Dott. Vigliotti Angelo - Un punto di incontro, di ascolto e di dialogo
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Il Cammino di luce

Il mare d’autunno: una passeggiata, una amarezza profonda

Il mare d’autunno: una passeggiata, una  amarezza profonda.

Sabato 16 novembre. in Versilia è una bella giornata. Non fa freddo. Sono cirvca le otto del mattino e io mi accingo a fare una passeggiata  lungo il mare.  Sono vicino al bar “la sirena” e sul lato desto del bar c’è l’entrata sul mare, la percorrro a piedi .
Quest’anno l’autunno in Toscana è stato meraviglioso: bello, emozionante, colorato e  melanconico come sempre. In Versilia, terra che io frequento abitualmente è stato stupendo. Lungo le vie della Francigena  ( principale percorso del pellegrinaggio medioevale verso Roma e gerusalemme) c’è sempre una bellezza magica. La strada che da Camaiore porta a Lucca, lungo il passo di Montemagno le colline sono piene di foreste con un mosaico di colori vivi e variopinti.  E’ l’incantesimo  della natura con le feste della vendemmia, delle castagne  e dell’olio,   dei funghi e del tartufo. Fra poco ci sarà la festa a Camaiore del prim’olio del primovino ( fine novembre- primo di dicembre). Ma ogni borgo ha il suo tesoro che espone e festeggia   con una sagra .
Intanto ero arrivato  lungo il bordo  del mare e lambivo quasi le onde. Quella mattima ero in meditazione. Mi piace ascoltare il mio corpo e in particolare il mio respiro quando passeggio con la musica dal mare a lato e con la visione delle apuane dall’altro lato e mi avviavo  verso ovest e vedevo di lontano il golfo dei poeti con l’isola Palmaria, Tino e Tinetto. E’ su quei paesaggi che i viareggini vedono tramontare il sole! Il 16 novembre c’era un pizzico di sole, quel pò di sole mi accarezzava le spalle e mi spingeva ad andare avanti verso il pontile a tonfano, Marina di Pietrasanta.
Sporcizia e disordine
So che siamo in un clima di risparmio, ma sulla spiaggia c’era di tutto , ho contato una decina di copertoni di gomme, e poi qualche siringa, qualche scarpina e altre cose, ma ciò che mi ha fatto più impressione  è sytata una mezza bottiglia rotta con il vetro verso l’alto che poteva essere pericolosa sia per bambini che persone anzianeer e per  i cani che che spesso vengono a correre in uno spazio di completa libertà.Ho raccolto tutti frammenti della bottiglia e ho messo tutto vicino a un tronc , un residuo di albero, che giacev, a monunmento isolato di legno, battuto dai flutti, sulla sabbia, in modo ben visibile e in modo che non potesse far male, sperando che poi con calma venisse rimossa dagli addetti alla pulizia. Il mare d’autunno è sorprendente. Un pò caldo, un pò freddo. E’ una goduria per il viaggiatore solitario almeno fino alle 10 del mattino.  E’   adorabile guardare senza pensare l’orizzonte,    la terra e il cielo con le nubi che ti accarezzano un pò, il mare e le apuane che in quel giorno erano terse e visibilissime quasi a tre dimensioni.. E’  splendido godere di una brezza  che apre la fantasia ua mille giochi e a mille sogni. Ma dovevi stare attento dove  camminavi. Mi dispiace.

Un pescatore solitario: un dramma
Camminavo verso il pontile di Marina di Pietrasanta ed ecco un pescatore  che ad un certo punto con la lenza ha preso un pesce. Un pesciolino di una decina di centimetri.
Io mi chiedo perchè …a cosa serve tanta violenza gratuita. Sono contrario a queto tipo di pesca in luoghi dove possono passeggiare bambini e ragazzi. Sono contrario  perchè è una violenza gratuita. Una violenza da sport.  Non sono un fondamentalista…ma non capisco perchè  permettono questo tipo di pesca e a cosa serve soprattutto sulla spiaggia, sugli scogli, in luoghi pubblici..
L’uomo primitivo uccideva gli animali e forse questo tratto ancestrale c’è rimasto dentro il cervello……ma l’uomo preistorico uccideva per sopravvivenza. Mentre ora si uccide per il puro gusto sportivo di uccidere… e raccontare agli amici…“oggi mi è andata bene”  Ho preso un  chilo di pesci o più oppure “oggi mi è anadata male ” ho preso solo alcuni esemplari. La pesca sportiva è basata sul divertimento e  sul passare alcune ore all’aria aperta. Il pesciolino si dibatteva  per vivere prima di morire trafitto da un amo che non perdona e tolto brutalmente dal proprio ambiente e messo in un secchiello. Un vero sportivo può praticare la pesca   e può prendere il pesce ma poi rilasciarlo  ( no – Kill: non uccidere!).
Il pontile di marina di pietrasanta.
Il pontile si trova a Tonfano e fu inaugurato ( se ricordo bene) Il 14 giugno 2008 . E’ veramente molto grazioso e alla fine del lungo corridoio di ientrata sul mare c’è una rotonda e sulla cui destra  c’è la statua di Sant’Antonio patrono di Marina di Pietrasanta. Al momento della mia passeggiata ( sono le nove e mezzo del mattino) sulla rotonda sono installate due giganti di bronzo:  “Il nuovo Adamo” e “La nuova Eva” realizzate da Helga Vockenhuber, una grande  artista austriaca.  Due sculture, due grandi simboli che  esprimono l’archetipo del maschile e del femminile;  il grande padre, la grande madre. E’ un richiamo al mito della nascita dell’uomo e veramente sono un invito alla contemplazione. Infatti arrivo e mi siedo su una panchina a guardare i volti e i capelli di queste due teste gigantesche. Ma cosa vedo?  Sul pontile è permesso pescare. E propio allora un pescatore prende un polpo.  E con gioia e entusiasmo  lo fa vedere…ci sono diversi bambini…e poi lo uccide con un coltello. Ho assistito insieme alle due  menti primitive delle statue, anche loro attonite e sgomente, di fronte  a una scena di violenza e di non rispetto non solo per il polpo ( che poteva essere ammazzato altrove) ma neanche per l’innocenza dei bambini, la cui mente  già condizionata da troppi messaggi contraddittori veniva impressa da questa visione del più forte contro il più debole, della gioia, di far male, dalla sofddisfazione di essere riuscito a raggiungere l’obiettivo.. Ho girato la testa.

Amarezza profonda
Leonardo da Vinci disse: ” verrà il tempo in cui l’uomo non dovrà più uccidere per mangiare, ed anche l’uccisione di un solo animale sarà considerato un grave delitto.”Non c’è bisogno di essere vegetariano e io  non sono un vegetariano  per dire “no” a questi comportamenti. Anche  un praticante della dieta mediterranea  vera ma moderata nelle carni   ( come sono io: molta verdura, molta frutta. cereali  integrali, latte e latticini, e una volta al mese soltanto un pò di carne bianca )  non può permettere queste cose.  La sofferenza dell’animale che muore, la vita che viene spezzata per trasformarsi in pietanza, il modo di uccidere. Bisogna  capire che si può vivere senza mangiare carne o pesce. Si può vivere benissimo e con salute. Una salute superiore a quella attuale con più energia, più tolleranza, più etica, più rispetto per gli  altri. Anche se molti colleghi medici non ci credono e molti pediatri sonnecchiano. E anche se si mangia il pesce non c’è bisogno di questa violenza gratuita in mezzo a dei bambini, a un pubblico. Non è eticamente corretto. Non può essere. C’è una piramide alimentare in cui la carne è all’ultimo posto e c’è una piramide ambientale in cui la carne e il pesce sono all’ultimo posto. E’ un crimine non contro l’umanità ma contro il proprio cuore, la propria anima, il proprio futuro.

novembre 17, 2013autore Angelo Vigliotti
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Divulgazione scientifica

Malattia e morte di un bambino ( o di una bambina)

Malattia e Morte di un bambino

La morte di un bambino oggi non è accettata! E’ come se i bambini non dovessero mai morire. Molti genitori  “non accettano” l’evoluzione grave e progressiva di una malattia,di un incidente stradale, in cui sono coinvolti bambini e altre occasioni  traumatiche coivolgenti l’età infantile  e ” accettano” qualsiasi terapia affinchè non si arrivi o  non si possa arrivare alla morte. Bisogna stare attenti tra due estremi nella cura di bambini  e bambine terminali: quello di non fare troppo e quello di fare troppo.  E’ opportuno evitare sia l’eutanasia che l’accanimento terapeutico e  stare in una giusta posizione, in una situazione di mezzo in cui è molto importante la terapia palliativa e la oresenza del pediatra e dell’equipe. La virtù sta nel mezzo.
E’ necessario una visione più aperta del problema per  dare una informazione più dettagliata della malattia   o del trauma che ha coinvolto il bambino sia nei riguardi dei genitori  che nel bambino ( almeno  dai 7 ai 12 anni) e nell’adollescente progressivamente in modo autonomo. Dire la verità e dirla in modo appropriato  per il pediatra è un atto di coraggio. Nulla si ottiene se un pò di sacrificio e di abdicazione. la verità, detta in maniera giudiziosa, con sentimento  e affetto profondo e delicatamente va sempre detta, rispettando non solo i momenti del vissuto quotidiano ma anche l’età e il periodo di crescita e di sviluppo del bambino.

Prendersi cura del bambino

Durante una malatttia progressiva o durante una evoluzione di un trauma, dopo la parte informativa c’è la parte empatica. Il pediatra deve garantire la qualità della vita del bambino al massimo dei suoi sforzi e delle conoscenze scientifiche e in modo ottimale  e prendersi cura della mente , del copro e dell’anima senza distinzione tra le tre dimensioni esistenziali.  In contemporanea  deve prendersi cura dei genitori e del sistema familiare.
Debbo dire che io, personalmente, come pediatra e psicoterapeuta, quando ho davanti a me un bambino che soffre,   dentro di me  ripeto il mantra dell’amore dell’ Ho’ hoponomono e dico : mi dispiace, ti prego, perdonami; grazie, ti amo. Lo ripeto centinaia di volte affinchè purificato me stesso,  possa vibrare energie positive verso il bambino e verso coloro che sono nel suo mondo.. Non c’è da ridere: la compassione, il perdono, la gratitudine e l’amore sono sentimenti superiori di enorme portata benefica : entrano nell’anima, arricchiscono la mente, tonificano il corpo. In questo modo la luce dela mia anima si diffonda sul bambino e su suoi familiari. Bisogna gestire il dolore fisico ( corpo), la paura ( mente e affetti) e le difficoltà comunicative ( anima) in modo che il bambino possa esprimere liberamente le sue preoccupazioni, le sue ansie, le sue angosce, le proprie emozioni e poter piangere con tranquillità il suo dolore ( senza blocchi).
ll concetto di malattia e di morte  nel bambino
Il bambino piccolo può far confusione tra il dolore dovuto alla patologia di cui soffre e dalla sofferenza causata dalla terapia che riceve. Le continue attenzioni, le cuntinue cure e interventi che riceve non sono sempre  indolori.
Un bambino nella fase di imprinting ( i primi sette anni di vita) non ha un pensiero operativo o astratto ma un pensiero concreto. C’è la malattia che secondo la mente del bambino può essere dovuto a qualche errore che ha fatto nell’ambito della sua attività di ogni giorno:  una disubbidienza per cui è stato punito; una cattiva azione  e ora ne paga le conseguenze; forse  ha fatto arrabbiare la mamma o il papà ed ecco la risposta al suo comportamento. A secondo l’età del bambino bisogna entrare nella sua mente e sciogliere i suoi piccoli enigmi ponendoci in una situazione di ascolto partecipativo e coinvolgente.Le  fantasie inconsce sono straripanti in questo periodo come un fiume in piena e il bambino dese essere aiutato a contenerle  e ad avere un canale di scarico.
Il bambino nei primi tre anni di vita prima della nascita della coscienza non sa cosa è la morte. Dopo i tre anni la morte appare al bambino come separazione di qualcosa  ( in genere la separazione è avvertita come  momentanea  e il bambino si aspetta che la persona “morta”  possa ritornare). In seguito   piano piano  appare il concetto di irreversibilità e di universalità della morte  ma non è sempre e da tutti comprensibile.   Verso i 5 anni  il concetto di morte si struttura sempre di più e dopo i sei anni si evidenzia il quadro relaistico della perdita    in tutta la sua chiarezza e tragicità . Tuttavia si osservano tanti bambini anche piccoli che nel momento della sofferenza più acuta sono consapevoli di qualcosa di grave dentro  di loro.  D’altra  parte si osserva  anche  che una buonapercentuale di bambini riesce a entrare nel concetto della morte come concepita dagli adulti, solo dopo gli 10 anni.
Verso la morte, verso la fine
Quando siamo agli ultimi istanti e poco prima di morire, la famiglia tutta è riunita attorno al bambino. Ed è giusto che ci sia anche il pediatra che l’ha seguito nell’ultimo percorso sia per il bambino sia per i genitori. Non conviene fuggire. A volte ci nascondiamo con la fatidica frase:  “abbiamo fatto tutto il possibile”.
Cosa  fare?
Bisogna seguire il bambino nel suo percorso. “Esserci” è fondamentale per aiutare il bambino.  “Esserci ” è essenziale  senza forzare il porcesso comunicativo.  Inoltre  la presenza del pediatra tende ad  aiutare i genitori ad accogliere  e a rispettare la morte, a dialogare nel silenzio dei singhiozzi dell’ultimo istante,  a sopportare il dolore umano della mamma e del papà e di coloro che hanno amato il bambino. Ogni bambino che nasce ci ricorda  che il mondo è bello e Dio non si è dimenticato della terra e dei suoi abitanti; ogni bambino che muore ci ricorda che un amore visibile è diventato invisibile.

novembre 17, 2013autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Filippo e Filippino: un amore così!

Filippo e Filippino: un amore

Non sono di Prato. Amo questa città in modo incompleto. Non posso però  non riconoscere che ha goduto un  autentico rinascimento  artistico con  Donatello, Paolo Uccello, Filippo Lippi e Filippino Lippi. E poi la storia di questi due pittori è affascinante.

Filippo Lippi
Filippo di Tommaso Lippi nacque a Firenze nel 1406  ( circa) Tommaso di Lippo ( macellaio)  e da Antonia di ser Bindo Sernigi, che morì di parto. A due anni fu affidato, insieme al fratello Giovanni, a monna Lapaccia, sorella del padre.
A 8 anni  entrò nel convento dei carmelitani di Firenze. L’8 giugno 1421 prese i voti e diventò  frate  “Fra Filippo Lippi”. Nel 1424 vede e assiste alla decorazione della cappella Brancacci da parte del Masaccio e di Masolino di Panicale. Ebbe una bottega principale a Firenze  ma lavorò anche a Padova dove subì l’influenza dei pittori fiamminghi e del colore veneto. Chiamato a Prato ( dopo il rifiuto del beato Angelico) per gli affreschi della cappella  maggiore di Santo Stefano ( Duomo). impiegò tredici anni a completare gli affreschi ( 1452 – 1465).  a causa della sua personalità un po’ eccentrica  e non lineare  per cui ci furono  interruzioni di lavoro, fughe, continue richieste di denaro e altre avventure. Comunque in questo periodo pratese dipinse  numerose tavole, tra cui la “ Madonna de Ceppo” , sia per la città sia per altri committenti. Nella città di Prato ebbe anche una storia d’amore con Lucrezia Buti  ( figlia del fiorentino Francesco Buti e di Caterina Ciacchi).  Lucrezia era novizia  nel convento di Santa Margherita dove Fra Filippo Lippi era stato nominato cappellano nel 1456. Ella fu modella per molti suoi dipinti.  Lucrezia lasciò il convento e si stabilì nella casa pratese di Fra Filippo acquistata  nel 1455. Solo 5 anni dopo  nel 1461 il papa Pio II sciolse i voti e la Buti e Lippi regolarizzano  la loro posizione ( ma non si sposano).. Nacquero due figli Filippino Lippi ( 1457) e Alessandra Lippi ( 1465)      
 Nel !466 il Lippi accettò l’incarico dell’opera del Duomo di Spoleto  per gli affreschi con storie della Vergine e si trasferì in quella città ed ivi morì il 9 ottobre 1469 a 63 anni. E’ sepolto nel duomo di Spoleto E personalmente sono andato a vedere la sua tomba. Il sepolcro fu disegnato da suo figlio e il Poliziano  ne scrisse l’epitaffio.

Filippino Lippi
Figlio di Filippo Lippi, si formò alla scuola del padre e poi di Botticelli.  Nacque a Prato nel 1457 ( circa)  e morì a Firenze nel 1504.  Il pade  lo portò con sé  a Spoleto e dopo la morte del padre ( Filippino aveva 12 anni) continuò a lavorare e a formarsi  nelle mani del primo aiutante Di Filippo Lippi,   Fra Diamante, allievo e collaboratore del padre a cui Filippo Lippi lo aveva affidato prima di morire. Fra Diamante capeggiò il gruppo di allievi ed aiutanti fino alla conclusione degli affreschi con le Storie della Vergine.   Filippino svolse la sua attività  in diverse città, tra cui Firenze e Roma.  Nel soggiorno romano eseguì gli affreschi della cappella Carafa in S. Maria sopra Minerva, con l’Assunzione della Vergine e il Trionfo di s. Tommaso d’Aquino. Tra le sue opere più significative  e più belle si ricordano l’Apparizione della Vergine a s. Bernardo  ( Badia fiorentina) e gli affreschi della cappella Strozzi in S. Maria Novella.    E’ curioso ricordare che, nel dipinto della visione di San Bernardo, Filippino ritrasse la moglie nel volto della Vergine, dimostrando di aver ben appreso la lezione del padre. Nello stesso dipinto, ritrasse i figli nei volti degli angeli. L ‘ultima opera fu ”  la Deposizione” per la chiesa della Santissima Annunziata di Firenze, che rimase incompiuta, a causa della sua morte nell’aprile del 1504, e che venne completata dal Perugino. Flippino fu sepolto a ridosso della chiesa di San Michele Visdomini. Nelle opere di Filippino Lippi c’è un grande artista, grandemente creativo,  e non solo  una parte di Botticelli di cui fu discepolo, concorrente e collaboratore, e del padre Filippo;  c’è in alcune sue pennellate qualcosa che ricorda Leonardo da Vinci,  l’impressionismo, il senso del  grottesco, una sensibilità che non può che essere d’avanguardia anche a causa di una atmosfera intrisa di ricordi e di emozioni,  e poi si nota  una aria un po’ eccentrica, un non so che di  fascino e di contrasto. A volte dipingeva secondo la committenza. Per  un piagnone ( seguace  pietista di  Savonarola) il quadro era povero, scarno e lo stile severo, ( esempio: Santa Maria Maddalena nella pala Valori);  mentre  per un pallesco ( seguace dei medici)  lo stile era più ardito e raffinato.  In fondo Filippino Lippi era nato da una storia d’amore straordinaria e tormentata. Aveva una personalità coerente e luminosa.  Il Vasari  stesso dice che “ era  sempre stato cortese, affabile e gentile da cancellare la macchia lasciatagli dal padre”

Storia d’amore
Secondo Giorgio Vasari, mentre dipingeva la pala d’altare per i monastero agostiniano di Santa Margherita a Prato (la  Madonna dà la Cintola a san Tommaso )  in  cui  Lucrezia Buti fece probabilmente da modella per santa Margherita che si vede a sinistra del dipinto originale, frà  Filippo notò una delle suore, Lucrezia di Francesco Buti, «la quale aveva bellissima grazia et aria». «Tanto operò con le monache che ottenne di farne un ritratto, per metterlo in una figura di Nostra Donna per l’opra loro;  e con questa occasione innamoratosi maggiormente […] la menò via il giorno appunto ch’ella andava a vedere mostrar la cintola di Nostra Donna» .

La “ menò via”  dice il Vasari, oggi dovremmo dire la rapì in occasione della processione della Sacra Cintola, portandola nella propria  casa che aveva comprato in Prato. Entrambi erano delle vittime ( monacazione forzata per motivi di povertà). Filippo costretto dal padre  a 8 anni, e Lucrezia costretta dal fratello Stefano  insieme alla sorella Spinetta, per la perdita prematura dei propri genitori. Nella famiglia di Lucrezia c’erano 11 persone tra fratelli e sorelle. Questa relazione all’epoca fu molto osteggiata dalla curia vescovile  e dall’ambiente non solo religioso e si creò uno scandalo. Solo grazie all’interessamento di Cosimo il Vecchio la coppia ottenne una dispensa dai voti, ma  i due non si sposarono mai, perché Filippo aveva un animo gaudente e indipendente e preferiva agire a modo suo anche nelle relazioni sentimentali e in più aveva con sé , dentro il suo cuore, la seconda identità carmelitana.  Non a caso  nel duomo di Spoleto ( dormitio virginis) si raffigurò nell’autoritratto  nei panni di un frate.  Lucrezia era bellissima e la sua figura  fu immortalata e idealizzata  dal Lippi in molti suoi dipinti, forse nel volto di Salomè negli affreschi per il duomo di Prato, forse  nella “Lippina”  degli Uffizi.
Un amore  che non so spiegare
L’amore è un incantesimo che avvolge e può travolgere  chiunque. Il Lippi quando vide per la prima volta Lucrezia se ne innamorò  perdutamente e dentro di sé la vedeva come modella per una immagine divina ma anche come donna di passione e di sesso. Agnolo Poliziano scrisse l’epitaffio per la sua tomba a Spoleto e mi ha colpito soprattutto la frase in cui fa dire al Lippi: “ con le mie dita d’artista  ho saputo infondere vita ai colori”. Lucrezia si innamorò di un frate creativo con un pizzico di follia nel sangue a cui diede due figli. L’amore profondo, nell’ambito della natura terrena,  spesso si nutre di infedeltà. L’amore vero  è incondizionato ed è un’altra cosa. E’ raro, perché unisce il divino all’umano, la terra al cielo, il corpo all’anima. Forse in  lei e  in lui  e tra di loro,  fu vissuto così.

 

novembre 15, 2013autore Angelo Vigliotti
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Il Dott. Vigliotti non dà terapie a distanza. Risponde solo per consigli e ogni suggerimento deve essere filtrato e supervisionato dal medico curante o dal pediatra di famiglia e non accettato passivamente.

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