un danno più o meno grave.
Il tetracloruro di carbonio (anche chiamato CFC-10) è probabilmente l’epatotossina più conosciuta e non è tossico per il fegato nella sua forma non metabolizzata. Questa sostanza è una di quelle la cui tossicità viene incrementata dal fegato piuttosto che diminuita. Da notare che gli effetti tossici del CFC-10 vengono accresciuti da una preliminare assunzione di bevande alcoliche.
Altre comuni epatotossine sono il berillio, il cloroformio, il tricloroetilene ed il cloruro di vinile.
L’azione finale delle tossine nel fegato può condurre alla loro accumulazione nel tessuto grasso, all’itterizia, alla morte cellulare (apoptosi), alla cirrosi ed al cancro. Oltre a questo, le sostanze che incrementano o diminuiscono i livelli degli enzimi metabolici nel fegato possono influire sulla tossicità di molti altri composti alterando il loro metabolismo.
 
Agenti nocivi alla riproduzione: Gli inquinanti tossici dell’aria possono causare molte disfunzioni riproduttive diverse.
Vari inquinanti possono determinare una diminuzione della fertilità sia ai danni dell’apparato maschile che di quello femminile. Molti studi scientifici hanno evidenziato che certi idrocarburi policiclici aromatici esercitano un’azione tossica diretta nei confronti degli ovociti. L’esposizione a queste sostanze può addirittura causare una sterilità permanente.
E’ possibile che l’esposizione a determinati composti provochi un’alterazione della normale attività ormonale compromettendo la stessa fecondazione oppure lo sviluppo dell’ovulo fecondato diminuendo così le possibilità di sopravvivenza dell’embrione.
La pericolosità di queste sostanze è tanto maggiore quanto minori sono i disturbi o i malesseri immediati che si manifestano a carico delle persone che ne subiscono l’esposizione.
In effetti, una persona che entra in contatto con una sostanza che colpisce il sistema riproduttivo, spesso si rende conto della gravità della situazione solamente una volta effettuato un controllo della propria fertilità oppure sulla base dei danni che si manifestano nella prole.
Alcuni agenti tossici alterando lo sviluppo embrionale possono comportarsi da potenti teratogeni causando delle anomalie fisiche ai figli oppure determinando un ritardo della loro crescita fisica o mentale o vari effetti tossici a carico di organi specifici. Non sono da escludere nemmeno alterazioni dello sviluppo degli organi sessuali e la definitiva compromissione delle capacità riproduttive dei figli.
Da notare che i bambini possono entrare in contatto con queste sostanze tossiche anche attraverso il latte materno, per cui l’esposizione a questi agenti è assolutamente da evitare anche nel periodo dell’allattamento naturale e non solo durante la gestazione.

Fonte: http://www.nonsoloaria.com/index.htm – Dottor Davide Compagnin

Inquinamento e bambini

da: M.L. Rabbone A. Biolchini , M.G. De Gaspari, A.Nova Milano, 11 febbraio 2012
Perche parlarne …

WHO EUROPE,5 CONFERENZA MINISTERIELE SULL’ AMBIENTE E LA SALUTE,PARMA 2010

1.    IL 23% DI MORTI NEL MONDO E’ PER FATTORI AMBIENTALI, IL
33% DEI BAMBINI SOTTO I 5 ANNI SOFFRE DI PATOLOGIE
2.    LEGATE ALL’AMBIENTE.
IN EUROPA LA MORTALITA’ INFANTILE DA PATOLOGIE
3.    RESPIRATORIE E’ DEL 12% FINO AL 25% PER MALATI DI
ASMA ,ALLERGIE ED ADOLESCENTI.
4.    IN EUROPA 1% DELLA MORTALITA’ INFANTILE E’
ATTRIBUIBILE ALL’ESPOSIZIONE AD ARIA INQUINATA.
5.    6.4% DELLE MORTI PER TUTTE LE CAUSE TRA 0 E 4 ANNI DI
ETA’ E’ DOVUTO AD INQUINAMENTO ATMOSFERICO
6.    NEGLI ULTIMI 30 ANNI LA PREVALENZA DELL’ASMA NEL
BAMBINO E’ PASSATA DAL 3% AL 10 %.

Inquinanti aria esterna (outdoor)
 Nell’aria esterna sostanze diverse in relazione al
tipo di emissioni, alle condizioni geografiche
climatiche ed atmosferiche costituiscono insiemi
di inquinanti che interagiscono.
Gli esiti sulla salute sono determinati da
miscele di molecole e composti che agiscono
contemporaneamente ,con effetto sinergico e
nel tempo.
 Effetto mortalità non e’ diretto ma per un
insieme di fattori su soggetti vulnerabili
(bambini, anziani, malati cronici)

Inquinanti dell’aria
principali indicatori
MISA-2 , ARPA Toscana

•    SO2 –   (    Biossido zolfo o Anidride solforosa ) combustione (carbone, gasolio, nafta) – impianti termici
•    NO  (Ossido azoto )    traffico veicolare (DIESEL) – impianti termici
•    O3  (Ozono )    da NO2 e da VOC + energia fotolitica solare – traffico
•    CO – (Ossido carbonio)  traffico veicolare ( intenso e lento )
•    PM – ( Particolato ) traffico veicolare ( scarico, risospensione –
 industria – impianti termici
VOC  ( Composti organici volatili ) traffico veicolare (BENZINA) benzene – industria
IPA (Idrocarburi policiclici aromatici ) –  traffico veicolare (DIESEL,BENZINA) benzo-a-pirene

Il black carbon : nuovo indicatore di
inquinamento da traffico
Particelle black carbon (carbone elementare) o
particolato carbonioso
• Polveri ultra fini < 0,1 micron (polveri “fresche”)
• Emesse dagli scarichi dei veicoli e per combustione
sostanze organiche
• Parte piu’ pericolosa del PM10,rappresentativo degli IPA
• Penetrano nel polmone e nel sangue
• Elevata variabilità spaziale (vicino alla sorgente)
• Dispersione esponenziale nel raggio di 300-500 metri
BC : marcatore di “ prossimità ” da traffico
G.Invernizzi, Atmospheric Environment,2011

Composti organici volatili (VOC)
ARPA EMILIA ROMAGNA – Atmosfera aria e inquinamento
Sostanze Idrocarburi
– semplici: carbonio e idrogeno
– piu complessi: azoto e/o ossigeno e/o cloro
Fonti traffico veicolare
industria: vernici, materie plastiche
Reazioni implicati in processi fotochimici
reagiscono con NOx e O3 producendo radicali
liberi diversi
Effetti
sulla
salute
legati alla elevata liposolubilita
flogosi polmonare
Cancerogenicita (benzene )
Più tossici se veicolati al polmone da pulviscolo

Benzene C6H6
ARPAV – area tecnico scientifica
Fonti traffico veicolare (responsabile dell’80%) ciclo
della benzina (raffinazione,distribuzione)
Esposizione la guida di autoveicoli comporta esposizioni
superiori di 3 – 4 volte
Effetti tossici acuti SNC (cefalea nausea vertigini) miocardio
Effetti da esposizione cronica sostanza cancerogena di classe I (leucemia)
Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro
(IARC): evidenza per l’uomo“sufficiente”

Vulnerabilità dell’età evolutiva
• Sviluppo del polmone
– finestra di maggior suscettibilita dalla nascita ai 5 – 6 anni: e’ un
organo in via di sviluppo
• Maggior esposizione
– per unita di peso i bambini inalano un volume d’aria doppio
dell’adulto e respirano a bocca aperta
– passano piu tempo all’ aria aperta e svolgono maggior attivita’
fisica
– sono bassi, piu vicini alle fonti di emissione sulla strada
– sono piccoli,inconsapevoli
– presentano immaturita’ metabolica ed immunologica
Selevan SG Environ Health Perspect. 2000
US Environmental Protection Agency (1997),
National Research Council (1993) e Gephart et al. (1994).

Esiti per lunghe esposizioni
ad elevate concentrazioni di inquinanti
Abitare vicino a strade con intenso traffico
(traffico pesante) si associa a :
• minor sviluppo del polmone
• maggior sensibilizzazione allergica
• maggior numero di infezioni respiratorie
• maggior sviluppo di broncospasmo
• maggiori riacutizzazioni di sintomi negli asmatici

Tumori infantili e inquinamento
• Possibile associazione tra leucemia infantile ed inquinamento da
traffico (incrementi di rischio modesti ma su larghi strati della
popolazione).
• Maggiore correlazione tra leucemia ed esposizione al benzene
(evidenza 1)
• Possibile effetto mutageno del particolato ultrafine .
(passa la placenta)
Mutazioni : stocastiche (casuali ) o prodotto di uno stress
epigenetico prolungato che si trasforma in danno genetico
anche per esposizione parentale
J.Epid.Community Health 2005 ;
Ann.Ist super.sanità,2000;
Carcinogenesis,2008 ;
Burgio E., Comunicazione personale, 2011

AZIONI raccomandate
per ridurre l’esposizione dei bambini
agli inquinanti dell’aria
• Usare di piu i mezzi pubblici e la bicicletta
• Camminare di piu a piedi con i bambini scegliendo orari e luoghi di
minor traffico.
• Andare a scuola in modo autonomo: “pedibus”, piste ciclabili, percorsi
controllati e chiusi al traffico in vicinanza delle scuole.
• Evitare di svolgere attivita fisica all’aperto nelle ore piu calde in
estate e nelle ore piu’ fredde in inverno.
• Collaborare con gli enti preposti perche il piano traffico tenga conto
delle esigenze dei bambini.
• Scegliere l’auto nuova tra quelle che piu rispettano l’ambiente , tenere
conto che chi usa l’auto inala parte delle proprie emissioni.
• Preferire parcheggi sotterranei, non sostare con il motore acceso.
• Costruire scuole e case lontano da zone di traffico intenso e/o con
molte di fabbriche.

Detergenti inquinano la nostra casa  e il nostro ambiente,  possono essere  tossici
e causare danni  alla salute.            impariamo a  usarli meno  e meglio

Le azioni proposte

•    Fare a meno di prodotti inutili, usare pochi prodotti per diverse pulizie.

•    Utilizzare spruzzino con acqua e aceto (di mele ha meno odore),
ottimo come sgrassatore e anticalcare.

•    Utilizzare panni di microfibra, permettono di ridurre la quantità
di detersivo utilizzata.

•    Utilizzare acqua calda e TEMPO. Lasciare agire i detersivi permette
un risultato migliore con meno prodotto.

•    Usare i guanti, qualsiasi sostanza passa attraverso la pelle e viene
assorbita dal nostro organismo.

•    Scegliere là dove possibile detergenti biologici altamente biodegradabili,
sono meno tossici e hanno un minor impatto sull’ambiente.

•    Rispettare o anche ridurre le dosi consigliate, spesso si ottengono
risultati analoghi e si risparmia!

•    Utilizzare prodotti concentrati e ricariche, durano più a lungo
e si producono meno rifiuti

L’aria di casa…può essere migliore!
Lo sai che  l’esposizione  indoor  ad agenti tossici  risulta  da 10 a 50 volte
superiore rispetto a quella  outdoor?

Le azioni proposte
✖
non sprecare l’acqua, l’energia, il cibo
✖
aver cura dell’ambiente intorno a noi,
in casa e fuori
✖
promuovere un’alimentazione sana
a base di prodotti effettivamente biologici
✖
privilegiare la mobilità a piedi,
in bicicletta, con i mezzi pubblici
✖
privilegiare i beni prodotti nel rispetto
dei diritti umani
✖
sostenere il diritto all’educazione,
alla salute e ad ambienti vivibili
per i bambini che ne sono esclusi
✖
promuovere la conoscenza tra bambini
e ragazzi di diverse nazionalità
✖
educare a relazioni basate
sulla comunicazione e la non violenza

Si definisce inquinamento indoor
da: http://www.inquinamentoindoor.info/

“la presenza nell’aria di ambienti confinati di contaminanti fisici, chimici e biologici
non presenti naturalmente nell’aria esterna di sistemi ecologici di elevata qualità”
(Ministero dell’ambiente)
I fattori di inquinamento per uno spazio confinato sono:
l’ambiente esterno con le sue concentrazioni inquinanti, i materiali da costruzione, i mobili, gli arredi, gli odori generati dalla cottura dei cibi, dai detersivi, dai saponi, dai profumi, gli animali domestici, la polvere e quant’altro, dall’unione di tutti questi fattori il risultato è scontato e non certo salubre, la scarsa ventilazione e l’inadeguato o impossibilitato ricambio d’aria fanno il resto.
L ’ uomo trascorre la quasi totalità delle 24 ore (80-90%)
all’interno di edifici, respirando circa 22.000 volte ogni 24 ore.
E’ di fondamentale importanza considerare la qualita’ dell’aria indoor come principio per la salute.
La composizione dell’atmosfera all’interno degli edifici è fondamentalmente simile a quella esterna.
Si differenziano tra loro le quantità e i tipi di contaminanti, agli agenti inquinanti presenti all’ esterno, si consideri una serie di agenti
inquinanti le cui fonti sono presenti all’interno degli edifici.
Le fonti principali di contaminanti indoor sono:
·    i materiali da costruzione
·    gli impianti di riscaldamento, condizionamento e cottura dei cibi etc.
·    gli arredi
·    i rivestimenti (pitture murali, vernici, pavimenti etc.)
·    prodotti per la manutenzione e la pulizia (detersivi, insetticidi etc.)
·    l’utilizzo degli spazi ed il tipo di attività che vi si svolge.
A quanto indicato, e’ considerato importante, la tossicità di ogni singoloinquinante che e’ spesso “amplificata” dall’ associazione
chimico/fisica con altre sostanze e/o agenti inquinanti.
Le piu’ comuni sostanze rilevate, sono: le polveri, il fumo di sigaretta e i vapori generati dalla cottura dei cibi.
Il rischio per la salute e’ dato dalla concentrazione (quantità per m3) e dal tempo di permanenza nell’ambiente.
Gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute umana sono molteplici in quanto, uno studio ha identificato che, gli agenti inquinanti,
condizioni di reazione chimico/fisica, stress psicofisico, mutazione del clima esterno e discomfort climatico, sono responsabili del
disturbo della salute.
E’ da considerare importante, che ogni individuo reagisce in modo indipendente alle stesse condizioni.
E’ improbabile valutare il rischio singolo all’ esposizione, in quanto la pericolosita’ degli agenti inquinanti e’ data dal tempo di
esposizione, dalla composizione chimica e dalla loro combinazione miscelazione.

Le azioni preventive
Ridurre l’utilizzo dell’ automobile, ridurre il riscaldamento domestico

Non fumare
Arieggiare le abitazioni
Ridurre l’uso di prodotti per la pulizia e di pesticidi.

Inquinamento dell’aria
( approfondimento)
 
Da: http://www.savetheworld.it/

L’inquinamento atmosferico è determinato dalla presenza, nell’aria che respiriamo, di sostanze che possono
avere effetti significativi sulla vegetazione, sugli animali, sull’uomo o sui diversi materiali presenti sul pianeta.
Queste sostanze inquinanti spesso possono essere classificate in sostanze di origine antropica (prodotti dal’uomo)
e naturali; ancora possiamo trovare inquinanti primari (non hanno bisogno di reazioni chimiche per manifestare
i loro effetti) e secondari che inquinano grazie a reazioni chimico-fisiche. Con un ulteriore classificazione collochiamo
inquinanti outdoor (esterni) come lo smog che invade le nostre città ed inquinanti indoor (interni) ovvero
quelli all’interno di edifici o luoghi chiusi che, come vedremo, i cui effetti non sono da ritenersi secondari.       
Inquinanti outdoor – Negli ultimi secoli la mano dell’uomo è stata fondamentale per l’evoluzione
della nostra civiltà attuale grazie ai notevoli passi in avanti in ambito scientifico e tecnologico.
 Questo progresso non è stato però accompagnato dal controllo degli effetti sull’impatto ambientale
 o comunque i provvedimenti in merito si sono rivelati non sufficienti. Tutto questo, quindi, unito
 all’enorme incremento demografico (nelle grandi metropoli in particolare) rende la problematica
 particolarmente preoccupante in quanto è a duro rischio l’incolumità dell’uomo e dell’ambiente.
 Il contributo maggiore di inquinamento di origine antropica è quello prodotto per soddisfare esigenze
alimentari, civili ed industriali. In particolari le grandi sorgenti in questione sono ovviamente
le industrie di produzione e trasformazione che sono strettamente legate all’uso incontrollato di
 combustibili fossili (oli pesanti in particolare; classico esempio il petrolio). Anche le piccole
fonti di inquinamento domestico (impianti di riscaldamento) e il traffico veicolare non sono
da sottovalutare soprattutto nelle città più trafficate, dove in alcune delle quali gli ecologisti
hanno riscontrato dati piuttosto allarmanti. Ci sono anche Paesi dove la situazione è ancora
più catastrofica: come accade in alcuni Paesi asiatici dove non ci sono vere e proprie limitazioni
governative per quanto riguarda l’emissione atmosferica di sostanze inquinanti ai fini di incentivare
l’industrializzazione (ancor più stimolata dalla manodopera a basso costo); in diversi
Paesi, ancora, vengono utilizzati, in maniera legalmente riconosciuta, combustibili con concentrato
di piombo (quella che chiamavamo benzina rossa) e l’uso incontrollato di tale sostanza potrebbe
 costituire l’80% dei concentrati atmosferici. Le piccole sorgenti risulterebbero meno dannose ma
 in realtà non è così, poiché mentre i “grandi inquinatori” sono solitamente lontani delle aree
 densamente abitate e le sostanze vengono liberate a quote significativamente alte, le piccole
 fonti invece sono riscontrabili proprio in aree urbanizzate le cui emissioni avvengono a
 basse altezze o al livello del suolo addirittura. Pertanto è importante quest’aspetto ai fini
dell’analisi del problema: per salvaguardare l’incolumità pubblica è opportuno ridimensionare
soprattutto le piccole fonti di inquinamento. Per quanto concerne gli inquinanti primari, essi
 dopo essere stati diffusi possono subire trasformazioni chimico-fisiche portando alla formazione
di inquinanti secondari, spesso di gran lunga più nocivi dei primi. Basta pensare a quello che viene
 chiamato smog fotochimico, forse la forma più grave di inquinamento che minaccia l’ecosistema.
Per quanto detto, è fondamentale conoscere gli inquinanti primari in modo da intervenire per limitarne
 le cause non solo regolando le emissioni ma anche acquisendo informazioni relative ai fenomeni
meteorologici delle aree di interesse.        
 
Di solito si associa all’inquinamento la responsabilità umana: non sempre è così! Le fonti naturali di inquinamento sono a volte più temibili di quelle di origine antropica. E’ chiaro però che ben poco può essere fatto per limitare i danni dovuti alle sostanze naturali e per tale motivo si concentra di più l’attenzione sull’inquinamento di origine umana, anche perché le emissioni naturali avvengono in un arco temporale decisamente modesto (es. fulmini). Ma come sempre non mancano le eccezioni: un esempio è quanto avvenne a seguito dell’esplosione del vulcano di Saint Helens (1980) i cui effetti si protrassero per diversi mesi dopo l’eruzione (come sappiamo, quasi tutte le eruzioni vulcaniche provocano nubi tossiche che possono portare conseguenze anche di medio-lungo termine); un altro esempio ancora sono le polveri del Sahara che grazie all’azione eolica possono addirittura raggiungere Paesi come la Gran Bretagna; anche la flora da il suo contributo al riguardo, poiché tutti ormai siamo a conoscenza degli effetti allergici dei pollini. Nella foto a sinistra è rappresentata l’eruzione del vulcano di Saint Helens avvenuta nel 1980 (fonte: associazionecrocedelsud.com).    
       

Fino a pochi anni fa si credeva che il Monte St.Helens, un vulcano situato nello stato di Washington,
fosse ormai inattivo da più di 20.000 anni. La caratteristica di questo vulcano, in modo analogo al Vesuvio,
è quella di essere esplosivo. Il 18 Maggio di 30 anni fa circa, un terremoto di magnitudo 5.2 “risvegliò”
il vulcano. Successivamente al distaccamento di un fianco del monte, un’esplosione provocò una nube
incandescente devastando tutto e tutti nel raggio di circa 200 Km. 70 persone morirono e i
 danni causati ammontarono a circa 3 miliardi di dollari.        
 
 
Inquinanti indoor – In precedenza abbiamo già accennato cosa si intende per inquinamento indoor, distinguendolo da quello outdoor. Ora è doveroso puntualizzare che nella categoria indoor sono esclusi gli ambienti industriali poiché l’inquinamento relativo a essi varia a seconda del settore in cui operano i soggetti all’interno dello stabilimento. Negli ultimi anni si sta prestando particolare attenzione agli inquinanti indoor, considerando anche che ormai nei Paesi sviluppati, le persone vi trascorrono il 90% della giornata e quindi ciò ha richiesto l’intervento delle autorità governative con controlli e azioni legislative.L’esempio più comune e forse quello più fastidioso è dato dalla presenza di fumatori. Noti enti di ricerca hanno ufficialmente dichiarato che il fumo di tabacco comporta gravissimi effetti cancerogeni sia nel caso in cui viene aspirato direttamente sia nel caso di aspirazione passiva (o meglio fumo passivo). Gli effetti dannosi di quest’ultimo colpiscono soprattutto anziani, soggetti deboli, donne incinte ed infanti in quanto proprio questi possono essere vittime di acute malattie respiratorie e in alcuni casi di morti improvvise (SIDS). Pertanto data l’insostenibile entità dei danni provocati dai fumatori, è facile convincersi che la sola via per salvaguardare l’incolumità personale ed altrui è l’eliminazione totale di questi reagenti.    
                 
              
    
       
Anche l’amianto manifesta la sua pericolosità negli ambienti indoor: una fibra minerale che è stata
largamente impiegata nel passato per realizzare ad esempio pannelli isolanti per abitazioni.
 Purtroppo è scientificamente provata l’elevata minaccia di questo materiale in quanto cancerogeno, ma esso
risulta però innocuo se non disperde fibre nell’aria. Qualora si abbia, in ogni caso, amianto in casa è
opportuno ricorrere a ditte specializzate per la sua rimozione poiché una manovra non corretta incrementa
notevolmente il rischio di esposizione. Un’ulteriore minaccia in tali circostanze è dovuta ai batteri, ossia
microrganismi viventi diffusissimi in tutti gli ambienti e possono essere sia “buoni” (innocui) che “cattivi”
 (portatori di varie patologie). I luoghi di diffusione e trasmissione di questi ultimi sono quelli più affollati
(come scuole, uffici, caserme, mezzi pubblici, ecc.), in quanto la via preferenziale di questi organismi è
quella aerea. Per stroncare al nascere tale fenomeno, risulta indispensabile pulire periodicamente
gli impianti di ventilazione e climatizzazione perché spesso è proprio lì che si annidano i batteri più pericolosi,
 come la “Legionella” che una volta introdotto nell’apparato respiratorio può essere causa di malattie mortali!
Quindi, per tutelare la salute dei soggetti coinvolti negli ambienti indoor, è sicuramente consigliabile favorire
il ricambio d’aria in maniera abbastanza frequente e oltre ad essere efficace è sicuramente un rimedio semplice,
pratico e non comporta alcun costo economico!     
       
 
Effetti sull’uomo e sull’ambiente – Molti sostengono che gli effetti dell’inquinamento atmosferico
sull’uomo riguardano solo la salute in senso stretto (come disfunzionalità polmonari, malattie respiratorie
e/o cardiovascolari, asma bronchiale ecc.): si sbagliano! Ci sono anche malattie che mettono stato d’ansia e
paura catalogabili come malattie psicopatiche e maniacali attribuibili alla forma di inquinamento in questione,
anche se l’intuito porterebbe a smentire questa constatazione! Per quanto concerne l’ambiente, oramai
 i fatti parlano più delle parole! Il gravissimo disagio ambientale non solo riguarda le Nazioni industrializzate
con quello che abbiamo definito smog fotochimica ma tutto il globo! Basta pensare alle conseguenze
delle piogge acide e dell’effetto serra, nonché del buco dell’ozono (risulta doveroso approfondire
la natura di questi processi). In ogni caso, se non si interverrà politicamente al riguardo mettendo
da parte i profitti e la visione imprenditoriale del sistema in cui viviamo, gli effetti diventeranno
via via sempre più devastanti!  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
    

febbraio 23, 2013autore Angelo Vigliotti
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Museo di Grafologia

F. Scott Fitzgerald

autografi4

da: http://biografieonline.it/

Autografo “Per Wilbur Judd, Parisien [sic], Critico, Playrite [sic], bibliofilo, ubriacone e Good Egg, da F. Scott Fitzgerald, St. Paul 1922,

Biografia di F. Scott Fitzgerald
Francis Scott Key Fitzgerald nasce il 24 settembre 1896 a Saint Paul (Minnesota, USA). La sua infanzia è dominata dai principi e dagli ideali dell’aristocrazia del sud cattolica e conservatrice. Purtroppo il padre Edward non è molto abile nella gestione della famiglia e spesso non riesce a far fronte alle richieste economiche quotidiane. Le cose cambiano con la nascita della secondogenita Annabel e il trasferimento a Buffalo. Ma il periodo di tranquillità dura poco, il padre viene licenziato dalla società per la quale fa il rappresentante, e la famiglia ritorna a Saint Paul, dove provvede al loro mantenimento la nonna materna. Proprio grazie al ramo materno della famiglia, riesce a completare i suoi studi e a dare prova del suo precoce talento per la scrittura. Nel 1909 pubblica il suo primo racconto: “Il mistero di Raymond Marge”. I genitori, però, dopo aver riscontrato lo scarso rendimento scolastico, lo trasferiscono alla Newman School in New Jersey; college noto per una rigida impronta cattolica. Eppure, qui conosce un frate molto eclettico, padre Fay, a cui finirà per dedicare il suo primo romanzo: “Di qua dal paradiso”. Nel 1913 arriva a Princeton, tappa fondamentale per la sua formazione come scrittore. E’ qui, infatti, che si immerge nella lettura dei classici e intrattiene rapporti di conoscenza e amicizia con numerosi intellettuali. Questo però è anche il periodo della sua definitiva affermazione come dandy e appassionato frequentatore di feste e intrattenimenti teatrali. Proprio durante l’università, intraprende una relazione con la giovane Ginevra King, appartenente all’alta società di Chicago, ma la breve durata di questo rapporto amoroso lo lascia piuttosto amareggiato.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, fa domanda di arruolamento e parte nell’ottobre del 1917 senza aver conseguito la laurea. Il suo desiderio è quello di combattere in Europa in nome degli ideali di giustizia e libertà, ma viene inviato in Kansas, dove trascorre lunghi mesi inattivi e frustranti. In questo periodo, apparentemente piatto e insoddisfacente, avviene l’incontro destinato a cambiare la sua vita. Dopo il trasferimento del suo campo militare in Alabama, conosce ad un ballo la figlia, Zelda Sayre, di un noto giudice locale. I due si sposeranno nel 1920. Prima di arrivare al matrimonio, però, c’è un momento di rottura che rivela quanto Fitzgerald sia legato alla donna. Dopo il rifiuto dell’editore Scribner a pubblicare il suo primo romanzo, “Di qua dal paradiso”, Zelda lo lascia e lui vive in uno stato di ebbrezza continua per circa tre settimane. Il romanzo subisce poi una lunga revisione e viene pubblicato nel 1920, diventando in poco tempo un vero e proprio best-seller. Inizia così un periodo di spensieratezza che lo consacra come rappresentante della generazione perduta dei ruggenti Anni Venti. La casa newyorkese della coppia diventa, infatti, il centro di feste e riunioni di amici e, quasi, una sorta di simbolo di uno stile di vita disimpegnato e spregiudicato. Iniziano anche i viaggi in giro per il mondo: la coppia sarà prima a Londra e poi a Parigi. Qui, nel 1921, entrano a far parte della cerchia di intellettuali che si riunisce intorno a Gertrude Stain, e che è composta prevalentemente da letterati espatriati. I due racconteranno il periodo francese in una raccolta del 1934. Nel 1921, a Saint Paul, nasce la figlia Frances soprannominata Scottie. La permanenza a Saint Paul, però, dura poco: Zelda non si trova bene nell’ambiente troppo tradizionalista della cittadina e i due tornano a New York. E’ proprio questo il periodo che diventa assoluto protagonista del suo romanzo più noto: “Il grande Gatsby”. Intanto, la sua attività di scrittore si fa molto intensa: pubblica nel 1922 “Belli e Dannati” e, sempre nello stesso anno, la raccolta “Racconti dell’età del jazz”. Nel 1924, i due tornano in Francia nel tentativo di diminuire le spese familiari. In Costa Azzura, Zelda finisce per invaghirsi di un aviatore e cominciano i primi problemi di coppia. Per evitare la rottura, si recano in Italia, ma Scott che ha cominciato a bere finisce coinvolto in una lite con un tassista. La rottura è ormai prossima, favorita anche dalla schizofrenia di Zelda, diagnosticata nel 1930. I medici le prescrivono un periodo di ricovero in una clinica specializzata in Svizzera. Dopo la dimissione della donna, i due tornano insieme negli Stati Uniti e nel 1934 lo scrittore pubblica il suo quarto romanzo “Tenera è la notte”. La sua situazione personale però precipita: il romanzo non ottiene il successo sperato e si ammala prima di tubercolosi e poi di depressione a causa delle tante difficoltà economiche e familiari. La ripresa inizia nel 1937, quando accetta un contratto di 18 mesi come sceneggiatore a Hollywood. Qui conosce una cronista mondana che gli consente di ritrovare l’equilibrio perduto. Nel novembre del 1940, mentre è alle prese con la stesura del romanzo “Gli ultimi fuochi” viene colto da un attacco di cuore. Francis Scott Fitzgerald muore il 21 dicembre 1940 all’età di soli 45 anni

 

 

 

 

Fitzgerald ha scritto alcune tra le pagine più tese e perfette della prosa americana, caratterizzate da una raffinata economia compositiva, nel cui contesto ogni particolare, ogni immagine, ogni oggetto acquistano forza di simboli; e ha avuto, come nessun altro romanziere prima di lui, la capacità di rendere in termini poetici, con grande ricchezza di sfumature, il senso dell’esperienza americana, cogliendone l’oscura dimensione romantica. ( da: enciclopedia della letteratura –Garzanti)

 

 

   

Firma del 1934

 

 

 

 

 

 

Original first edition with original second issue dust jacket “the beautiful and damned, 1922”Inscribed by Fitzgerald

 

 

 

 

 

L’evoluzione della firma dello scrittore dall’età di 5 anni fino a 21 anni

 

 

 

From the labored scrawls of a five year-old, to the practiced script of an eleven-year-old schoolboy, to the experimental teenaged poses, we see the lettering get looser, more stylized, then tighten up again as it assumes its own mature identity in the confidently elegant near-calligraphy of the 21-year-old Fitzgerald–an evolution that traces the writer’s creative growth from uncertain but passionate youth to disciplined artist

 

 

 

 

 

 

 

 

 

febbraio 20, 2013autore Angelo Vigliotti
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Museo di Grafologia

Autografo di FRANKLIN, Benjamin

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Lettera autografa firmata. Philadelphia, 26 novembre 1786. Una lettera autografa firmata. Notevole scritto da Benjamin Franklin nel mese di novembre 1786 al suo caro amico Edward Bancroft, discutendo prima una richiesta di integrazioni a una nuova edizione dei suoi scritti (“tutto la mia carta e manoscritti sono così mescolati  con altre cose  a causa della confusione provocato nei traslochi improvvisi e vari durante i disordini in ritardo, che faccio fatica a trovare qualsiasi cosa “) e poi la pubblicazione della sua autobiografia, iniziata molti anni prima, ma non ancora completato (“Ho fatto qualche progresso in essa e spero di finirla in inverno”)

 

Biografia di B. Franklin

da: http://biografieonline.it/
Nato a Boston il 17 gennaio 1706, figlio di un mercante inglese, Benjamin Franklin ha un’infanzia difficile: frequenta assai poco la scuola ed in giovinezza fa un poco di tutto, dal tipografo al cartolaio, dallo scrittore all’editore, distinguendosi sempre, però, per la sua intelligenza e tenacia. Sposatosi nel 1730, ha tre figli e solo quando raggiunge la quarantina, inizia a dedicarsi in modo più concreto agli studi scientifici, fondando la American Philosophical Society. Nel 1746 assiste a Boston ad una conferenza sulle meraviglie e le scoperte dell’elettricità che lo entusiasma al punto di acquistare tutta l’attrezzatura esposta; essendo abbastanza a conoscenza dei lavori e delle esperienze di Gilbert, von Guericke e Nollet, si dedica quasi interamente agli studi sull’elettricità. La sua scoperta più nota è quella che il fulmine non è altro che una manifestazione di elettricità, convinzione scaturita da una serie di osservazioni circa la somiglianza fra i fulmini e le scintille elettriche, nella loro forma, colore e velocità. Nel 1747 Franklin chiarisce l’effetto elettrico delle punte ed inizia le ricerche per la realizzazione di un pratico parafulmine. Nel corso dei suoi studi, nel 1752, effettua il famoso esperimento come dimostrazione delle sue convinzioni sul fulmine. Propone quindi di installare, su torri o campanili, una gabbia metallica con pedana isolante sulla quale deve porsi l’operatore, corredata di un’asta di ferro appuntita dell’altezza di circa nove metri: in presenza di una nube temporalesca il ferro si sarebbe elettrizzato e, muovendo un filo di ferro vicino all’asta, l’operatore avrebbe provocato una corrente istantanea fra l’asta e la massa. L’esperimento viene effettuato, con pieno successo, nel 1752 dallo scienziato francese Dalibard. Avuta la certezza della sua intuizione, Franklin inventa poi il parafulmine: Per inciso, il primo importante impianto di parafulmini viene installato nel 1760 sul faro di Eddystone a Plimouth. Ma Franklin fa altre due fondamentali scoperte: “il potere delle punte”, il cui argomento è trattato in una serie di lettere sull’elettricità fra il 1747 e il 1754, e che l’elettricità è costituita da “un unico fluido”, demolendo così la teoria dualistica di C.Du Fay. Nel 1751 espone ufficialmente tutte le sue idee sui fenomeni elettrici nella pubblicazione “Opinions and conjectures concerning the properties and effects of the electrical matter”. Negli anni successivi svolge un’intensa attività politica; nel 1757 è a Londra quale rappresentante di diverse colonie americane, tornando in patria solo allo scoppio della guerra di secessione, mentre nel 1776 è in Francia quale rappresentante diplomatico al Congresso Continentale. Tornato in America nel 1785, lavora sino alla morte, che avviene a Filadelfia il 17 aprile 1790, a nuove scoperte ed invenzioni nei campi più disparati. Per il suo impegno di patriota e per avere, nel 1754, avanzato un progetto di unificazione di tutte le colonie americane, sarà riconosciuto come l’ideatore degli Stati Uniti d’America.

 

E’ stato  un uomo con  una  personalità eccezionale  e in continua evoluzione. Desidero ricordare alcune caratteristiche  importanti di Franklin. In primo luogo era un giocatore di scacchi. Giocava già nel 1733. Il suo saggio “Morals of Chess” del dicembre 1786 è il secondo testo sugli scacchi pubblicato in America. Il saggio, è un elogio agli scacchi e descrive un codice di comportamento da utilizzare durante le partite. Era un appassionato cultore  della musica classica. Franklin suonava il violino, l’arpa e la chitarra. Compose anche della musica, particolarmente quartetti per archi in stile classico.  Inoltre  era uno sportivo  e  iniziò a nuotare fin da bambino, perfezionando poi la sua tecnica leggendo il libro di Melchisédech Thévenot L’Arte di Nuotare, uno dei primi libri sul nuoto. Nel 1968 è stato inserito nella International Swimming Hall of Fame, la Hall of Fame internazionale del nuoto, per il contributo al nuoto come praticante e istruttore. Fu un sostenitore, già nel XVIII secolo, della necessità di insegnare nuoto a tutti, inserendolo nei programmi scolastici. Non posso poi, non ricordare il suo stile di vita alimentare,  citato in Umberto Veronesi, Perché dobbiamo essere vegetariani, in Umberto Veronesi, Mario Pappagallo, Verso la scelta vegetariana: il tumore si previene anche a tavola, Giunti Editore, 2011, p. 8. Benjamin Franklin divenne vegetariano in seguito alla lettura di Thomas Tryon. Franklin definì il mangiar carne come «un delitto senza giustificazione» perpetrato contro gli animali.  Scrisse nella propria autobiografia che, grazie a un’alimentazione vegetariana, «apprendeva più in fretta e aveva maggior acume intellettuale»

 

febbraio 20, 2013autore Angelo Vigliotti
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Grafologia disegno e scrittura

Breve recensione del testo di grafologia “Storia della scrittura e grafologia”

grafo

In un recente  viaggio a Madrid ( Spagna), andando per caso e curiosità,  in una libreria ho comprato il testo di grafologia di Matilde Ras dal titolo:   “ Historia  de la Escritura y grafologia “ pag.380 ( 14,5 per 10 cm di larghezza)

                                                               

  Riflessione di  Angelo Vigliotti

 Il testo è edito da Plus – Ultra  – 2005 e contiene 302 illustrazioni e grafie di celebri personalità.

 

E’ diviso in due parti.

 

La prima parte approfondisce la storia della scrittura, la seconda analizza lo studio della grafologia.

 

 

 

 

 

 

Dopo una introduzione storica sui i geroglifici egizi e sui caratteri cuneiformi  che precedono l’alfabeto  l’autrice analizza l’alfabeto semitico e la sua evoluzione ( in particolare nelle lingue  più diffuse: ebraico,  aramaico, da cui derivano la lingua
siriaca, caldea, araba ed etiope).  Successivamente l’autrice ci fa entrare nell’anima dell’alfabeto greco e  romano e  poi  slavo, cinese e giapponese. Concludendo questa prima parte Matilde Ras afferma che la scrittura  corrisponde alle attitudini dei vari popoli.
Per esempio le  iscrizioni arabe che ornano  con i loro meravigliosi colori i fregi dell’Alhambra corrispondono certamente a una immaginazione poetica e sensuale. C’è una minuziosa e brillante bellezza nella  architettura di queste forme,  molto diversa dalle linee grandi  e pure di serena bellezza dell’architettura greca.
La seconda parte inizia con il titolo al cap. XIV di scienza grafologica  e riporta subito una frase di Crepieux – Jamin che afferma che la grafologia è una scienza dato che ha le sue leggi, il suo metodo sperimentale, la sua classificazione e la sua tecnica.
Accenna all’opera di Camillo Baldi , “profesor italiano” che nel 1622 scrive  “rattato Come Da Una Lettera Missiva Si Conoscano La Natura E Qualità Dello Scrittore”. Quando parla dei grafologi di diverse nazionalità afferma che in Italia esercitano la grafologia  Alfeo Martini, Agnelli (in  Milano), la “senorita”  M.  Leibl, il padre Moretti e alcuni altri (pag.124). Nei principi generali grafologici  riporta le leggi di Pellat.
Nel capitolo 17° analizza le norme fondamentali per un’analisi grafologica. In pratica bisogna studiare la direzione, la dimensione, l’inclinazione, la scrittura curva e angolosa. Nelle tipologie grafiche si rifà a Crepieux – Jamin  descrivendo diversi tipi di grafie: sobria, calligrafica, artificiosa.
Nel capitolo dei segni fondamentali  mette in evidenza le grafie legate, il tracciato grosso e leggero,( la scrittura aerea, fusiforme, secca ecc.), approfondisce il tema dello spazio grafico e la scrittura tipografica. Molte pagine sono dedicate alla lettera “M” maiuscola  ( 211-219). Un approfondimento va anche alla firma. E’ molto interessante   capire la nazionalità ( lingue latine, germaniche e così via) e i diversi modi di insegnamento della scrittura per una valutazione accurata dello scritto. Negli ultimi capitoli accenna al rapporto tra fisionomia e gesto grafico, fa un elenco dei documenti per un buon esame grafologico rifacendosi al testo del suo maestro (Crepieux – Jamin) “ scrittura e carattere”. Un capitolo è dedicato al sesso e all’età del soggetto scrivente. Riporta il pensiero  del grafologo Alberto de Rochetal che afferma che si può riconoscere il sesso dello scrivente in proporzione di nove casi su dieci. Dopo aver accennato al simbolismo grafico e al ritratto grafologico chiude il testo osservando che la grafologia non è un arte divinatoria.

                                                              

           

Grafie femminili

Grafie maschili

 

Cervantes ( autografo riportato nel libro  a pag. 264 )

Ras Matilde è nata a Tarragona nel 1881 e morì nel 1969. Il padre era un architetto e la madre fatto il Magistero in Francia e poi in Spagna. Pertanto, facevano parte dei circoli intellettuali del tempo a Tarragona.  Ras Matilde era la maggiore dei due figli, Il fratello  Aurelio, un anno più giovane di lei, avrà una figlia Silvia che diventerà anch’essa studiosa di grafologia.   Il padre di Matilde  per temperamento è irrequieto e nomade.  Quando Matilde ha due anni si trasferisce con lei e sua moglie a Cuba, lasciando il bambino, Aurelio, in Spagna. Dopo la morte del padre ritorna a Tarragona e dato che ha una predisposizione per il disegno  a 18 anni diventa maestra di disegno. Ama comunque la letteratura e la poesia. casualmente  mentre cerca un libro di letteratura in una libreria vede il testo di grafologia di Michon dal titolo “Metodo pratico di Grafologia”. Naturalmente, il libro è in francese, una lingua che domina perché parlata e conosciuta dalla madre. Il libro di Jean Hippolyte Michon è una rivelazione per Matilde. Lo studia con  passione ed  inizia a verificare la veridicità dei segni grafologici, con  corrispondenza psicologica nella famiglia e con gli amici è dedicato alla famiglia e agli amici di verificare.  Il suo amore per la grafologia diventa sempre più intenso stimolata anche dal fratello di cui ha massima fiducia e attraverso amici di Parigi riceve altri libri sulla scrittura tra cui testi di  Alberto di Rochetal, della baronessa di Urgern- Sternberg, di  Adrien Verinard e altri, e, infine, un libro di cui  è entusiasta: ” La scrittura e il carattere ” di Crepieux-Jamin che successivamente tradurrà in spagnolo e pubblicherà  nel 1933. Ormai è una grafologa esperta e collabora a diverse riviste come “La Voce”, “Heraldo de Madrid”, “Mundo Hispanico”, ecc, così come in numerosi giornali e riviste in Sud America, Portogallo e Francia. Scrive numerosi testi di grafologia tra cui : Grafologia ( studio del carattere attraverso la scrittura con prefazione di Crepieux – Jamin”, “L’intelligenza e la  cultura nel grafismo”, “Ritratto grafologico”,- ”  “los  Artistas escriben”, Quello che sappiamo di grafopatologia”.

                                                              

               

Autografo di Matilde Ras

Uno dei suoi libri di   grafologia.

Ritratti grafo –psicologici di   innumerevoli musicisti, scultori, pittori e poeti

 

La “Storia della Scrittura e Grafologia”  è un’ opera di grande erudizione, mostra la grande cultura di Ras Matilde, la sua grande abilità. E’ un’opera della sua maturità.
Matilde Ras si può considerare “il padre” della grafologia spagnola considerando che i suoi studi si sviluppano a partire dal ‘900.  Anche se bisogna aspettare l’opera di  Alfonso Velasco Andreo (1917-2000) noto come  Augusto Vels, perchè la grafologia  possa trovare  in Spagna, una ampia diffusione.
E’ un libro che consiglio a tutti gli studiosi di grafologia anche se può dare l’impressione  di essere solo una  sintesi del  pensiero grafologico di Crepieux – Jamin   e della scuola francese.
In realtà tra le righe del testo il commento della Ras  è incisivo e autorevole considerando che ha una buona visione della scientificità della grafologia. La Ras, ricordo che    a metà del 1923 vince una borsa di studio e si trasferisce a Parigi, dove diventa allieva di  Crepieux- Jamin, il padre della grafologia francese. Ma non si ferma solo al maestro, vuole conoscere anche Solange Pellat e studia con lui  le leggi  per l’analisi peritale dei documenti grafici.

 

febbraio 20, 2013autore Angelo Vigliotti
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Sviluppo Infantile

Il bambino timido

Il bambino timido

da: Philip G. Zimbardo, Shirley L. Radl

 

 

La timidezza — un atteggiamento che porta a essere estremamente preoccupati della valutazione sociale che gli altri possono dare di noi, con la conseguente tendenza a evitare ogni persona o situazione che in qualche modo possa implicare una critica — è una condizione generalmente sottovalutata, così come le sue conseguenze. La timidezza, infatti, rende difficile incontrare persone nuove o gustare esperienze potenzialmente positive, impedisce di difendere efficacemente i propri diritti e di esprimere le proprie opinioni davanti ad altre persone, ostacola la lucidità di pensiero e la comunicazione, è accompagnata da stati d’animo negativi come la depressione, l’ansia, la scarsa autostima e il senso di solitudine. In questi e in molti altri modi, la timidezza limita pesantemente lo sviluppo delle potenzialità personali e danneggia gravemente la qualità della vita. Sulla scorta di studi condotti in tutto il mondo e di una vastissima esperienza clinica, gli autori ( nel loro libro “il bambino timido” pubblicato da Erckson ed. con il sottotitolo ” comprendere e aiutare a superare le difficoltà personali”)  esaminano le cause, le dinamiche e le manifestazioni della timidezza, e presentano un programma per prevenirla o superarla promuovendo la sicurezza di sé, insegnando le abilità per gestire le emozioni e le situazioni sociali, e migliorando l’autostima.

Timidezza e socializzazione
da: http://www.edscuola.it ( Giusy Rao)

Potrebbe la timidezza ripercuotersi sulla vita sociale del bambino? Qual è la linea di demarcazione fra un atteggiamento timido e un comportamento troppo remissivo?
La timidezza si sviluppa sulla base delle relazioni che il bambino instaura col mondo esterno, quindi è da considerarsi un atteggiamento che si acquisisce in base agli stimoli provenienti dall’esterno.
Secondo il punto di vista di numerosi esperti, la timidezza non può essere considerata una patologia psicologica da eliminare, né un difetto da correggere. Presumibilmente, le questioni maggiori della timidezza infantile sono proprio quelli legati all’approvazione o al rigetto di questo modo di essere (da parte di genitori, insegnanti, amici) del bambino stesso. È quasi un istinto naturale quello che un genitore tenda a spingere il figlio che ha “paura degli altri” verso di loro. Trattasi di un atteggiamento “naturale”, quasi comprensibile ma che molti esperti considerano sbagliato e per nulla proficuo.
“Anche con i più piccoli è necessario evitare atteggiamenti che possono aumentare la loro difficoltà a rapportarsi con gli altri. Genitori sempre critici e rimproveri continui a lungo andare rovinano completamente l’autostima del bambino e lo rendono insicuro, ingigantendo la sua timidezza”. In una situazione del genere, l’adulto dovrà evitare di mostrare eccessiva ansia, disappunto o  disinteresse e derisione nei confronti del piccolo; la timidezza, infatti può diventare paralizzante se quest’ultimo si sente umiliato o rifiutato.
Il più delle volte, la timidezza ha un suo background di base: spesso il bambino timido è cresciuto con una mamma timida che, in maniera del tutto involontaria, può avergli comunicato e così trasferito le sue ansie e le sue paure circa gli eventi della vita.
Sin dai primi approcci madre-figlio, nascono i presupposti della vita emotiva del piccolo, lo si veda ad esempio dalla reciprocità degli sguardi.
Solitamente il genitore è teso a garantire al figlio il pieno soddisfacimento dei bisogni fisici i quali assumono una posizione di rilievo rispetto alle componenti psicoemotive e spirituali, merita invece, di essere opportunamente sottolineata l’importanza di questi ultimi due aspetti in quanto essi contribuiscono a garantire al soggetto un ottimo adattamento alle situazioni sociali.
Durante lo sviluppo corporeo, è necessario che l’adulto osservi scrupolosamente il carattere del piccolo intervenendo per facilitare sia l’accrescimento fisico, sia l’espressione emotiva. In questa fase si dovrebbe rigorosamente evitare di programmare l’intera giornata del fanciullo, il quale deve essere posto in una situazione in cui sia possibile inseguire i suoi pensieri e fantasticare con la mente. Similmente al “counselor”[1] il genitore o l’insegnante che si trova ad interagire col fanciullo, deve porsi in una situazione di vicinanza, senza porre domande ma  cercando di far parlare il bambino, mediante l’ausilio del gioco o della fiaba.
Lentamente, l’adulto riuscirà ad accorgersi di eventuali problemi che il bambino non esprime e ad aiutarlo a comunicare tutto ciò che prova o sente.
Solitamente, i bambini timidi rivelano delle difficoltà ad esprimere sentimenti negativi, (paura, rabbia e odio), appare così fondamentale insegnare loro a gestire l’aggressività, a tirarla fuori, a dominare i propri istinti e le proprie emozioni.
 E’ fondamentale che il bambino venga aiutato  a capire il suo mondo interiore, ricco ed ilare, ma proprio per questo difficile da comprendere. Se la timidezza è motivata dalla paura degli altri, occorre stare vicini al bambino, facendogli attenzionare i lati piacevoli e divertenti delle persone in modo tale da debellare quel senso di soggezione emergente. Qualche problema maggiore può nascere quando ci si accorge che il ragazzino, crescendo, diventa sempre più timido e chiuso. “Più aumentano i suoi contatti con il mondo, più crescono i rossori e le paure”. Al fine di aiutarlo, gli adulti dovranno mostrare di apprezzare i suoi punti di forza e accettare, senza colpevolizzazioni, i suoi limiti. Così agendo, anche il ragazzino imparerà a non sentirsi inferiore o umiliato per la sua debolezza.
Giunti a questo impasse, l’adulto, dovrà spingere il piccolo a socializzare con gli altri bambini: mediante gli sport competitivi (se lo sport diventa una passione agonistica, tanto meglio, sarà un aiuto in più per sfogare tutte le emozioni) o di squadra il bambino può imparare a considerare gli aspetti positivi inerenti l’appartenenza ad un gruppo ed acquisire contemporaneamente il piacere di gestire meglio i suoi rapporti sociali. Indicato anche uno sport in cui il bambino possa confrontarsi direttamente con un altro, un avversario, come il tennis.
La suddetta esperienza va vissuta nell’ottica del divertimento e della socializzazione, poiché se venisse vissuta come imposizione, innesterebbe nel bambino un ulteriore senso di inadeguatezza che lo porterà a considerare se stesso come piccolo uomo inserito a forza nella dinamica sociale “poiché timido e quindi soggetto da curare”. La timidezza se non viene ben canalizzata, può generare nel bambino un atteggiamento fin troppo remissivo. Il bambino remissivo è spinto a non esprimere opinioni, a non reagire alle offese dei coetanei, ad accettare ogni situazione senza esprimere la sua volontà. Talvolta, il fatto di essere fin troppo accondiscendenti, è da imputare al carattere, altre volte il bambino non ha ancora appreso come negoziare la controversia, vale a dire non è ancora stabile in lui la capacità di far presenti al mondo esterno le sue aspettative e i suoi desideri. Non è da escludere il fatto che il clima familiare porta il bambino a reagire in questo modo. Non è raro infatti che, se c’è tensione in famiglia, il bambino si convinca che per “aggiustare” un po’ la situazione debba essere sempre buono  e quindi non creare altri problemi motivo per cui, si fa viva in lui l’idea che sia conveniente mantenere un atteggiamento remissivo che poi inevitabilmente verrà trasferito a tutti i rapporti sociali. L’adulto che si trova a far fronte a tale situazione di accondiscendenza estrema, dovrà seguire delle linee base che lo guideranno via via ad aiutare il piccolo ad acquisire maggiore sicurezza in sé.
Innanzitutto, l’adulto deve evitate di intervenire quando il piccolo si trovi a litigare con i coetanei. Anche se la prima reazione sarebbe quella di difendere il bambino questo comportamento potrebbe rivelarsi controproducente per due motivazioni: in primis il bambino potrebbe convincersi di non essere all’altezza nel saper fronteggiare da solo una situazione di lite e svilupperà conseguentemente un’idea di inadeguatezza del sé; in secondo luogo i coetanei (se prepotenti) troveranno nell’atteggiamento remissivo del bambino un’ulteriore occasione per poter infierire su di lui ed enfatizzare così un atteggiamento ancor più prepotente.
Così come Carl Rogers nel suo “Colloquio d’aiuto” si batteva per il rispetto dei tempi del soggetto, parimenti l’adulto dovrà considerare e rispettare i tempi di crescita del piccolo.[2]  È di prioritaria importanza mantenere un atteggiamento che valorizzi le capacità e che potenzi ed apprezzi le qualità del piccolo timido.
Qualora si verificasse un dissidio con qualche coetaneo, il bambino deve poter contare sulla comprensione dell’adulto: se alle difficoltà già incontrate si aggiungessero le critiche per un comportamento giudicato troppo remissivo il bambino rischierebbe di vivere un’esperienza di solitudine.[3] 
L’adulto dovrà inoltre aiutare il piccolo ad esternare le sue emozioni e le sue opinioni cercando di sottolineare quelle che sono le sue vere aspirazioni. Solo così agendo si potrà dare al bambino l’opportunità di diventare un essere sociale in grado di fronteggiare le diverse situazioni senza rischiare di tramutarsi in un capro espiatorio.

 
 
[1] Le definizioni date dal dizionario alla parola Counseling non sono di rilevante aiuto poiché tendono a enfatizzare il significato di consiglio e in qualche caso il Counselor (vale a dire il consulente) viene definito come un consigliere. Il termine Counsel deriva dal latino consilium che nel suo significato traslato significa consiglio, giudizio o consultazione. È perciò ovvio che il termine Counseling tradizionalmente si riferiva alla “pratica di dare consigli o di pronunciare giudizi”.
 
[2] Per maggiori informazioni Cfr. Rao Giusy, Riflessioni sull’utilità del Counseling, in “Qualeducazione”, trimestrale internazionale di Pedagogia, Anno XXII, n° 1-2, Fasc. n° 67, Ed. Luigi Pellegrini, (In corso stampa)
[3] Marini Franco, Mameli Cinzia, Il bullismo nelle scuole Ed. Carocci, 1999

Consigli per  aiutare il bambino
a cura del pediatra  Dott. Leo Venturelli
La timidezza è un atteggiamento del comportamento del bambino quando si relaziona con altre persone. Durante il periodo che va dall’anno e mezzo – due anni in poi, il vostro bambino comincia a cercare il rapporto con gli altri, ma è ancora molto concentrato su sé stesso e sui suoi bisogni per cui è normale che abbia più atteggiamenti possessivi e di gioco individuale che non desiderio di socializzazione.
Se guardate i bambini in un gruppo, per esempio quando sono alla scuola materna, ne troverete senz’altro parecchi timidi, che se ne stanno in disparte, che hanno bisogno di tempi lunghi per socializzare. Alcuni bambini poi sono a loro agio con gli adulti, ma sono timidi coi coetanei, altri sono timidi con tutti e solo in famiglia si sentono a loro agio. Fino a sei anni circa il 50% dei bambini soffre di situazioni di timidezza, che andrà progressivamente sparendo entro l’adolescenza.
In generale un bambino su cinque avrà timidezza anche da grande, per via del suo carattere, anche se nel tempo sarà in grado di controllarla. Davanti ad un bambino timido, voi genitori dovete perciò innanzitutto accettare questa sua situazione senza forzare le tappe del suo sviluppo psicologico; dovete però aiutarlo a superare certe situazioni di timidezza, facendogli vedere i lati positivi degli adulti e cercando di spingerlo a stare con i suoi coetanei infondendogli sentimenti di ottimismo.
Qualche consiglio per aiutare vostro figlio a superare la timidezza 
·    Accettatelo per quello che è
Non dovete paragonare il bambino agli adulti e pretendere che reagisca allo stare con gli altri come una persona grande: Non mettetelo in imbarazzo forzandolo, ma piuttosto pensate che questa situazione in genere è transitoria e verrà superata nel tempo. Fategli capire che gli volete comunque bene e non nutrite sentimenti di rimprovero per lui.
·    Non dite che è timido parlando in sua presenza
Se il piccolo sente voi genitori affermare in famiglia o peggio davanti ad altre persone che è timido, questo gli confermerà che il suo carattere è quello e soprattutto che voi avete questo giudizio su di lui. Il ripetergli che è timido rischia di rendere la sua timidezza continua, anche se non è innata. Per il bambino poi può diventare un comodo alibi sapere che è giudicato timido; può pensare: “sono timido, quindi non è necessario che cambi o mi sforzi di stare con gli altri”.
Evitate di fare confronti sui coetanei, mettendo in evidenza quelli spavaldi da quelli che si comportano da gregari e facendo paragoni con i suoi comportamenti quando è con gli altri. L’autostima che vostro figlio si costruisce giorno dopo giorno potrebbe diminuire se insistete a definirlo un timido.
·    Comprendete il suo disagio
“So che fai fatica a stare con gli altri, ma vedrai che non è poi così male, riuscirai a divertirti”. Non prendetelo in giro per le sue preoccupazioni o ansie: dategli tutte le rassicurazioni e l’aiuto che gli serve, non forzatelo a fare cose controvoglia, non correte a mettervi in mezzo, aspettate ad intervenire. Dategli la possibilità di tentare prima del fallimento.
·    Incoraggiatelo
Organizzate momenti di incontro tra il vostro bambino a altri suoi coetanei, aiutatelo a rompere il ghiaccio, quando è necessario, senza forzature. Cercate amichetti più piccoli, in modo da evitare confronti immediati con bambini vissuti come molto più grandi da vostro figlio. Al di là dell’età, cercate compagni di gioco calmi e non aggressivi. Partite col fargli fare amicizia con un solo bambino, poi con calma, con due o più coetanei, quando si capisce che è in grado di stare in compagnia.
Cercate dunque con tatto di costruire una rete di amichetti idonei al carattere del bambino. Suggeritegli qualche piccolo accorgimento per i momenti di tensione e di ansia: “respira lentamente”, oppure, “pensa a qualcosa di piacevole” .
·    Proponetegli dei giochi sui ruoli
Provate a fargli imitare una situazione reale tramite i suoi peluche o le sue bambole, per esempio una partita dove un orsacchiotto appena arrivato se ne sta ai bordi del campo, vorrebbe giocare, ma nessuno lo invita. Chiedete al vostro bambino che cosa direbbe se fosse un giocatore per introdurre nella partita l’estraneo e quali ragioni metterebbe in bocca all’orsacchiotto per farlo partecipare al gioco collettivo. In un’occasione reale, la simulazione messa in atto in un momento precedente potrebbe aiutare il bambino a ripetere le stesse cose pensate nel gioco.
·    Preparatelo alle situazioni Certi bambini sono molto sensibili ai cambiamenti, specie alle novità: la situazione più classica è l’inserimento alla scuola materna o al nido: uno dei due genitori dovrebbe passare i primi minuti col bambino per spiegargli cosa succede nel nuovo posto e per fargli conoscere le maestre, i compagni, gli ambienti. È utile ripetergli i nomi delle insegnanti, degli amici di gioco; il bambino potrebbe essere accompagnato alla scuola qualche minuto prima dell’inizio ufficiale delle attività per prendere confidenza con l’ambiente ancora semideserto o per iniziare a giocare con pochi amici senza ufficialità.
Bisogna però stare attenti a non esagerare nelle preparazioni per non cadere nel rischio opposto di sopravalutare la situazione e di provocare inquietudine invece che tranquillità. Se c’è una festa cui partecipare, per esempio un compleanno, è bene arrivare tra i primi e non tra gli ultimi quando tutti stanno già divertendosi ed è quindi più difficile inserirsi nei giochi. Se per caso arrivaste comunque tardi, sarebbe utile spiegare al bambino cosa farete: “adesso entreremo, ti toglierò il cappotto, metteremo il regalo insieme con gli altri e ti porterò dove tutti stanno giocando”.
·    Dategli sicurezza con un suo oggetto preferito
Come succede per gli adulti, che possono sentirsi più tranquilli arrivando ad una festa con qualcosa in mano, una borsa, una bibita, un bicchiere, così anche vostro figlio può sentirsi più protetto se si porta dietro un suo giocattolo preferito o una bambola o un peluche: siccome l’oggetto gli appartiene, gli darà un senso di sicurezza. In ogni caso è meglio aiutare il bambino a scegliere una cosa che possa essere poi eventualmente prestata agli altri amichetti.
·    Aiutatelo se ne vedete la necessità
Se vedete vostro figlio in difficoltà perché guarda gli altri bambini che giocano e vorrebbe unirsi al gruppo ma non sa come fare per inserirsi, dategli qualche suggerimento, senza spingerlo forzatamente: “perché non vai là e fai vedere a quelle bambine la tua bambola nuova?”.
Oppure chiedetegli se vuole un aiuto per essere accompagnato in mezzo al gruppo di bambini. Se non c’è rifiuto, accompagnatelo per mano, facendo voi le presentazioni: “questo è Mario, potete farlo giocare con voi, è appena arrivato, vi vorrebbe conoscere, come vi chiamate?” State col bambino il meno possibile, quanto basta per capire che si è ambientato e può rimanere solo con gli altri.
Quando preoccuparsi?
·    Se vostro figlio ha già superato i 3-4 anni e continua a rifiutarsi di giocare con gli altri, vuole sempre una persona adulta familiare nel giocare o nel partecipare a feste o compleanni e non se ne stacca, piange invariabilmente tutte le mattine quando deve recarsi alla scuola, discutetene col vostro pediatra. Potrebbe essere necessario fare qualche colloquio con uno psicologo per trovare il sistema più opportuno per far fronte all’estrema timidezza del bambino o per valutare altri problemi di relazione presenti o nascosti.
 
Suggerimenti per i genitori

A cura della Dott.ssa Francesca Saccà  http://psicologoinfamiglia.myblog.it
·    Molti pensano che nei bambini l’introversione sia una caratteristica negativa al contrario di altre caratteristiche giudicate positivamente come la socievolezza, l’estroversione, la loquacità. Lo stereotipo sociale infatti identifica il bambino più estroverso come un soggetto forte e vincente, mentre il bambino più introverso, timido e ritirato come un soggetto debole, oggetto di possibili azioni offensive. La timidezza in realtà è
·    un tratto della personalità che va accettato come tale, non come un difetto. E’ assolutamente normale che i bambini siano timidi, essere piccoli significa proprio aver paura di ciò che è estraneo ed è assolutamente naturale che il bambino piccolo si senta sicuro solo con le sue figure di riferimento costanti e mostri un iniziale diffidenza verso l’estraneo per capire se fidarsi di lui o no.
·    Il modo in cui un bambino percepisce la sua timidezza dipende dai genitori: se questi accettano la sua personalità e non considerano la timidezza come un difetto, il piccolo si sentirà a suo agio e sentirà di non aver nulla di meno rispetto agli altri bambini, se invece i genitori provano a cambiarlo o lo giudicano negativamente, il bimbo potrà avere delle difficoltà.
·    E’ bene imparare a non considerare la timidezza un problema, per lo meno nei primi anni di vita. È solo a partire dai cinque-sei anni, infatti, che certi atteggiamenti di chiusura nei confronti degli altri potrebbero segnalare un disturbo del comportamento.
·    Dunque cosa possono fare i genitori dei bambini timidi?
·    – Evitare di “etichettare” il bambino: se il bambino sente continuamente affermare dai genitori che è timido, questo gli confermerà che il suo carattere è quello e soprattutto i genitori lo stanno giudicando. Si dovrà poi evitare di fare confronti tra il figlio e gli altri bambini poiché questo potrebbe portare il piccolo ad un ritiro sociale più marcato. E’ bene invece rassicuralo sempre sul suo valore!
·    – I genitori possono e devono parlare con il figlio delle situazioni che possono mettergli ansia: affrontare dunque argomenti come l’entrata a scuola, la frequentazione di un gruppo, ecc., o anche simulare in maniera pratica le situazioni di disagio: “Incontri il tuo amico Luca a nuoto, come lo saluti?”, far esercitare il piccolo può essere molto utile.
·    – E’ bene poi rispettare quella che è la natura dei bambini ed i loro tempi: ciò vuol dire stare attenti a non voler anticipare la capacità di socializzazione dei figli prima che questi si sentano pronti. Questo atteggiamento rafforzerà la fiducia che il bambino ha nei suoi genitori.
·    – Non sottovalutare mai le preoccupazioni del figlio e le sue paure: piuttosto è fondamentale rassicurarlo, cercando di fargli comprendere che non si deve spaventare nell’affrontare un compito o una situazione nuova, non deve temere di perdere qualcosa a cui tiene, né soprattutto pensare che dall’esito della prova dipenda il suo valore come persona.
Approfondimenti
Dott.ssa Isabella Ricci
Psicologa (http://www.pianetamamma.it/ )
Molti genitori e molti educatori sembrano preoccuparsi quando notano nel carattere di un bambino una certa timidezza, una riluttanza a lasciarsi coinvolgere nelle attività di gioco,  a socializzare con gli altri bambini. L’introversione viene quasi sempre stigmatizzata dal senso comune come un tratto di personalità poco adattivo: infatti, ad essere considerate in una luce positiva e favorevole all’adattamento sembrerebbero altre caratteristiche, come l’apertura all’esperienza, la socievolezza, l’estroversione, la loquacità, l’energia.  In realtà il continuum introversione-estroversione non indica una progressione da una disposizione caratteriale negativa verso una positiva, in quanto le due polarità non sono sinonimo di maggiore o minore adattamento, ma semplicemente due modi diversi di essere, che in ogni caso non sono quasi mai assoluti, e che dipendono in gran parte dal temperamento, cioè dal substrato biologico della personalità. Questo concetto fa riferimento al livello ottimale di attivazione che un organismo tende naturalmente a raggiungere e a mantenere.
In questo senso le persone che già possiedono un elevato livello di eccitazione interna ricercherebbero in misura minore stimolazioni esterne ed avrebbero un carattere più tranquillo e solitario. Al contrario, individui con un minore livello di attivazione interna sarebbero propensi a cercare nel mondo esterno sensazioni forti e stimoli continui. Questa disposizione renderebbe il loro carattere più estroverso. In realtà le spiegazioni biologiche delle caratteristiche di personalità non sono esaustive, perchè accomunano l’individuo ad un ente sempre uguale a se stesso, appunto “per carattere”, mentre la persona, pur avendo delle caratteristiche stabili, è continuamente aperta alla possibilità di cambiamento, in relazione alle esperienze di vita, ai contesti di sviluppo e alle relazioni con le figure significative, non solo in infanzia, ma lungo tutto l’arco di vita.
Iniziamo quindi a considerare l’introversione semplicemente come una caratteristica della personalità che non va connotata negativamente, come un indice di chiusura e di ripiegamento nei confronti del mondo esterno. Non dimentichiamoci che le persone introverse sono spesso quelle più sensibili e che tra queste personalità si annoverano moltissimi artisti, scrittori, musicisti.
Il problema non sembra dunque riguardare la salute mentale dell’individuo, nel senso che un carattere più timido e tranquillo non deve per forza far pensare all’anormalità o alla patologia.
Tuttavia molto spesso questa diversità viene colta dai compagni di gioco ed il bambino rischia di essere isolato o in occasione dell’inserimento scolastico di diventare vittima di episodi di bullismo Con questo termine si fa riferimento al mobbing infantile, cioè a una serie di comportamenti di prevaricazione attuati da uno o più individui a danno di una vittima designata. La scuola è il principale contesto in cui questo fenomeno si manifesta, ma non l’unico. Ancora una volta è lo stereotipo sociale che identifica il bambino più estroverso come un soggetto forte e vincente, mentre il bambino più introverso, timido e ritirato come un soggetto debole, una vittima su cui attuare azioni offensive.
In presenza di un bambino timido e più ritirato è inutile essere intrusivi e cercare di renderlo come tutti gli altri bambini. Spetta a chi interagisce con lui, genitore o educatrice, mitigare gradualmente certe caratteristiche del bambino, nel rispetto del suo carattere, cercando di catturare il suo interesse e di coinvolgerlo nelle attività di gioco senza forzare i suoi tempi e i suoi modi
Capire i bambini
vari tipi di comportamento e di carattere

Dott.ssa Maria Galantucci (http://www.psicologi-italia.it )

 

Si corre il rischio di “classificare” il bambino assegnandogli un’etichetta basata su impressioni e giudizi che spesso non corrispondono alla sua vera indole, ma si limitano a coglierne gli aspetti più esteriori, di superficie. Invece di stigmatizzare il carattere del bambino con giudizi che rischiano di immobilizzarlo in uno stereotipo, è importante capire che cosa lo spinge a comportarsi in modo negativo per se stesso, prima ancora che con gli altri.

Il bambino timido: la timidezza è un sentimento universale che tutti conosciamo e che nasce da un senso di inferiorità che ognuno di noi ha provato da piccolo nei confronti degli adulti. La timidezza nasce da un temperamento iperemotivo che lo rende estremamente sensibile agli stimoli esterni. Se a questa vulnerabilità emotiva si aggiungono influssi ambientali negativi, è probabile che il bambino tenda a chiudersi nel suo guscio, sforzandosi di esercitare il massimo controllo sulle emozioni che avverte come un pericolo. La timidezza diventa così una copertura, un meccanismo di difesa che induce il bambino ad evitare le situazioni che possono mettere a nudo la sua fragilità emotiva ed esporlo cosi al giudizio degli altri. E’ un bambino che ha bisogno di essere rassicurato e rafforzato nella sua autostima, mettendo in rilievo le sue qualità e nello stesso tempo accettando i suoi limiti. La paura di fare brutta figura, di rischiare un insuccesso, un rifiuto, un’umiliazione può emergere in molte occasioni. Non è facile per un bambino timido non solo rompere il ghiaccio e fare amicizia, ma anche unirsi ad un’attività di gruppo con altri bambini. Per lo più preferisce stare a guardare.

Il bambino aggressivo: la sua aggressività traspare anche dai gesti, dal tono della voce, dal modo di guardare, di afferrare le cose, di camminare, di mangiare. Perfino nelle manifestazioni di affetto, c’ è spesso quel “qualcosa in più”, in cui si avverte una energia eccessiva, che potrebbe trasformare la tenerezza nel suo contrario. Per poter incanalare le tendenze aggressive, sempre presenti in ogni bambino, bisogna prima di tutto aiutarlo a riconoscere dentro di sé. E dare un nome, un significalo alle azioni che provocano, trasformandole da semplici impulsi in emozioni, sentimenti, intenzioni. Il passaggio dalla “messa in atto” dell’aggressività alla sua trasformazione in pensiero consente al bambino di accettarla come parte di sé, del suo mondo interiore e di controllarla meglio, come tutto ciò che si conosce. E quindi fa meno paura. Questa elaborazione mentale avviene in parte spontaneamente attraverso il gioco e il sogno, che permettono al bambino di rappresentare in modo simbolico i suoi impulsi più conflittuali, come la violenza distruttiva e le paure che ne derivano. E’ proprio quando il bambino è travolto dalla collera che è importante mantenere la calma, in modo da contenere la sua aggressività: si rende conto così che l’impulso che prova non è tanto terribile e distruttivo da annientare il buon rapporto che ci lega. Quando la tempesta è finita, è il momento di parlargli, non per fare delle prediche, che non ascolterebbe, se è di carattere molto impulsivo ed estroverso, ma per porgli delle domande che lo inducano a riflettere. Trasformare gli impulsi e le azioni in parole è già un primo passo per dare un nome e un significato a questi sfoghi incontrollati. Sara più facile riconoscerli. Non importa se non sempre il bambino ci riesce: almeno “sa” che cosa prova, e perché. E questa consapevolezza è già una grande conquista che apre la strada ad un maggior equilibrio nel rapporto con se stessi e con gli altri. Il bambino predisposto agli scoppi di rabbia è pieno di energie, di impulsi al movimento che la vita normale non permette di esprimere pienamente. Una valvola di sfogo è costituita dal gioco all’ aria aperta, dalle corse i salti, gli arrampicamenti.

Il bambino oppositivo: sa che cosa non vuole. Qualsiasi cosa gli si dica, gli si chieda , gli si proponga la sua prima risposta è sempre no. Anche la tendenza più o meno accentuata all’opposizione dipende non tanto dalla “qua!ità” di questa caratteristica, ma dalla quantità che diventa eccessiva quando il bambino si comporta come se non potesse fare a meno di dire sempre “no”. E non solo quando si tratta di ubbidire a qualcosa che “non gli va”. Di solito si cerca di insistere, di convincere il bambino, col risultato di aumentare la sua ostinazione Naturalmente ci sono anche bambini che non limitano la loro opposizione agli scontri verbali, ai contrasti di idee e di intenzioni. Ma disubbidiscono in modo determinato, freddo e soprattutto palese, senza timore di punizioni e sgridate. Da bambini come da adulti, il “no” è il modo più rapido e diretto per erigere una barriera fra sé e gli altri, per stabilire una differenza e mantenere una distanza. Ma il bambino oppositivo lo usa anche per proteggere il suo mondo interiore dalle incursioni altrui, che avverte come un pericolo anche quando non si scontrano col suo modo di sentire e di pensare. Il negativismo serve più per difendersi che per attaccare frontalmente gli altri, come fa il bambino collerico. Anche se il “bastian contrario” sembra un “duro”, e fa di tutto per sembrarlo in realtà si tratta spesso di un bambino ipersensibile, che reagisce con particolare intensità agli stimoli esterni. Opponendosi assume un ruolo di “bambino cattivo” e se lo fa in modo aperto, provocatorio è perché non solo non teme le punizioni, ma se le aspetta. Anzi inconsciamente le richiede. Sono la risposta più coerente al suo gioco di sfida e di ribellione.

Il bambino pigro: un po’ svagato, sognatore, sempre assorto nei suoi pensieri e nelle sue fantasie, sembra che la sua vita scorra al rallentatore. Un po’ apatico poco emotivo, difficile da coinvolgere. Alla base di questi comportamene c’è quasi sempre un tipo di temperamento “lento”, poco reattivo, che il bambino manifesta fin dalla nascita mostrandosi meno sensibile di altri agli stimoli esterni e meno rapido nelle reazioni. Poiché percepisce in modo attutito tutti gli stimoli, è raro che pianga o urli se si fa male, ma anche che si entusiasmi per un giocattolo nuovo. Anche crescendo è sempre tranquillo, cosi “buono”, così poco esigente che spesso si finisce per lasciarlo in disparte. A differenza dei bambini timidi, aggressivi od oppositivi, non crea quasi mai dei problemi. All’asilo preferisce starsene in disparte e giocare da solo, piuttosto che unirsi ai compagni e “socializzare”: non per timidezza, ma perche preferisce rimanere tranquillo nel suo piccolo mondo, piuttosto che uscire allo scoperto.

I falsi pigri si rifugiano nell’inerzia, nella pigrizia, trasformandola in una forma di opposizione passiva, un modo per esprimere la loro ribellione e l’ostilità. La lentezza può derivare anche da un senso di insicurezza, di scarsa fiducia nelle proprie capacità. Possono apparire lenti, pigri, poco intraprendenti, privi di iniziativa e di interessi anche molti bambini che sono invece dei grandi sognatori, così impegnati a “lavorare di fantasia”, a seguire le loro idee, la loro immaginazione. Probabilmente hanno un temperamento introverso, che li rende inclini a pensare piuttosto che ad agire. Ma se si rifugiano troppo spesso nei loro sogni, è perché la realtà è cosi poco invitante, spesso scoraggiante, che preferiscono evitarla. Appena si sentono più amati e più incoraggiati, anche i piccoli sognatori cronici smettono di vivere continuamente sulle nuvole. Scendono in mezzo agli altri, senza rinunciare alla loro fantasia, ma utilizzandola in modo meno vago, più costruttivo e reale. Tocca a noi quindi avvicinarlo e proporgli di fare qualcosa che gli piaccia, conducendolo piano piano dall’inerzia all’attività. Naturalmente intervenire non significa affiancarlo in ogni attività sostituendosi a lui, ma sospingerlo inizialmente e poi lasciarlo andare, sollecitando il suo spirito di iniziativa. A poco a poco scoprirà di essere lui a “condurre il gioco”.

LA RELAZIONE TRA COETANEI

L’AMICIZIA – La molla che fa scattare l’amicizia non è mai casuale, la scelta di un amico corrisponde sempre a bisogni molto profondi del bambino, che spesso sono di “compensazione”. Più che la somiglianza prevale ora l’attrazione tra opposti: le mancanze di uno vengono compensate dall’altro e viceversa. Non è strano che un bambino un po’ timido, delicato, sensibile diventi amico di quello più estroverso deciso, combattivo: se l’uno si sente più protetto, meno difeso nei giochi di gruppo, l’altro ha modo di dare prova della sua “forza”, in senso positivo, non solo aggredendo, ma anche difendendo il più debole.

LA COMPETIZIONE – I bambini verificano le proprie capacità e le confrontano con un altro bambino. C’è competitività nell’amicizia ma si tratta di un confronto “ad armi pari”, che consente una prima verifica reale dei propri punti di forza e dei propri limiti. Il bambino si abitua a puntare sulle sue risorse, ad accentuarle, equilibrando i suoi punti deboli. C’è chi ha un atteggiamento da leader e chi si sente un gregario o un “seguace”; chi ha continuamente delle idee, e chi le elabora, le rende realizzabili.

I BAMBINI TROPPO SOLI – I bambini che si sentono più esposti al rifiuto sono spesso quelli che ne hanno paura. Oggi si da una tale enfasi al “bisogno di socializzare” dei bambini che si rischia davvero di trasformarlo in un problema, anche quando non lo è affatto. Si dimentica che ci sono bambini che pur non avendo alcuna difficoltà a stare con gli altri e a fare amicizia hanno bisogno di ritagliarsi degli spazi di solitudine, fra un’immersione e l’altra nei giochi di gruppo e nei riti sociali. Di solito si tratta dì bambini sensibili e ricchi di immaginazione, ai quali piace ogni tanto fare una pausa: uscire dal gruppo e crearsi una propria nicchia, ritirarsi in un angolino lontano dal chiasso e dalla confusione, per inseguire le proprie fantasie e i propri sogni, magari con un giocattolo portato da casa. Naturalmente è diverso il caso dei bambini che hanno una costante tendenza depressiva: allora anche l’isolamento, la solitudine non rappresentano più una pausa salutare e un piacere, ma un sintomo.

GIOCHI DI GRUPPO – A 4/5 anni il bambino conosce perfettamente la differenza fra due tipi di gioco, “per giocare” e “per vincere”: sa che l’unica vera regola del primo è il piacere, l’invenzione, il puro divertimento, come nel gioco da solo, che ora però si allarga ai suoi compagni. E sa anche che invece i giochi basati sulle regole insite in ogni gara, creano una maggior eccitazione. E anche una certa tensione altrimenti, come si fa a vincere? Per questo è importante che gli adulti, gli insegnanti/educatori, non intervengano nei loro giochi, ma mantengano un ruolo da ”spettatore”, e a volte, se necessario, da “moderatore”, senza partecipare , né dettare le regole. Certo gli si possono dare delle idee e indicare i modi per realizzarle, ma i giochi più belli sono loro a inventarseli, seguendo un’aspirazione che li accomuna.

 
La timidezza non è una malattia    
 
di Mariapaola Ramaglia – educatrice     
 (http://www.mammeacrobate.com )

Il problema è che viviamo in una società che esalta valori che spesso valori non sono e che si basa molto sull’apparenza ed è per questo che chi è più riflessivo, sensibile, riservato, rispettoso e tranquillo viene talvolta considerato in modo negativo, trovandosi ad essere penalizzato a causa del proprio modo di essere. Ci sono genitori che quasi si vergognano di avere un bambino non molto socievole e che non ama mettersi in mostra, facendo sembrare la timidezza quasi un errore o un difetto. È fondamentale, invece, che il bambino timido non si senta mai giudicato, che non si senta in colpa né si vergogni per ciò che prova. Deve sentirsi amato e apprezzato per come è, sapere che i suoi genitori lo considerano speciale e non pensano che abbia “qualcosa che non va”. Bisogna stargli vicino, con discrezione e amore, senza forzare in lui comportamenti che non gli sono naturali, né minimizzare i suoi timori, ma agevolando in lui lo sviluppo dell’autonomia e dell’autostima, rispettando sempre la sua indole e i suoi tempi.
 A volte, l’atteggiamento del timido può essere scambiato per presunzione o distacco e destare antipatie, ma potrebbe anche trattarsi solo di difficoltà a “rompere il ghiaccio” e – dopo che il bambino si sente “accettato”- allora potrebbe non avere problemi a relazionarsi con gli altri, dimostrandosi simpatico e perfino espansivo.
È importante considerare, ad ogni modo, che una situazione può essere vissuta dal bambino in modo diverso rispetto a quanto viene percepito dall’adulto. Magari il bambino vive serenamente il suo modo di essere, preferisce avere pochi amici fidati e non grandi comitive. Il dialogo, dunque, è fondamentale per capire quali sono le reali difficoltà percepite e poterlo davvero aiutare, anche perché già solo l’esternare e condividere un problema è un buon inizio per risolverlo. La situazione è un po’ più complicata, però, quando anche il genitore di un bambino timido è stato o è ancora timido. In tal caso l’adulto rivive le proprie ansie e le proprie difficoltà osservando il figlio relazionarsi agli altri e, talvolta, si sente anche in colpa, perché non sa come aiutarlo a “sconfiggere” questa sorta di eredità.
Sono comprensibili la rabbia e il dispiacere dei genitori, che si rendono conto che il proprio bambino potrebbe dare molto agli altri, ma non riesce a farlo, perché bloccato dalla timidezza. Come possono, dunque, aiutarlo? Prima di tutto accettarlo veramente per come è, senza volerlo cambiare e aiutandolo anche ad accettarsi con i suoi pregi e i suoi difetti. Accettarlo significa rispettare anche la sua personalità e dargli spazio e modo di esprimersi e trovare il proprio posto e il proprio ruolo in famiglia, così come fuori casa. È anche importante non affibbiargli l’etichetta di “timido” (quasi come se fosse malato), soprattutto in sua presenza.
Venendo alla pratica, se, per esempio, ci si accorge dell’ansia che il bambino prova di fronte alle novità, lo si può preparare prima, descrivendogli con entusiasmo chi e cosa dovrà “affrontare” e cercando di suscitare in lui interesse e curiosità. Può anche essere d’aiuto far in modo che siano gli altri bambini ad avvicinarsi a lui, in modo da superare il problema della paura del non essere accettati, facendo attenzione che sia sempre tutto molto naturale, per non creare comunque stress o ansie, né farlo sentire “non all’altezza” e, perciò, bisognoso dell’aiuto di un adulto. Non va mai sottovalutata, inoltre, l’importanza della collaborazione con la scuola. Anche se, ovviamente, non si deve pretendere per il figlio un trattamento di favore che non gli sarebbe neppure d’aiuto, è opportuno parlare con gli insegnanti dei possibili problemi e delle difficoltà incontrate dal proprio figlio, perché sia più facile trovare il giusto modo per far emergere la personalità del bambino anche in classe, cercando di aiutarlo a interagire e a superare eventuali disagi, silenzi o imbarazzi. È utile anche dare il buon esempio e mostrare i vantaggi della socializzazione, magari invitando a casa un paio di mamme con i loro bambini. A casa sua, tra le sue cose, accanto ai suoi cari e in compagnia di piccoli gruppi di persone, il bambino timido è più sicuro di sé e, quindi, anche più a suo agio. Perfino far chiedere il conto al ristorante, dargli il buon esempio salutando e scambiando due parole con la vicina di casa o fargli fare la spesa possono essere dei piccoli esercizi che favoriscono lo sviluppo delle abilità sociali.

Una funzione per così dire “catartica” può essere anche assunta da libri o giochi in cui coinvolgere il proprio bambino.
Assecondando le sue preferenze e le sue inclinazioni, si potrebbe anche suggerire – con entusiasmo e non come se fosse una medicina per guarire da una malattia – una delle seguenti attività:
 
1) attività artistica (pittura, disegno, argilla ecc…): l’arte può facilitare l’esternazione di sentimenti ed emozioni che, a volte, la timidezza può bloccare;
 
2) laboratori di drammatizzazione: sono molto utili anche per l’acquisizione di competenze linguistiche che rendono più sicuri di sé i bambini nell’espressione e nella comunicazione, oltre ad incentivare l’interazione con altri bambini e l’espressione di sé;
 
3) pet therapy: gli animali si sono dimostrati ottimi terapeuti, perché aiutano a socializzare e infondono sicurezza;
 
4) lo sport (preferibilmente di squadra e non troppo competitivo): una situazione vissuta comunque come ludica può offrire al bambino la possibilità di imparare ad apprezzare il far parte di un gruppo, imparare a fidarsi dei suoi compagni e gioire della fiducia che i suoi compagni ripongono in lui, imparando a confrontarsi con gli altri e ad esprimersi attraverso il proprio corpo.
 
Va precisato che, comunque, la timidezza può anche essere legata ad una fase della crescita e scomparire poi con l’età. Il bambino deve imparare a gestirla, senza esserne sopraffatto e, potrebbe essere semplicemente una questione di tempo e maturità.
Piuttosto che concentrarsi sui “limiti” del bambino o volerne modificare la natura, comunque, bisogna dargli fiducia e concentrarsi sulle potenzialità, le doti e le abilità, che sono nascoste dentro di lui e hanno solo bisogno di essere aiutate a venir fuori.

Una delle situazioni più frequenti, ma spesso non preoccupanti, è quella di vedere il proprio bambino molto timido.
Come aiutare il bambino timido ( nei primi anni di vita)
da: http://it.ewrite.us/
·    1 Una delle tante cose da non fare in questa situazione, è quella di forzare il bambino a fare qualcosa che non vuole fare.
·    2 Se per esempio, vedete che il vostro bambino (considerando una fascia di età tra i due e i quattro anni), andando al parco, guarda i bambini ma non ha il coraggio di andare a giocare con loro, ecco come fare.
·    3 Chiedete al bambino se vuole giocare con quei bambini, quindi chiedetegli se vuole che lo accompagnate voi. Se dice di no, non lo forzate.
·    4 Se invece dice di si, accompagnatelo ma non prendete iniziative: dovrete accertarvi che lui non abbia il coraggio di proporsi da solo.
·    5 Se avvicinandovi, i bambini lo accolgono con simpatia, potrebbe anche succedere che il bambino si rassicuri in maniera naturale e voi non avrete bisogno di intervenire.
·    6 Se invece i bambini non lo accolgono in maniera naturale, sarete voi a dover ricorrere alle presentazioni, cercando di renderli piacevoli a vicenda.
·    7 “che bei giochi che fate! Fate giocare anche lui? E’ molto bravo e vi potete divertire insieme!” i bambini lo accoglieranno con sè.
·    8 Ovviamente in questo caso è molto semplice inserire il bambino, il problema potrebbe sorgere se il vostro bambino avrebbe il rifiuto di avvicinarsi a loro.
·    9 In questo caso non dovrete mai forzare la mano insistendo che giochi con gli altri bambini, ma dovrete aspettare che sia lui a volersi proporre.
·    10 Se il bambino è timido sempre, anche con le persone più grandi, con i parenti e così via, non mettetelo mai di fronte alle seguenti situazioni:
·    11 Non dite mai davanti alla sua presenza che è timido, altrimenti se ne convincerà fino a personificarsi esattamente come una persona timida.
·    12 Questa situazione potrebbe anche avere delle ripercussioni future, di conseguenza non dichiaratelo mai, soprattutto non di fronte a lui.
·    13 Il bambino interpreterebbe la sua timidezza come un suo status naturale, e potrebbe, per questo, non voler mai reagire per cambiare le cose.
·    14 Non prendetelo mai e poi mai in giro, nè quando siete da soli, nè tantomeno quando siete in compagnia di altre persone.
·    15 Evitate assolutamente di rimproverarlo se si nasconde dietro le vostre gambe o piange perchè non vuole stare al centro dell’attenzione.
·    16 In genere questo stato cambia con il passare del tempo. In adolescenza dovrebbe già passare in maniera naturale e senza alcun provvedimento particolare.
·    17 La vostra funzione di accorgimenti e attenzioni amorevoli sarà fondamentale per fare uscire il bambino da questa situazione di normale timidezza.
·    18 Dovrete però stare bene attenti a non assecondarlo eccessivamente e di non risultare iperprotettivi, altrimenti potreste ottenere l’effetto opposto.
·    19 Comprensione, amore, accondiscendenza, pugno fermo e dialogo con il bambino devono essere ben dosati. Una giusta dose potrà certamente aiutare il vostro bambino.
·    20 Se e solo se, superati i quattro anni di età, il bambino continua a soffrire di timidezza, portatelo dal pediatra e parlatene con lui.
·    21 Solitamente, superato il primo “ostacolo” di incontro con i compagnetti della scuola materna, dovrebbe bastare per superare la timidezza.
Domanda e risposta
http://www.bimbinsalute.itda
DOMANDA
Desidero avere un parere e consiglio sul comportamento di mio figlio.
Ha 2 anni e frequenta il secondo anno di nido.
Le maestre mi hanno detto che durante le attività di gruppo in genere partecipa attivamente e con allegria, mentre quando sono lasciati a giocare da soli con i vari giochi, lui spesso sta a guardare e devono insistere per mandarlo nel gruppo a prendere qualche gioco.
Potrebbe essere timidezza o carattere, ma mi dicono che sarebbe normale per un bambino appena arrivato. Lui ormai conosce compagni e maestre e dovrebbe essere padrone dell’ambiente.
A casa è invece molto attivo. Passa da un gioco all’altro, gioca con noi e da solo ed è molto indipendente, tanto che non mi sarei mai immaginata un diverso comportamento al nido.
Il pediatra dice che è piccolo per preoccuparsi e che se questo è il suo carattere…
Ma io non vorrei che col passare del tempo “l’isolamento” aumentasse.
Come posso aiutarlo visto che a casa è diverso?
È meglio agire o come dice il pediatra aspettare gli anni della scuola?
 
RISPOSTA
Sono in perfetto accordo con il pediatra.
Due anni sono davvero pochi ed ho la sensazione che tutti pretendano dai nostri piccoli bambini delle prestazioni sociali sempre troppo alte: una mamma è completamente appagata soltanto quando il suo bambino socializza precocemente e con tutti e poi da grande, a scuola, quando avrà una bella pagella.
Basta!! È ora di ridare il giusto senso alle cose: un bambino a due anni può essere più o meno timido e se se ne sta un po’ in disparte ad osservare gli altri, durante il gioco libero, è perché non se la sente subito di fare il compagnone!
Liberi lo sguardo dalle aspettative sociali di nidi e contro nidi!!
Si goda, cara amica, il suo bel bambino, senza avere un occhio prestazionale (in tutti i sensi) che inquina i nostri figli e non tiene conto dei naturali passi di ogni crescita.
Vuole una profezia?
A sei anni il suo bambino sarà circondato da amichetti ed in classe non starà mai zitto!
Si fida?

febbraio 17, 2013autore Angelo Vigliotti
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Divulgazione scientifica

Enuresi

Enuresi

 

 

L’enuresi è un grande problema  che viene poco affrontato dai pediatri e anche dalle famiglie  che nella maggioranza dei casi pensano che si risolverà nel tempo. Affronterò l” argomento con una premessa sull’importanza di questo disturbo (congresso SIMPEF 2012)  e con una  introduzione al tema  ( estratto da un articolo per  la rivista ” medico e bambino” scritto dalla   dottoressa Mencoboni ) che ritengo ancora valido. Seguiranno successivi articoli di approfondimento.Invito il lettore a leggere con calma  i vari approfondimenti in modo da entrare nel tema  e avere una idea chiara del problema.

Premessa
Relazione presentata al II° Congresso Nazionale SIMPEF
Baveno, 21-22 settembre 2012

Ancora oggi una grossa percentuale di pazienti con enuresi non viene trattata perché il sintomo è considerato poco rilevante e di sicura risoluzione nel tempo, sia dai Genitori che da molti Medici.
Tuttavia , anche se si tratta di un disturbo self-limiting, i bambini e gli adolescenti enuretici mostrano di avere una riduzione dell’autostima come se fossero portatori di una malattia cronica e maggiori problemi depressivi e di maladattamento scolastico.
Risulta quindi importante impostare un trattamento medico in quanto l’enuresi non ha una origine psicologica.
Essa va trattata perché riduce l’autostima e perché aumenta il rischio di incontinenza in età adulta.
Non esiste l’enuresi come definizione, ma esistono le persone enuretiche: bambini, adolescenti ma anche adulti (e non sono poche!).
Queste persone hanno bisogno di risolvere il loro problema e di essere prese in carico da Personale Sanitario che abbia acquisito una competenza sull’argomento.

 Introduzione

di MARIA CRISTINA MENCOBONI
Unità Operativa di Pediatria e Neonatologia, Ospedale Civile di Matera

Per enuresi si intende una minzione involontaria e completa durante ilsonno, oltre l’età in cui il controllo vescicale
è normalmente raggiunto: l’età a cuisi fa convenzionalmente riferimento è fissata tra 5 e 6 anni.Secondo la classificazione del DMSIV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) viene definito enureticochi bagna il letto 2 volte alla settimana per 3 mesi consecutivi dopo i 5 anni1.

Quando la perdita involontaria di urine non è correlata ad altre patologie, parleremo
di enuresi essenziale; se si associaad affezioni urologiche, neurologiche o metaboliche, è più corretto chiamarla
incontinenza. L’enuresi essenziale si suddivide in:
• enuresi primaria, che riguarda i bambini
che non hanno mai smesso di bagnare
il letto;
• enuresi secondaria, che riguarda i bambini
che hanno raggiunto il controllo degli
sfinteri per almeno 3-6 mesi e hanno
successivamente ricominciato a bagnare il letto.
L’enuresi essenziale può essere anche
suddivisa in:
• enuresi monosintomatica, con sintomatologia
esclusivamente notturna;
• enuresi con sintomi minzionali diurni
associati:
Esistono due tendenze opposte: l’una
tende a considerare questi due ultimi tipi
di enuresi come due entità nettamente
separate, l’altra a riconoscerle come una
unica entità a patogenesi multifattoriale,
nella quale i sintomi minzionali diurni sono
quasi sempre presenti, anche se in
molti casi sfumati, associati o meno a variazioni
dell’osmolarità notturna.

PERCHÉ PARLARE DELL’ENURESI?
Anche se quello dell’enuresi è un
problema molto diffuso (in Italia circa 1
milione di bambini tra i 6 e 14 anni soffrono
di questo disturbo), ogni pediatra
vede in media solo 2-3 casi nuovi all’anno,
e la percezione di questo problema
è solitamente insufficiente, non costituendo
l’emergenza medica. Tuttavia
l’approccio adeguato è impegnativo, in
quanto prevede il coinvolgimento di tutto
il nucleo familiare, e molta disponibilità
di tempo e di energie da parte di chi
prende in carico il bambino. Inoltre, è
necessario cercare una strategia terapeutica
efficace, condivisa e ben accetta
sia dalla famiglia che dal bambino
EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza dell’enuresi varia naturalmente con l’età, passando dal 10-15% all’età di 6 anni per scendere all’1-2%
nella popolazione adulta. Si stima che il 14-15% dei soggetti vada incontro ogni anno a guarigione spontanea
fino ai 9 anni, e il 16% all’anno dai 10 anni in poi. La percentuale dei maschi enuretici è superiore a quella delle
femmine dai 5 ai 12 anni (rapporto 3:2), ma si pareggia durante l’adolescenza.Inoltre, nelle femmine sono connessi
frequentemente sintomi diurni quali gocciolamento e urgenza minzionale. Ci sono discrepanze in letteratura sulla prevalenza delle forme secondarie che variano dal 18% al 25% del totale2. I fattori socio-ambientali ed economici
possono influenzare la prevalenza dell’enuresi secondaria, ma non sembrano modificare quella dell’enuresi primaria.
Frequentemente si assiste al fenomeno dell’aggregazione familiare dell’enuresi; il rischio è del 77% se entrambi i
genitori sono stati enuretici, e cala al 44% se uno solo dei due lo è stato, mentre, come abbiamo visto, è del 10-15% nella popolazione generale, a 6 anni2-4.
È l’enuresi primaria che risente in maniera più evidente del fattore “ereditarietà”:
ma che cosa si eredita? Il fatto che nel 99% dei casi, dopo i 15 anni, l’enuresi
scompaia, fa ipotizzare che si erediti una lentezza maturativa nell’acquisizione
di una qualche funzione neuro-anatomica, ormonale, recettoriale o altro.
Recenti studi di biologia molecolare hanno individuato in un tratto del cromosoma 13 il possibile locus del gene dell’enuresi familiare: ENUR 1 ma anche i cromosomi 12 e 13 contengono geni “enuretici”. Il gene sul cromosoma 13 sembra correlato all’enuresi monosintomatica, quello sul cromosoma 12 all’enuresi con disturbi
diurni, mentre quello sul cromosoma 8 ha una correlazione indefinita5. Tuttavia le correlazioni genotipo-fenotipo sono ancora non chiare e controverse4. Tra l’altro, il gene della vasopressina, al cuimancato incremento notturno è stato attribuito da Norgaard6 la causa dell’enuresimonosintomatica, è collocato nel cromosoma 202,4.

EZIOLOGIA
Allo stato attuale delle conoscenze l’enuresi
notturna monosintomatica
(ENM) è considerata una condizione
multifattoriale in cui intervengono diversi
fattori fisiopatogenetici; ci sono sempre
maggiori evidenze che la ENM sia
causata da uno squilibrio tra produzione
notturna di urine e capacità vescicale
funzionale, associate a un disturbo del risveglio7

Produzione notturna di urine
La quantità di urina prodotta durante
la notte è di norma inferiore a quella
diurna; questo è dovuto al fisiologico picco
notturno plasmatico di ADH, la cui secrezione
è regolata da diversi fattori:
osmolalità plasmatica, variazioni di volume
ematico, TRH, sostanze ad azione stimolante
quali il neuropeptide Y, endotelina
e interleuchina-1, e sostanze ad azione
riducente la secrezione, come melatonina
e fattore natriuretico. La produzione
di urine durante il giorno è circa il doppio
di quella notturna. Nel bambino enuretico
questo è meno vero.
Gli studi di Norgaard6 avrebbero dimostrato
che una significativa percentuale
di bambini con ENM presenta una elevata
produzione notturna di urine e un
mancato picco plasmatico notturno di
ADH; gli stessi studi hanno però messo
in evidenza che la poliuria si manifesta
solo durante le notti “bagnate”, mentre
nelle notti “asciutte” la produzione di urine
è molto inferiore. D’altronde, il 10-20%
dei bambini in età scolare ha una fisiologica
nicturia, cioè si alza di notte per urinare.
Più di recente l’effettiva correlazione
tra un difetto relativo notturno di adiuretina
ed enuresi monosintomatica è stata
messa in discussione, o quanto meno
molto ridimensionata, da studi successivi,
quasi tutti di autori scandinavi.

Capacità vescicale funzionale notturna
La capacità vescicale funzionale notturna
(CVF) è rappresentata dal volume
vescicale notturno che innesca la minzione.
L’atto minzionale necessita di una
perfetta coordinazione tra detrusore vescicale,
sfintere interno ed esterno. Il
controllo di questo meccanismo si attua
tramite un processo maturativo che avviene
a tappe.
Nel neonato il controllo è sottocorticale
e spinale, e lo svuotamento avviene
in maniera automatica a bassi
volumi(circa 30-50 ml). La percezione
dello stimolo compare tra il primo e il
secondo anno di vita quando non è ancora
sviluppata la capacità di controllo
sul detrusore. Dopo i 2 anni vi è sempre
maggior controllo del piano perineale, e
il bambino è in grado di aumentare il
tempo tra stimolo e inizio della minzione.
A 6 anni il sistema vescico-ureterale
è simile a quello dell’adulto (controllo
corticale della minzione), ma permane
ancora una condizione più o meno accentuata
di instabilità.
Nella maggior parte dei soggetti con
ENM la CVF notturna (e diurna) è normale.
Tuttavia nei 2/3 degli enuretici vi è
un’iperattività del detrusore (specie nelle
ore notturne), e conseguente ridotta
CVF notturna.
Sonno e risveglio
Numerosi e recenti studi dimostrano
che non vi sono differenze sostanziali tra
i pattern del sonno di soggetti enuretici e
non, e che il fenomeno enuretico avviene
in qualsiasi momento della notte, indipendentemente
dalle fasi del sonno, anche
se è privilegiata la fase non-REM13.
Tuttavia è vero che una quota di soggetti
enuretici ha difficoltà a svegliarsi. Gli
studi eseguiti sulla fase di risveglio e
condotti in maniera fisiologica (stimolo
da distensione notturna della vescica)
sono pochi; più numerosi sono quelli
condotti con stimoli eterocettivi (soprattutto
uditivi): la conclusione è che i bambini
enuretici hanno in media una maggior
difficoltà a svegliarsi per uno stimolo
sonoro rispetto ai controlli14. In sintesi
i disordini della fase del risveglio possono
rappresentare un importante fattore
fisiopatologico nella ENM, e a questi devono
essere rivolte le indagini future.

Fattori psicologici
L’associazione fra sintomi psicologici
ed enuresi è complessa, ma è ormai del
tutto abbandonata l’idea di monocausalità.
Il fenomeno enuretico può essere
causa di sofferenza per il bambino, causare
diminuzione dell’autostima e problemi
di comportamento, ma raramente
ne è la conseguenza, anche se in una
parte dei casi di enuresi secondaria il
rapporto diretto tra il bagnare il letto e la
presenza di fattori emotivi (essere in casa
propria o fuori casa), esistenziali (nascita
di un fratellino, preoccupazione
scolastica), o educazionali (convizione o
meno di potere autocontrollare il sintomo),
appare con molta evidenza, almeno
aneddoticamente.

Cause organiche
Le infezioni delle vie urinarie, il diabete
insipido e mellito, la spina bifida occulta
e i dismorfismi della colonna, le anomalie
urologiche possono certamente far
sì che il bambino bagni il letto; in questi
casi è però corretto parlare di incontinenza
e non di enuresi.

VALUTAZIONE DIAGNOSTICA
Al primo approccio è necessario valutare:
• familiarità per enuresi;
• modalità e tempi di acquisizione del
controllo sfinterico;
• anamnesi minzionale;
• abitus psicologico;
• esame clinico dei genitali, della zona
perineale e sacrale.
Nel caso in cui l’enuresi sia accompagnata
a sintomi diurni suggestivi di organicità
(quindi non tanto l’urgenza minzionale,
ma piuttosto il mitto ritardato, interrotto,
debole; l’incontinenza, la pollachiuria,
la disuria, la poliuria con polidipsia) è
opportuno effettuare:
• esame delle urine (per evidenziare infezione,
glicosuria, peso specifico, eventuale
volume emesso durante la notte e il
giorno);
• ecografia vescicale con valutazione
dello spessore della parete e del residuo
post-minzionale;
• uroflussimetria (indagine non invasiva)
che permette lo studio qualitativo e
quantitativo del flusso;
• infine, nel fondato sospetto di lesioni
neurologiche, in assoluto improbabili e
mai monosintomatiche: esame urodinamico
completo, RMN del rachide, elettromiografia
sfinterica;
• nel caso di enuresi secondaria può essere
utile una valutazione psicologica,
anche se nella maggior parte dei casi la
causa può essere individuata con relativa
facilità e la personalità del soggetto di regola
non mostra particolari segni di fragilità.

TERAPIA
Quando trattare? Sicuramente non
prima del 6° anno di vita (ma in genere
molto più tardi, anche perché più precoce
è il trattamento e meno risulta efficace),
e solo se si è sicuri di una richiesta
motivata da parte del bambino e non solo
della famiglia.
Perché trattare? Per eliminare un fastidio
non indifferente, per migliorare
l’autostima17 e per evitare possibili ma
non dimostrati futuri problemi psicosociali.
Come trattare? Non esiste “la terapia”
dell’enuresi, ma un percorso terapeutico
che varia da bambino a bambino e deve
essere adattato in base all’età, al sesso
del soggetto e alle condizioni culturali e
psicosociali dell’ambiente familiare. La
percezione del problema da parte del
bambino, e quindi il fatto che sia motivato
a risolverlo, sono i fattori che maggiormente
condizioneranno la riuscita
del programma terapeutico.
Occorre innanzitutto rassicurare le famiglie
sulla normalità del disturbo, spiegare
che il suo esaurimento può richiedere
dei tempi molto lunghi; dare suggerimenti
affinché il bambino non venga
deriso, colpevolizzato o punito. È utile togliere
il pannolone, se utilizzato, perché,
anche se comodo, spinge il bambino a rifugiarsi
in comportamenti infantili.
Il programma terapeutico può seguire
il seguente percorso:
1. intervento non medico;
2. trattamento comportamentale e allarme
notturno;
3. trattamento farmacologico.
I tre trattamenti possono essere anche
combinati al fine di raggiungere più
rapidamente la guarigione.


    Per un maggiore approfondimento puoi andare sul  sito www.enuresi.net dove potrai leggere le relazioni di vari esperti sull’argomento e trovare ulteriori risposte al problema enuresi.

 


Ulteriori aggiornamenti

da: http://www.pipialetto.net/

vero o falso ?
ESISTE FAMILIARITÀ PER ENURESI NOTTURNA
VERO        
E’ dimostrato scientificamente che l’enuresi ha una base ereditaria. Infatti, tra i bambini che bagnano il letto, molti hanno un genitore o, comunque, un familiare che in età pediatrica ha avuto lo stesso problema.
E’ IMPORTANTE CHE I BAMBINI PARTECIPINO AL PROGETTO DI CURA PER RISOLVERE IL PROBLEMA      
VERO        
La volontà e l’impegno del bambino e della sua famiglia sono fondamentali per ottenere la guarigione da questo tipo di problema.
BISOGNA FARE BERE MOLTO IL BAMBINO DURANTE IL GIORNO      
VERO        
E’ importante che il bambino beva almeno 1500 ml durante le ore diurne ( 8.00- 18.00)  perché in questo modo la sua vescica riesce a distendersi bene e aumentare la capacità di contenere l’urina prodotta durante la notte.
L’ENURESI SE NE ANDRÀ DA SOLA      
FALSO        
Purtroppo, per l’85% dei bambini il disturbo non passerà da solo e a 15 anni ci sarà ancora  il 2% dei ragazzi che  bagnerà il letto. Molti hanno una grande probabilità di sviluppare varie forme di incontinenza urinaria in vecchiaia. Un trattamento adeguato può modificare questo destino. Ecco perché è importante consultare il vostro Medico di fiducia e parlarne con lui.
L’ENURESI È UN PROBLEMA PSICOLOGICO      
FALSO        
L’enuresi è dovuta a cause organiche. In genere i bambini che soffrono di enuresi producono durante la notte un’ eccessiva quantità di urina dovuta alla mancanza di un ormone, la vasopressina. Molti bambini, inoltre, hanno una vescica di dimensioni minori rispetto a quelle attese per la loro età e devono fare più volte la pipì durante la notte. E’ Il fatto di non risolvere questo problema che genera sensi di colpa ed inadeguatezza in questi bambini limitando la loro vita sociale.
I BAMBINI/E CHE SOFFRONO DI ENURESI HANNO LO STESSO GRADO DI AUTOSTIMA DEI LORO COETANEI
FALSO        
E’ dimostrato che il grado di autostima dei bambini che soffrono di enuresi ha livelli inferiori rispetto a quello di bambini con malattie croniche invalidanti e che i disturbi psicologici di cui soffrono sono una conseguenza dell’enuresi e non una causa. Una volta curata l’enuresi, il loro grado di autostima si normalizza stabilmente.
I BAMBINI/E CHE SOFFRONO DI ENURESI FANNO FATICA A RISVEGLIARSI QUANDO PARTE LO STIMOLO DELLA PIPÌ      
VERO        
I bambini enuretici non hanno un sonno più profondo degli altri, ma hanno una maggior difficoltà a risvegliarsi quando la vescica è piena. In virtù di ciò, questi  bambini  hanno un sonno frammentato e poco ristoratore, proprio a causa dei continui tentativi di risveglio. Può accadere quindi che, nonostante abbiano dormito un gran numero di ore, in realtà non siano riposati alla mattina.
ESISTONO TRATTAMENTI SPECIFICI PER L’ENURESI
VERO        
Ad oggi sono disponibili farmaci appositamente studiati per la completa risoluzione dell’enuresi, disponibili in formulazioni adeguate all’assunzione da parte del bambino.
CI SI DEVE PREOCCUPARE SE IL BAMBINO FA LA PIPÌ DURANTE LA NOTTE PRIMA DEI 5 ANNI      
FALSO        
I bambini possono raggiungere il controllo della pipì fino a  5 anni, per cui il sintomo va preso in considerazione solo dopo il compimento di questa età.
E’ IMPORTANTE RACCOGLIERE INFORMAZIONI PER DOCUMENTARE LE CARATTERISTICHE DELL’ENURESI      
VERO        
Esistono una serie di strumenti che permettono al Pediatra o al Medico di fiducia di diagnosticare correttamente il tipo di enuresi di cui soffre il bambino. Questo permetterà di scegliere la terapia più adatta.
Vocabolario
( per capire in modo corretto  alcuni termini di frequente uso riguardo  questo problema)
ENURESI
Incontinenza urinaria intermittente (perdita di urina in episodi separati tra loro) durante il sonno
ENURESI MONOSINTOMATICA
enuresi in un bambino che bagna il letto una sola volta per notte e non presenta nessun altro sintomo di disfunzione vescicale
ENURESI NON-MONOSINTOMATICA
enuresi in un bambino che bagna il letto più di una volta per notte e presenta anche sintomi di disfunzione vescicale come
ENURESI PRIMARIA
enuresi in un bambino che non è mai stato asciutto per almeno 6 mesi
ENURESI SECONDARIA
enuresi in un bambino che è stato precedentemente asciutto per almeno 6 mesi
NICTURIA
risveglio del bambino durante la notte per mingere
DIARIO MINZIONALE
strumento di raccolta dati compilato dalla famiglia o dal bambino, usato per valutare la funzione vescicale che include come dati minimi richiesti:
*AUMENTATA FREQUENZA MINZIONALE
> 8 minzioni/die
*DIMINUITA FREQUENZA MINZIONALE
< 3 minzioni/die
*URGENZA
Improvviso, impellente e improcrastinabile stimolo a mingere
*INCONTINENZA DA URGENZA
incontinenza in quei pazienti che avvertono urgenza. Può manifestarsi solo con mutandine bagnate oppure con perdite di urina oggettivabili
*MANOVRE SOSTEGNO PIANO PERINEALE
manovre attivate per rimandare la minzione o contrastare l’urgenza (saltelli sulla punta dei piedi, incrocio forzato delle gambe, accovacciamento spesso con il calcagno premuto sul perineo)
*GETTO ESITANTE
difficoltà nell’iniziare la minzione o lunga attesa prima di iniziare la minzione.
*GETTO FILIFORME
mitto emesso con poca forza
*GETTO FORZATO
minzione iniziata o mantenuta utilizzando il torchio addominale
*GETTO INTERROTTO
mitto emesso a scatti subentranti
*MINZIONE DIFFERITA
incontinenza in presenza di abituali manovre di sostegno del piano perinenale
*GOCCIOLIO POST-MINZIONALE
perdita involontaria di gocce di urina dopo che la minzione è terminata. Attenzione all’incontinenza da reflusso vaginale che si presenta analogamente
GUARIGIONE COMPLETA
riduzione completa degli episodi enuretici (< 1 episodio/mese) alla fine del trattamento
NON RESPONDER:
pazienti che a fine terapia continuano a bagnare > 50% delle notti

PER IL BAMBINO: CONSIGLI E ATTENZIONI

  1. Vuoi conoscere qualche piccolo segreto per non fare più la pipì a letto? Ecco alcuni piccoli consigli per non fare più la pipì a letto:
  2. Cerca di bere durante la giornata: almeno 1 litro e mezzo di liquidi tra le ore 8.00 e le 18.00. (immagine bottigliette). Questo ti aiuterà a bere meno a cena    
  3. Ricordati di fare la pipì ogni 2-3 ore durante il giorno
  4. Evita di trattenere la pipì quando ti scappa.
  5. Ricordati di andare sempre in bagno immediatamente prima di metterti a letto.
  6. Se leggi un pochino a letto, vai a fare la pipì un’ultima volta prima di spegnere la luce.
  7. Non sei più un bambino o una bambina piccolo/a e i tuoi genitori non devono continuamente ricordarti cosa fare.
  8. Con l’aiuto di un Medico il tuo problema potrà risolversi.

Se ti ha prescritto una cura, non dimenticarla.
                                                 NON SENTIRSI IN COLPA

  1. Non è colpa tua e non ti devi sentire colpevole.
  2. Tu hai semplicemente un piccolo problema che si può curare.
  3. Ricordati che non sei solo: molti bambini e molte bambine soffrono del tuo stesso disturbo. Nella tua classe c’è sicuramente qualcun altro oltre a te.
  4. Nella tua scuola ce ne sono molte decine, nella tua città centinaia e in tutta Italia, migliaia e migliaia.
  5. Tra gli adulti che tu conosci, alcuni sicuramente hanno fatto pipì a letto quando erano i piccoli. La maestra, lo zio Paolo, il fornaio.
  6. Oggi non se ne ricordano più, così come tu non te ne ricorderai una volta risolto il problema.

Ricordati che non farai la pipì a letto per tutta la vita!

Alla fine di questo aggiornamento vorrei ricordare  che il dottor Vigliotti vi può aiutare con la raccomandazione di un diario giornaliero per le notti bagnate e asciutte e con l’aiuto anche  di una terapia dolce, come terapia complementare:  rimedi floreali,  omeopatia e l’insegnamento  dell’ EFT  “EMOTIONAL FREEDOM TECNIQUE” al bambino.

febbraio 17, 2013autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Tesla….un uomo incredibile!

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Il mondo segreto di Tesla

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Tesla è  uno scienziato  che nasce a Smiljan, (borgo di pochi  abitanti inseriti nel comune croato di Gospić,)Gospić,) il 10 luglio 1856 e muore a  New York il  7 gennaio 1943.
Nasce in Croazia da genitori di etnia serba, allora inserita nell’impero austro – ungarico. Il padre era un prete ortodosso e la madre era figlia di un prete serbo ortodosso. Negli anni giovanili fu affetto da sinestesia. Studiò a Graz  ( Austria), ingegneria elettrica,  senza laurearsi poi fu assunto a Budapest (compagnia di telegrafi) e infine si trasferì a Parigi lavorando come ingegnere. Nel 1884 andò  negli Stati Uniti. Formidabile creativo in campo elettromagnetico, inventore appassionato  di brevetti  con circa 1.000 invenzioni in differenti campi scientifici e tecnologici.
Molti suoi studi hanno anticipato la moderna teoria elettrica  ( corrente alternata e distribuzione polifasica). Il suo genio è alla base della seconda rivoluzione industriale. E’ stato nel bene e nel male uno degli uomini che hanno  inventato  il ventesimo secolo. Ricercatore accanito, molti suoi progetti furono distrutti con l’incendio del suo laboratorio –  studio nel marzo del 1895. La sua vicenda americana fu una storia di lotta continua ( in particolare contro Edison con cui ebbe un rapporto turbolento), di dimostrazioni tecniche di avanguardia,( principi del campo magnetico rotante e del motore ad induzione ),  di teorie rivoluzionarie ( raggi cosmici 1897) e per quel periodo e anche per l’ora attuale quasi assurde ed enigmatiche. Nel suo laboratorio a Colorado Springs, egli “registrò” alcune tracce di ciò che credeva fossero segnali radio di extraterrestri.  A causa di ciò venne considerato “ superficiale”  da molti scienziati americani. Nell’ultimo periodo della sua vita si comportò come uno scienziato pazzo. Andò diverse volte in bancarotta. Lavorò alla  tecnica di una “super arma che avrebbe messo fine a tutte le guerre nel mondo. ma nessuna nazione  accettò il suo progetto.
Nel 1931 il Time gli dedicò l’intera copertina.

Elaborò il sistema della corrente alternata, inventò motori e trasformatori ad alto voltaggio, sui quali si basa l’intera industria globale. Grazie a lui le nostre case, le nostre città e i  paesi sperduti, sono illuminati.  E’stato Tesla che scoprì i primi meccanismi telecomandati, che iniziò i principi della robotecnica e della propulsione solare, dell’ impianto a raggi X,  del contatore elettrico,  del contachilometri,  delle lampade a luminescenza,  dell’orologio elettronico, e di  strumenti per elettroterapia. Tesla anticipò l’invenzione della radio sviluppata poi da Marconi. Morì,  come nullatenente, mentre lavorava al raggio della morte ( o della vita). Le sue invenzioni sono numerosissime e i suoi scritti vennero classificati dopo la sua morte come “top secret” dal governo americano. Molte delle sue teorie sono state usate in modo non scientifico da ricercatori amanti dell’occulto, oppure da coloro che vedono dietro ogni teoria  il mistero velato dell’ignoto ( raggi, extraterrestri, alieni, teoria dei campi, ecc.). Per i suoi meriti scientifici fu dato il suo nome all’unità di misura dell’induzione magnetica, il tesla (simbolo T )

Personalità
Da giovane come ho accennato,  soffrì di sinestesia, in America ebbe alcune amicizie importanti  tra cui quella di Mark Twain. Fu un asessuale e pensava che le donne avrebbe nel futuro avuto un ruolo dominante nella società. Guadagnò moltissimo per i suo brevetti ma non sapeva gestire il denaro ed  era incurante della ricchezza materiale. Soffrive del disturbo di personalità ossessivo compulsivo. Per lui tutte le cose erano divise in tre. Amava molto gli animali. Molti dei suoi amici lo consideravano un cinico.
Tesla era certo che tutto nell’universo dalle galassie fino agli elettroni, possiede una coscienza, il cosmo è un organismo unico, vivente, ed intelligente ” . «Tesla intendeva che l’universo è un solo organismo vivente, formato da molte parti, che sono simili, ma si distinguono per le diverse frequenze, ogni parte è un mondo parallelo. Se ci sintonizziamo con le frequenze di altri mondi, apriamo per così dire una finestra su di essi, così da poter viaggiare per tutto il cosmo.».
Per  la maggioranza delle persone Tesla è uno sconosciuto.
Purtroppo  noi ignoriamo  ( nonostante tutto )  anche chi ha fatto qualcosa per il nostro progresso tecnologico. Secondo  Budda  la causa principale della nostra sofferenza e il fondamento delle nostre passioni che bloccano la nostra crescita vome l’ostilità ( rabbia e collera) e  l’attacamento morboso verso ciò che non ci apparrtiene, è l’ignoranza che signbifica non solo non capire, non comprendere, non conoscere,  ma fraintendere la realtà in modo radicale.Tesla non può essere dimenticato. Ognuno di noi, lungo il suo percorso di vita anche se catastrofico può lasciare una piccola luuce che può aiutare colui che la incontra. E mi dispiace che questo grande scieenziato passi inosservato. Morì povero, solo e abbandonato.

 

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Certificato di nascita

 

L’aberrazione tecnologica
Tesla visse una vita contraddittoria, non attaccato al denaro, non  bravo per amministrare la sua persona, con una intelligenza anormale e ricca di teorie sensazionali e di scoperte  incredibili sul piano energetico. Molti scienziarti hanno usato le sue scoperte per fini militari e per altri fini distruttivi di potere cosmico andando “contro” il pensiero  di Tesla che disse:
“La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità”
Forse una delle sue scoperte (trasmissione d’energia elettrica senza fili ) è utilizzata nel progetto  HAARP (High Frequency Active Auroral Research Project). Progetto portato avanti ( in massima segretrezza e coperto da una ufficialità a doppio legame tra ipocrisia e falsità, dal pentagono (USA) che sostiene si tratta di esperimenti innocui per  la salvaguardia del pianeta. In realtà forse si cela una terribile e terrificante arma di distruzione di massa, un’arma che agisce sulla ionosfera con probabili sviluppi indescrivibili per gli esseri viventi. Nel 1987 il consulente dell’Atlantic Richfield Corporation (ARCO), il fisico Bernard J. Eastlund, applicò tutte le sue risorse intellettive per riprendere il brevetto di Nikola Tesla della Wardenclyffe. Il nuovo sistema è stato denominato: “Metodo ed apparecchiatura per l’alterazione di una regione dell’atmosfera, ionosfera e/o magnetosfera terrestre”. In verità il metodo doveva servire ad Eastlund per scoprire vasti giacimenti di gas naturali che la compagnia petrolifera ARCO stava cercando in Alaska.

Tesla Trascorre l’ultima parte della sua vita come un ascetico eremita e muore a New York  per  un attacco cardiaco, solo, nel New Yorker Hotel, a New York tra il 5 e l’8 gennaio del 1943, all’età di 86 anni.in epoca di guerra pressoché dimenticato.
Disse di sè:
“Mi chiamarono pazzo nel 1896 quando annunciai la scoperta di raggi cosmici. Ripetutamente si presero gioco di me e poi, anni dopo, hanno visto che avevo ragione.
Ora presumo che la storia si ripeterà quando affermo che ho scoperto una fonte di energia finora sconosciuta, un’ energia senza limiti, che può essere incanalata “.
Tesla è un genio della scienza che finora non ha avuto un giusto riconoscimento. Molte sue invenzioni sono state rubate  da uomini di poco scrupoli e fatte passare  come loro personali scoperte. In realtà erano di Tesla.
 Non amava la teoria della relatività di Einstein  con il quale ci fu un dialogo a distanza. Riporto una lettera di Einstein a Tesla.

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Tesla  è un uomo che ci ha insegnato tante cose. Non possiamo dimenticarlo.
     

febbraio 16, 2013autore Angelo Vigliotti
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Divulgazione scientifica

La sindrome metabolica nel bambino

 

Sindrome metabolica nei bambini
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23356701
Ann N Y Acad Sci. 2013 Jan 28. doi: 10.1111/nyas.12030. [Epub ahead of print]
What is metabolic syndrome, and why are children getting
 
Possibile definizione

Più che una vera e propria patologia, la sindrome metabolica rappresenta una situazione clinica che include una serie di fattori di rischio e sintomi che si manifestano contemporaneamente nell’individuo e sono collegati al suo stile di vita e/o a patologie preesistenti. La sindrome espone ad un elevato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari, diabete e steatosi epatica, rischio che risulta ridotto solo da un drastico cambiamento delle proprie abitudini da parte di coloro che ne sono affetti.
    le cause
La sindrome metabolica è particolarmente diffusa tra gli adulti fra i 50 e i 60 anni di età ma comincia ad interessare sempre più spesso anche i giovani a causa del dilagare dell’obesità infantile, dal momento che il fattore di rischio più importante per la sua insorgenza è senza dubbio il sovrappeso: l’eccesso di grasso corporeo, soprattutto addominale, causa infatti uno squilibrio nel metabolismo dei grassi e degli zuccheri tale da determinare un aumento dei livelli ematici di insulina (iperinsulinemia) che se non conduce direttamente al diabete concorre appunto all’instaurarsi della sindrome metabolica.
    
da: http://www.dietaland.com
La definizione della sindrome metabolica (MS) è più difficile nei bambini, a causa delle differenze razziali e puberali, e della mancanza di eventi cardiovascolari.
Come si evidenzia in una revisione americana, la sindrome metabolica comprende un cluster di fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, alterato metabolismo del glucosio, dislipidemia e obesità addominale) che si verificano anche nei bambini obesi. Tuttavia, la MS può verificarsi anche in soggetti magri, suggerendo che l’obesità è un marker per la sindrome, non una causa.
La sindrome metabolica è difficile da definire, a causa della sua classificazione non uniforme e la dipendenza da cut off rigidi nella valutazione dei disturbi con distribuzioni non gaussiane. La distribuzione corporea dei lipidi tra specifici depositi di grasso è associata a resistenza all’insulina, che può portare ad un sovraccarico mitocondriale e disfunzione dell’utilizzo dell’energia subcellulare e sollecitare vari elementi della sindrome metabolica.
Molteplici fattori ambientali, in particolare una tipica dieta occidentale, comportano il sovraccarico mitocondriale, mentre altri cambiamenti nella società occidentale, come lo stress e la privazione del sonno, contribuiscono ad aumentare la resistenza all’insulina e la propensione per l’assunzione di cibo. Tutti questi fenomeni culminano in un fenotipo biochimico negativo, incluso lo sviluppo delle alterazioni del metabolismo del glucosio e l’aterogenesi precoce durante l’infanzia e la prima età adulta.
Interventi sulla sindrome metabolica
E’ in corso un progetto spagnolo centrato sull’intervento multidisciplinare per la prevenzione e il trattamento della sindrome metabolica. Lo scopo del progetto è di apportare miglioramenti all’approccio clinico e terapeutico della sindrome metabolica che, anche in Spagna, mostra un’incidenza in aumento. Si tratta di uno studio su 100 soggetti suddivisi in due gruppi: 50 in dieta con indice glicemico basso di tipo mediterraneo, con restrizione del 30% dell’intake energetico, con una perdita di peso personalizzata, una distribuzione dei macronutrienti rispettivamente del 40/30/30 e una frequenza dei pasti giornalieri pari a 7/die; mentre il restante gruppo di controllo si mantiene la stessa restrizione calorica, il modello di riferimento è quello dell’American Heart Association. Per 8 settimane i partecipanti di entrambi i gruppi sono sottoposti a controllo della compliance, a un sostegno psicologico e si prevedono poi 16 settimane di autocontrollo, senza alcuna raccomandazione dietetica. Le misure dei parametri di composizione corporea e le analisi di laboratorio su sangue e urine sono raccolte ad ogni fase. Finalmente uno studio comparativo tra i due modelli dietetici maggiormente impiegati sullo stesso tema clinico: rimaniamo in attesa dei risultati!
Fonte:Nutr Hosp. 2011 Feb;26(1):16-26. The reduction of the metabolyc syndrome in Navarra-Spain (RESMENA-S) study: a multidisciplinary strategy based on chrononutrition and nutritional education,together with dietetic and psychological control

La sindrome metabolica influisce sull’apprendimento
di Carla Brazzoli  (http://scienza.panorama.it/salute)

Un nuovo studio condotto dai ricercatori della New York University School of Medicine  e pubblicato sulla rivista Pediatrics  ha rivelato per la prima volta il legame tra la sindrome metabolica e le capacità cognitive e di apprendimento negli adolescenti. E mette in guardia i pediatri perché ne tengano conto nel trattare l’insorgenza dell’obesità nei bambini (che negli Stati Uniti  è in forte aumento).
Antonio Convit, professore di psichiatria e medicina della NYU School of Medicine e membro del Nathan Kline Research Institute, con i colleghi aveva già evidenziato  che la sindrome metabolica ha un legame con i problemi neurocognitivi negli adulti, ma si pensava che questa associazione fosse un effetto a lungo termine di uno scarso metabolismo. I chilogrammi in esubero avrebbero un forte impatto sul cervello e sulle sue prestazioni anche negli adolescenti.
Lo scoperta è il risultato di una ricerca effettuata esaminando 49 adolescenti con sindrome metabolica e 62 in buona salute. Abbinati per età, status socio-economico, sesso ed etnia, i ragazzi sono stati sottoposti a esami del sangue e risonanze al cervello, oltre che ad alcuni test cognitivi.
I giovani con problemi di peso hanno ottenuto punteggi inferiori sia in matematica che nell’abilità linguistica, una minore capacità di attenzione e un quoziente intellettivo in media dieci punti più basso degli altri, mentre la memoria è risultata pari tra i due gruppi.
Gli autori dello studio hanno inoltre rilevato delle significative differenze nella struttura e nel volume cerebrale dei due gruppi di adolescenti esaminati: nel gruppo con sindrome metabolica è stato evidenziato, tra l’altro, un volume più ridotto dell’ippocampo, che è l’area coinvolta nell’apprendimento e nel ricordo delle informazioni. I ricercatori hanno concluso che anche pochi anni con problemi di metabolismo possono causare complicazioni cerebrali.
I genitori non devono sottovalutarli ma intervenire tempestivamente aiutando i loro figli a  cambiare lo stile di vita e l’alimentazione.
Tuo figlio sarà obeso? I PRIMI SEGNI A 3-4 anni
di Marta Buonadonna (http://scienza.panorama.it/salute )
I dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità parlano chiaro: l’obesità nel mondo è più che raddoppiata dal 1980 a oggi. Nel 2008 si stima che gli adulti sopra i 20 anni in sovrappeso fossero un miliardo e mezzo, con 200 milioni di uomini e 300 milioni di donne classificabili come obesi. Un fenomeno in crescita esponenziale che interessa purtroppo anche i bambini. Uno studio del’Università di Montreal, in Canada, ha individato alcuni fattori predittivi. Nel 2010 c’erano al mondo 43 milioni di bambini sotto i 5 anni in sovrappeso. L‘Italia segue il trend; i dati del progetto di sorveglianza Okkio alla Salute , che nel 2010 ha monitorato 42.000 bambini della scuola primaria, dicono che il 23% è in sovrappeso e l’11% obeso. In un mare di dati preoccupanti, dal momento che  l’obesità rappresenta un fattore di rischio per numerose patologie, dal diabete alle malattie cardiovacolari, la buona notizia è che si può prevenire. Per farlo può essere utile individuare precocemente le persone che hanno più probabilità di andare incontro al sovrappeso. Anche in Quebec si è registrata un’ondata di obesità nell’ultima generazione, per questo sono attivi programmi di monitoraggio e sono stati svolti studi longitudinali per aiutare a mettere a punto politiche di prevenzione. Proprio attingendo allo Studio longitudinale sullo sviluppo dell’infanzia , durato dal 1998 al 2006, Laura Pryor e i colleghi del Dipartimento di Medicina sociale e preventiva dell’Università di Montreal hanno analizzato i dati di 1.957 bambini, dei quali erano stati registrati peso e altezza a intervalli di un anno tra i 5 mesi e gli 8 anni di età. La banca dati ha permesso ai ricercatori di osservare l’andamento dell’indice di massa corporea o BMI, dall’inglese Body Mass Index, dei bambini nel tempo. Questo parametro, come è noto, si ottiene dividendo il peso in chili per il quadrato dell’altezza in metri e serve a capire se una persona è sottopeso, sovrappeso o ha il peso giusto per la propria altezza. Cosa hanno scoperto gli studiosi canadesi? Che i bambini potevano essere suddivisi in tre gruppi, ciascuno corrispondente a un diverso andamento dell’indice BMI: bimbi con un BMI basso e stabile (circa 54%), bimbi con BMI moderato (circa 41%) e infine quelli con un indice alto e in aumento (circa 4,5%), denominato BMI ad alta crescita. Il fatto interessante, spiegano gli autori dello studio pubblicato sulla rivista Archives of Pediatric and Adolescent Medicine, è che “le traiettorie di tutti e tre i gruppi erano simili fino a che i bambini avevano circa due anni e mezzo. Ma dai tre anni e mezzo in poi il BMI del gruppo ‘ad alta crescita’ ha cominciato a salire”. “Quando i bambini hanno raggiunto l’età scolare”, prosegue Pryor, “oltre la metà di loro erano obesi secondo i criteri internazionali”. Analizzando tutti i dati disponibili sui bambini dello studio, i ricercatori hanno individuato due fattori che possono spiegare quest’andamento così diverso tra il gruppo “ad alta crescita” e gli altri gruppi: il peso della madre al momento del parto e se la madre fumasse in gravidanza. I figli di madri in sovrappeso o fumatrici avevano una più alta probabilità di appartenere al gruppo con BMI alto. Questi due elementi si sono rivelati più importanti di altri criteri, come il peso del bambino alla nascita, per poter prevedere il rischio obesità. Ovviamente, precisano i ricercatori, questi fattori di rischio rappresentano solo un’accresciuta probabilità di andare incontro a sovrappeso, non una causa diretta dell’obesità, ma si tratta pur sempre di una scoperta molto utile. “La nostra ricerca si aggiunge alle prove crescenti che l’ambiente perinatale ha un’importante influenza sull’obesità futura”, conclude Laura Pryor. “Ciò indica la necessità di interventi precoci nelle famiglie a rischio per prevenire lo sviluppo di problemi di peso nell’infanzia”.

Studi di riferimento per il futuro del bambino e per la prevenzione
»1° studio
In uno studio pubblicato  della rivista International Journal of Obesity, pubblicato sul web, alcuni ricercatori australiani delle Università di Georgia e Melbourne, hanno scoperto che i bambini con un ampio giro vita, superiore del 25% di quello medio dei loro coetanei, mostravano di correre un rischio da cinque a sei volte più alto di sviluppare la Sindrome metabolica.
Lo studio ha usato dati raccolti su 2.188 Australiani quando avevano un’età compresa tra 7 e 15 anni e  sono stati controllati nei successivi 20 anni. In passato si ricorreva all’indice di massa corporea (BMI), che rapporta il peso all’altezza, come misura primaria dell’obesità infantile. Ma, come dice il ricercatore While Schmidt, l’indice di massa corporea non distingue la massa grassa da quella non grassa e non indica dove il grasso è localizzato. Per contro la misurazione della circonferenza eseguita a livello del giro vita cattura la quantità di grasso presente nella parte centrale del corpo, area che studi precedenti hanno evidenziato essere particolarmente correlata con la salute cardio-metabolica.
While Schmidt  ha affermato: “Penso che ai genitori interessi sapere se i loro figli corrono un accresciuto rischio di incorrere in fututo in problemi di salute di natura cardiologica e metabolica. Lo studio dimostra che l’accresciuta percentuale di obesità nei bambini e ragazzi d’oggi  avrà conseguenze a lungo termine. Ci aspettiamo che chi è bambino oggi avrà  percentuali più elevate di diabete e di malattie cardiovascolari  e che questi problemi insorgeranno prima nella loro vita.”
da: http://www.lalungavitaterapie.it/

 
2° studio
La terapia e la prevenzione
Da un punto di vista terapeutico la sindrome metabolica richiede un profondo cambiamento delle abitudini di vita. Poichè l’obesità costituisce l’elemento che sta alla base della sindrome metabolica, la riduzione del peso corporeo rappresenta uno degli elementi principali della terapia 1. Come raggiungere questo obiettivo? Bisognerà adottare una strategia su più fronti che preveda una dieta a ridotto contenuto calorico, l’aumento dell’attività fisica ed in generale profondi cambiamenti delle abitudini di vita.

Si tratta di un percorso lungo e probabilmente faticoso, bisogna che il soggetto sia consapevole che non esistono provvedimenti miracolosi e che l’eccesso di peso che si è accumulato nel corso di anni non potrà essere eliminato troppo rapidamente. Per fare un esempio concreto se partiamo da una base di assunzione di circa 3500 kcal giorno, una restrizione calorica di circa 500 kcal  al giorno porterà alla perdita di circa mezzo Kg la settimana.  Questa riduzione calorica  si può ottenere con provvedimenti apparentemente banali come scegliere porzioni di cibo più piccole, privilegiare gli alimenti integrali, mangiare più frutta e  vegetali, usare latte scremato, eliminare gli alimenti fritti, bere acqua anzichè bibite, succhi o alcolici.  Fatti salvi questi concetti  di una dieta nutrizionalmente equilibrata, è più importante l’aderenza alla dieta che non il tipo di dieta scelto. 

D’altro canto, il calo ponderale induce una serie di   cambiamenti positivi in molti componenti della sindrome metabolica, innescando una sorta di “processo virtuoso” che col tempo farà si che i livelli di colesterolo, il rischio cardiovascolare, l’ipertensione arteriosa tornino verso valori più accettabili e meno rischiosi.
Esistono una serie di presidi farmacologici che di volta in volta potranno essere prescritti per il controllo del diabete mellito, della dislipidemia o dell’ipertensione arteriosa. Naturalmente la prescrizione e l’assunzione dei farmaci devono avvenire sotto diretto controllo medico.
Prevenire è meglio che curare
Questo adagio è vero anche in caso di sindrome metabolica. I dati emanati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dicono che oltre il 66% degli americani è sovrappeso oppure obeso e la prevalenza di obesità (numero di nuovi casi per anno) sta aumentando rapidamente nella maggior parte dei paesi industrializzati 2. Anche i bambini e gli adolescent i stanno progressivamente diventando più obesi, un dato che fa prevedere che  l’attuale trend accelererà nel tempo. Questo pone molti bambini e adolescenti a rischio per lo sviluppo di numerose condizioni patologiche avverse che persisteranno nell’età adulta. Un bambino obeso sarà anche a rischio di sviluppare problemi psicologici e comportamentali 3.
Sono soprattutto i familiari che determinano l’alimentazione dei bambini sia in termini di qualità che di quantità del cibo. Si è  ad esempio osservato che l’aumentato consumo negli ultimi 20 anni delle bevande zuccherine è andato di pari passo con l’incremento dell’obesità infantile, per questo  il consumo di calorie “liquide” deve essere limitata e scoraggiata.  È quindi fondamentale il ruolo dei genitori  e della famiglia in generale nel proporre una dieta sana fin dalla più tenera età 4,  nel limitare e controllare tutti quei comportamenti che si è visto favoriscono l’obesità anche nei bamibini come l’eccessivo utilizzo della televisione o dei video-giochi, la frequente assunzione di “merendine”, e nell’incoraggiare, invece, la pratica di attività sportiva, i giochi all’aperto, l’utilizzo della frutta a merenda.
Bibliografia
1. Harrison’s. Principles of Internal Medicine 17th edition. Capp 75 e 235.
2. Ogden CL, Flegal KM, Carroll MD, Johnson CL. Prevalence and trends in overweight among US
children and adolescents, 1999–2000. JAMA 2002;288:1728–1732.
3. Erermis S, Cetin N, Tamar M, Bukusoglu N, Akdeniz F, Goksen D. Is obesity a risk factor for
psychopathology among adolescents? Pediatr Int 2004;46:296–301. [PubMed: 15151546]
4. Brian Bennett, Melinda S. Sothern. Diet, Exercise, Behavior: The Promise and Limits of LifestyleChange. Semin Pediatr Surg. 2009 August ; 18(3): 152–158.    
 da: http://www.lalungavitaterapie.it

febbraio 6, 2013autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Una piccola ebrea: Adriana Revere

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Una piccola ebrea:  Adriana Revere

Questa riflessione si snoda proprio nel ricordo del giorno dell’arresto della bambina  Adriana (La Spezia 1934- Auschwitz 1944) che si era rifugiata con i genitori a Vezzano Ligure  per sfuggire  ai primi bombardamenti.
Adriana Revere, aveva  dieci anni, era nata La Spezia il 18 dicembre 1934 figlia di Enrico Revere e  Emilia Eva De Benedetti. Il 3 febbraio del 1944 i carabinieri, su ordine del Prefetto Franz Turchi, catturano tutta la famiglia perché ebrei, e li inviarono al Campo di concentramento di Fossoli di Carpi dal quale furono deportati  al campo di sterminio di Auschwitz ove la piccola Adriana  fu uccisa con la madre nella camera a gas il 26 febbraio 1944.  Il padre Enrico Revere, figlio di Moise Revere e Ernesta Ortona era nato a Torino il 22 aprile 1904 ed  era un ex maresciallo radiotelegrafista ( “ex”  perché costretto a lasciare il lavoro dalle leggi  fasciste). La madre  Emilia Eva De Benedetti, figlia di Celestino De Benedetti e Linda Cavaglion era nata a Cuneo il 14 aprile 1907 ed  era un abile pianista. Il padre fu ucciso ( fucilazione)  nel campo di Flossenburg il 28 ottobre 1944.

 Il campo di   concentramento di Fossoli  di Carpi  era  un campo di  transito. I circa 5.000 prigionieri politici e razziali che passarono da Fossoli ebbero come tragiche destinazioni i campi di Auschwitz-Birkenau, Dachau, Buchenwald, Flossenburg.
Dalla fondazione ex campo di Fossoli si leggono queste note storiche:
Nel campo di Fossoli si sono sovrapposte diverse situazioni e non sarà inutile ripercorrere brevemente le vicende legate al suo utilizzo: Istituito dagli italiani nel maggio 1942 come campo per prigionieri di guerra inglesi, viene occupato dopo l’8 settembre 1943 dai nazisti, attratti da strutture in muratura di recente costruzione e dalla posizione geografica che fa di Fossoli un punto strategico sulla via ferroviaria che porta al nord, verso i campi della morte. Il Campo viene ceduto, fino alla fine del 1943, alla neonata Repubblica Sociale che ne fa un centro di raccolta provinciale per ebrei, in ottemperanza ai dettami della Carta di Verona. Dal gennaio 1944 subentra la gestione diretta da parte delle SS e si attiva il processo di deportazione: Fossoli diventa campo poliziesco e di transito per prigionieri politici e razziali destinati ai Lager del nord Europa. Dalla stazione di Carpi partono, in sette mesi di attività del campo, 8 convogli ferroviari, 5 dei quali destinati ad Auschwitz. Sul primo diretto verso questa meta, il 22 febbraio, viaggia anche Primo Levi che rievoca la sua breve esperienza a Fossoli nelle prime pagine di “Se questo e un uomo” e nella poesia “Tramonto a Fossoli”. Il convoglio giunge ad Auschwitz il 26 febbraio; Primo Levi è tra i 95 uomini (su circa 600) che superarono la prima selezione e viene immatricolato nel Campo col numero 174517.

Al di là del crimine inaudito, del delitto, della violenza, mi chiedo perché prendersela con una bambina di 10 anni. Tolta alla vita dalla barbaria nazista,  quando stava per spiccare il volo  esistenziale che l’avrebbe portata ad amare la vita. La zia Silvia Revere, in una lettera la rievoca nella sua mente  e la chiama   “adoratissima bimba”
Appena arrivati ad Auschwitz-Birkenau i prigionieri dovevano subire il processo di selezione durante il quale le SS generalmente decidevano immediatamente che la maggior parte non era adatta al lavoro forzato, destinandola di conseguenza subito alle camere a gas. E la piccola Adriana subì subito questo trattamento.

adriana

Mi ricordo le parole  in versi di Primo Levi nel suo libro” Se questo è un uomo”, in cui racconta le sue terribili esperienze nel campo di sterminio nazista. Levi viaggiò con la bambina e  suoi genitori  nello stesso vagone piombato. In questo libro  di memoria e di testimonianza del proprio vissuto, parla di loro e ricorda che madre e figlia all’arrivo, vennero subito uccise nella camera a gas.
“Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no “
Adriana  invece è una bambina e come tutte le bambine è  piena di sogni e di desideri, spensierata,  gioiosa della vita. Il suo sorriso rimane per sempre scritto nella memoria di coloro che non dimenticheranno questa atrocità. Ora una luce splende nel cielo a ricordare gli orrori nefasti di una ideologia distruttiva senza rispetto per nessuno. Sì, tu per me  sei più che una stella nell’ universo. Quando guardo il cielo, nelle sere stellate  la piccola Adriana, innocente bambina  ebrea, appare  come Sirio a risplendere nella mia mente , a ricordarmi che debbo fare qualcosa nella mia vita quotidiana che  faccia ricordare il martirio e la sofferenza  di tante persone vittime dell’olocausto  e di una mentalità artefatta e degenerata.

L’olocausto non è un episodio isolato e marginale della  seconda guerra mondiale. Non bisogna essere superficiali. La maggioranza dei sociologi  spesso trascura l’approfondimento di questo dramma. Il primo nucleo del problema è l’antisemitismo che nasce quasi come archetipo deviante nella nostra storia culturale da circa duemila anni. Un altro dato da considerare è che il razzismo è impensabile senza lo sviluppo illuministico, tecnologico e modernistico del potere politico.  Un gruppo  (che è maggioritario) viene considerato migliore, buono e capace  di  garantire la vivibilità di uno stato   e il gruppo minoritario viene considerato un nemico che deve essere allontanato e rimosso o sterminato totalmente. La cultura dominante, anche se cristiana ma solo a parole, utilizzando leggi appropriate e liberticide, prepara il terreno con un meccanismo metodico e calcolato (burocratico e legislativo). Questo fa rimanere perplessi e disorientati.  Abbiamo si il regime hitleriano (paranoico, crudele e determinato)  ma  abbiamo  anche una popolazione tedesca e  anche italiana  eticamente indifferente. Anche i militari che erano ai campi di concentramento agivano in un clima di de-responsabilizzazione. A mio parere non erano dei robot agli ordini superiori, come spesso si sente dire e si legge. Erano dei criminali,  privi di coscienza e di moralità,  senza un minino di bontà, di senso di colpa, di affetto, di una visione “umana” della realtà. Per questo sono amareggiato perché questa combinazione di elementi ( ideologici, modernistici,  e culturali) si può ripetere e portare ad un altro olocausto. Per questo continuo, nel mio piccolo, la battaglia per una etica più vera,  per una memoria più viva di quello che è successo, per lo sviluppo di  un amore aperto e responsabile verso tutti coloro che soffrono nell’ apatia totale del potere dominante. Perché ciò che è successo,  non dovrà più succedere.
Questo, ovviamente, non basta e non è sufficiente a spiegare i vari olocausti che si sono succeduti nel tempo. Purtroppo la sociologia come scienza che studia i fenomeni della società umana ( studio scientifico della società) , indagando i loro effetti e le loro cause, in rapporto con l’individuo e il gruppo sociale, non può spiegare tutto. Solo collegandola con la lo sviluppo della personalità (sia a livello genetico che di imprinting ambientale)  nella sua evoluzione  esistenziale  forse, si può dare una risposta al massacro collettivo e nello stesso tempo alla perdita dell’ “umanità”  dell’essere umano. Dentro di noi ci sono nuclei  costruttivi del bene e  nuclei distruttivi del male. Nella sua evoluzione l’homo sapiens spesso non è “sapiens”. Quando l’istinto di sopravvivenza prevale sull’istinto sociale, alcune emozioni “addormentate “ nel nostro mondo interno come l’ “invidia” e  l “ egoismo” si trasformano in un cancro maligno con metastasi in tutti i vari distretti organici.
Entrambe queste emozioni,  potenzialmente dannose ed estremamente pericolose, che fanno parte dei residui istintuali animaleschi del nostro cervello primitivo, nuclei ereditari del nostro essere che lottava per la sopravvivenza, in alcune situazioni in cui c’è la costruzione della bontà e della cooperazione sociale ( istinto sociale) possono trasformarsi in parti energetiche e produttive dello sviluppo  della persona nella sua piena armonia e creatività (competere per migliorare, volersi bene per amare gli altri).  Tuttavia quando l’uomo  non è più uomo ( non homo “sapiens sapiens”  ma “homo sapiens insipiens”) e   quando non c’è capacità di coltivare il bene, allora queste due bombe emotive , unite a una  cultura pseudo scientifica, pseudo –illuministica e pseudo – religiosa, si trasformano in sentimenti di ostilità radicata nella mente a livello personale e  nella visione deformata di un potere dominante paranoico in un programma di distruzione di massa che trova il capro espiatorio nelle minoranze. La storia di diversi popoli ci insegna che questa combinazione tra individuo   (in cui il male prevale sul bene) e la società  (priva di valori fondati sulla pace, sulla giustizia e sul rispetto e tolleranza reciproca) si è sempre ripetuta nel tempo (con violenze inaudite e massacri inaccettabili) e quindi si potrà sempre ripetere.
Per questo ognuno di noi deve dare il suo contributo a secondo le sue tendenze e la sua espressività creativa per  non permettere all’oblio di prevalere sulla memoria e alla falsità di primeggiare sulla verità storica. Bisogna essere vigili nel ricordo, costruttori di un benessere individuale e collettivo, portatori di un programma democratico eticamente corretto. Bisogna essere “contro” qualsiasi ideologia che limita la libertà personale; distrugge la morale con l’uso dell’indifferenza, del relativismo, del nichilismo e dell’apatia mentale; sviluppa l’odio  e utilizza il potere economico, legislativo e amministrativo per distruggere, segregare, annullare; promulga leggi razziali;  fa piazza pulita di valori come il rispetto reciproco, la tolleranza, la solidarietà, la fratellanza tra le varie componenti di uno stato, e non consente alla persona, al gruppo, a parti della collettività nel suo insieme  di vivere con dignità la propria vita personale e sociale e  di esprimere la gioia  di vivere.

Piccola Adriana mi dispiace per quello che è successo. Ma non giustifico nessuno. Tu sei una piccola grande stella. Tu hai un sorriso indimenticabile.  La tua luce mi dà una speranza. Io penso che bisogna cambiare, ci vuole una trasformazione interiore per non scomparire,  ci vuole un cambiamento radicale    che ci consente di crescere nell’amore verso se stessi e verso gli altri  e nella consapevolezza  attiva del momento storico che viviamo, in modo  da dare   il meglio di noi stessi   giorno per giorno non solo a livello intenzionale ma anche operativo. In questo modo anche la società può cambiare. Soprattutto non bisogna dimenticare il tuo calvario e quello dei tuoi cari e tutta la tragedia dell’olocausto e degli orrendi crimini che l’uomo commette verso un altro uomo, verso un “fratello”  in questo breve cammino esistenziale. Il passato è la nostra storia, la nostra storia ci insegna  a capire il presente e a migliorare il nostro futuro.

Vorrei che ognuno di noi ricordasse questa frase di Einstein: “il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare.

febbraio 2, 2013autore Angelo Vigliotti
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