Dott. Vigliotti Angelo - Un punto di incontro, di ascolto e di dialogo
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Il Cammino di luce

Il fiume e l’albero: il Bisenzio

Introduzione

Ricordo un passo di Siddartha di Herman Hesse: “ ad   ascoltare mi ha insegnato il fiume, e anche tu imparerai da lui. Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui. Vedi, anche questo tu l’hai già imparato dall’acqua, che è bene discendere, tendere verso il basso, cercare il profondo”. Hai appreso anche tu quel segreto del fiume: che il tempo non esiste?”. Un chiaro sorriso si diffuse sul volto di Vasudeva. “Si Siddharta” rispose. “Ma è questo ciò che tu vuoi dire: che il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, nel mare, in montagna, dovunque in ogni istante, e che per lui non vi è che presente, neanche l’ombra del passato, neanche l’ombra dell’avvenire?”.

Mi capita spesso di andare a fare una passeggiata in bici lungo il Bisenzio. È una ora di attività motoria, ma spesso mi fermo un minuto e guardo lo scorrere delle acque, ascolto il canto dei suoi abitanti, seguo con gli occhi il suo percorso. È qualcosa di straordinario. Veramente il fiume rappresenta l’essere e il divenire di ciascuno di noi. Esso è il simbolo della nosttra storia, della nascita e della morte, dell’identità e della trasformazione. Non a caso Eraclito affermava che “nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l’uomo né le acque del fiume sono gli stessi” E quando mi sono seduto, accanto a me c’erano tanti alberi maestosi e forti. Una bellezza interiore, un cibo per l’anima. John Muir diceva “ io non ho mai visto un albero infelice. Essi si aggrappano al terreno come se gli piacesse, e sebbene ben radicati, viaggiano tanto lontano quanto noi. Vanno vagando in tutte le direzioni con ogni vento, andando e venendo come noi stessi, viaggiando con noi attorno al sole per due milioni di miglia al giorno, e attraverso lo spazio, il cielo solo sa quanto velocemente e lontano”.

L’albero ti può insegnare tante cose, egli dà ai suoi rami un cammino verso la luce. Se tu lo guardi bene, lo tocchi, e ascolti il percorso della sua linfa, ti insegna a vivere su questa terra in modo più rispettoso di te stesso e della natura. L’albero ti guida al significato della vita. non perdere questa occasione. L’albero è un piccolo santuario, può proteggerti dal sole, dal vento e dalla tempesta e può  essere il tetto per il tuo riposo. Il fiume ti insegna la vita, l’albero l’amore e il contatto tra cielo e terra, tra sacro e profano, tra finito e infinito..  Paulo Coelho diceva:  “Apprezza ciò che sei perché tu sei amore, quell’amore che cerchi in ogni cosa e in ogni dove. Accogli ciò che tu sei perché tu sei ciò che cerchi di essere, ciò che tu vuoi essere, tu sei la vita che crea la tua vita. Accetta te stesso, amore del tuo amore, perché tu sei ciò che hai tanto bisogno di essere. Sorridi all’amore che tu emani perché tu sei quell’amore che cerchi in ogni luogo, pace dei tuoi sensi”.

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giugno 24, 2018autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Via Pistoiese a Prato: sindrome di Stendhal invertita

Premessa

Via Pistoiese è una strada commerciale d Prato. L’impatto maggiore per lo stress fisico, chimico, endocrinologico e metabolico è nel tratto in cui la via è parallela con Via Fabio Filzi. Pochi chilometri. È una strada sporca, piena di buche, di difficile traffico con negozi che fanno rabbrividire per la loro estetica ed eleganza. Le auto dovrebbero andare a una media di 30 – 50 all’ora e spesso vanno ad una andatura più veloce. Io parlo come cittadino che usa la bicicletta e spesso cammino a piedi. Camminare su questa strada è un tentato suicidio. In bici, le auto  ti sfrecciano accanto e tu sei costretto, se trovi un po’ di spazio sulla destra,  lasciato libero sulla strada,  a entrare in quello spazio per far transitare l’auto che “giustamente” non può permettersi di rallentare, non può permettersi di dare una precedenza a un veicolo che conta “zero”. Si vedono ciclistii che vanno contro senso…e ciclisti che camminano sul marciapiedi disturbando i pedoni, i quali a loro volta devono dare precedenza… È un arrangiamento. L’ educazione civica in questa zona della città è “underground” (nemmeno sotto zero). Non   esiste.

Avevo già fatto una riflessione precedente su questa strada e consigliato al Comune di Prato di ritagliare un po’ di spazio per una pista ciclabile. Come? Togliendo la facoltà di posteggiare alle auto su un lato della strada. Ma, non è possibile…la via è stretta …e poi è una strada commerciale…. E poi è impossibile attuarla tecnicamente parlando…e poi ci sono altri problemi più importanti, e l’impegno dell’amministrazione è tale che non si può perdere tempo per delle bazzecole.  L’amministrazione è sempre indaffarata …c’è Prato estate, Prato autunnale, Prato invernale e Prato primaverile.

C’è la cultura, il piano strade, il verde pubblico, le associazioni  multiple di volontariato,  il museo, le richieste più urgenti di cittadini in difficoltà con l’inquinamento, la tossicità ambientale, c’è l’autismo, l’handicap,la plurietnia,  il cambio climatico, c’è il polo nord e il polo sud…. A Prato c’è il microcosmo.   È una città ma in fondo è una officina artistica dove i creativi si aggirano nei vari quartieri in cerca di ispirazione per le loro arte, dove poeti e scrittori passeggiano lungo il Bisenzio in contatto con la natura e l’energia universale. In via Pistoiese la maggioranza dei cittadini vive la “sindrome di Stendhal” invertita. Questa sindrome descritta per la prima volta nel 1977 dalla psichiatra fiorentina Graziella Magherini, che analizzò alcuni casi di turisti stranieri in visita a Firenze colpiti da episodi acuti di sofferenza psichica ad insorgenza improvvisa e di breve durata di fronte a creazioni artistiche eccezionali. Si definisce sindrome di Stendhal quell’affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiro, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se esse sono compresse in spazi limitati. Nel caso di Via Pistoiese, dato che gli estremi si toccano, la sindrome si vive non per la bellezza ma per la “bruttezza” ambientale, per l’odore nauseabondo che viene da alcune bettole, per l’arredamento antistetico, per la mancanza di pulizia, per lo schifo percettivo oculare di ciò che si è costretti a vedere e assorbire tutti i giorni.

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giugno 18, 2018autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Figline di Prato…n° 29 (una visita che fa bene all’anima)

Introduzione

La Resistenza italiana affonda le sue radici nell’antifascismo, sviluppatosi progressivamente nel periodo che va dalla metà degli anni venti, quando già esistevano deboli forme di opposizione al regime fascista.  Mi piace ricordare la frase di Arrigo Boldrini  nome di battaglia “Bulow” (Ravenna, 6 settembre 1915 – Ravenna, 22 gennaio 2008), « Abbiamo combattuto assieme per riconquistare la libertà per tutti: per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro… » “Il movimento di Resistenza è animato da forze eterogenee, diverse tra loro per orientamento politico e impostazione ideologica, unite tuttavia dal comune obiettivo di lotta contro il nazifascismo, per la liberazione del paese dal nemico straniero e da quello interno. Partecipano alla lotta militari e civili, persone di ogni età, censo, sesso, religione, provenienza geografica e politica, uniti da uno unico ideale: la spinta verso la libertà.  La Resistenza è guidata da personalità di spicco dell’antifascismo, che hanno avversato e combattuto il regime durante tutto il ventennio, spesso pagando con il carcere, il confino, l’esilio (Fonte: http://www.anpi.it/storia/120/la-resistenza-italiana). Dall’armistizio dell’8 settembre 1943 fino alla liberazione, il 25 aprile 1945 c’è  un periodo di venti mesi che cambiò l’Italia radicalmente. Questo è il periodo della “resistenza”,  un contributo storico per la nascita della Repubblica Italiana che non si può dimenticare. Mi fermo solo a questa visione della lotta partigiana….non accetto l’ingiustizia  commessa    anche da un eroe e sono contrario all’odio ideologico.    Riporto  il testo più diffuso della canzone “ bella ciao” (alcune varianti sono riportate tra parentesi), una canzone bellissima, nata nella resistenza  a livello regionale e  che poi  si è affermata nel mondo, per ricordare il significato profondo della lotta per la libertà.

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Figline insegna tante cose. Insegna anche la libertà interiore, perché nessuno è libero se non è padrone di se stesso, se non è capace di impedire che le cose prendono il soprravento nella sua vita, se non controlla gli impulsi aggressivi verso l’altro, i raptus distruttivi, l’odio cieco della vendetta, il piacere sadico della tortura, se  ha paura del giudizio altrui o se vive nella paura di una società che coltiva l’immagine, il narcisismo, il potere delle idee, il denaro e l’edonismo senza moderazione, se è dipendente da una idea. Considerando che la libertà non può essere insegnata, Figline ti offre una pssibilità che è quella di intuirla, di portala nel tuo cuore come seme creativo e di essere un modello d vita rispettoso di te stesso e dell’altro Il responsabile  dell’eccidio di Figline ( 29 morti impoiccati) fu il comandante tedesco  di una unità della Wehrmacht in ritirata, con precisione la 334ma Divisione di Fanteria dell’esercito tedesco comandata dal Maggiore di complemento Karl Laqua. Dispiace solo dirlo ma il procedimento contro i crimini nazifascisti in Italia anche quello di Figline fu gettato nel tristemente noto armadio della vergogna, dal quale riemerse solo nel 1994. A quel punto, nonostante tempestive ed efficaci ricerche, le informazioni recuperate risultarono inutili e il processo contro Karl Laqua fu definitivamente archiviato il 25 gennaio 2005. Nel settembre del 2005, il Procuratore Marco De Paolis venne di persona a Figline per parlare dei risultati dell’ulteriore inchiesta da lui condotta e della susseguente archiviazione del fascicolo, avvenuta nel gennaio dello stesso anno, per presunta morte dell’imputato accusato del reato di violenza con omicidio e strage. Voglio ricordare un particolare prima di chiudere questo momento riflessivo sulla lbertà. Una volta emessa la condanna a morte i prigionieri furono condotti sotto l’arco a coppie per l’impiccagione. Ogni volta che arrivavano alla forca dovevano prima togliere dal capestro i propri compagni per poi a loro volta seguirli nella morte. Ad uno dei partigiani si rompe la corda, in spregio alla consuetudine che farebbe salvo il condannato i tedeschi lo obbligano a riannodarsi la corda e a risalire sullo sgabello. Ma vediamo cosa è realmente successo nel racconto di  Santino Grassi,partigiano scampato all’eccidio perchè era riuscito a togliersi la corda dal collo e scappare oltre la Bardena appena le cannonate degli alleati avevano disorientato i tedeschi: “È il turno di un giovane di diciotto anni Mario Tronci di Prato; è rassegnato e silenzioso, sale sul tavolo dal tavolo sulla sedia. Il tedesco gli mette il cappio al collo un altro tedesco tira via la sedia, ma la corda si spezza e il ragazzo cade per terra, vivo! Si rialza ancora incerto, poi ha uno scoppio di gioia: “Fortuna!” grida. Anche i tedeschi sono interdetti. Il comandante ha un attimo di esitazione poi getta la sigaretta: ha un gesto breve. Il Tronci capisce e con supremo disprezzo sale sul tavolo. Si accerta che la sedia non traballi, stringe in mano la fune rotta, rifà da sé il laccio mentre tutti tedeschi e condannati lo guardano sbalorditi. Vi infila la testa e gridando: “Viva l’Italia libera!” dà un calcio alla sedia. Altriallora lo imitano e muoiono gridando: “Viva l’Italia libera”.

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maggio 3, 2018autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Prato – Via Pistoiese: addio sogni di gloria!

Via Pistoiese, un tempo era una strada  che collegava Prato alla bella città di Pistoia attraverso numerosi  borghi ricchi di tradizione e artigianato e molto folcloristici.  Ora è diventata una strada che collega la vita direttamente all’inferno, su questa terra. Finalmente dopo tanti studi e ricerche affannose di alti scienziati e  illustri premi Nobel, come cittadino normale,   sono riuscito a capire la differenza tra ordine e caos, tra legalità e illegalità, tra furbizia  e dignità, tra tempo di lavoro e tempo libero. Non è poco! Via Pistoiese è una scuola di pensiero multietnica. Grazie al cielo e al mappamondo terrestre che ha portato in questa zona di Prato cittadini di ogni paese, ogni giorno andando a piedi o in macchina, in autobus o in bici viene fornito qualche esempio  di luminosa grandezza che poi portiamo nel nostro comportamento quotidiano, arricchendo il nostro bagaglio culturale.

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marzo 14, 2018autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

2 ore a zonzo per Firenze

 

Premessa

Il 19 gennaio verso le ore   8, 30 del mattino non era una bella giornata.  C’era una pioggia debole e l’umidità, molto superiore all’ 80 %  ,  penetrava nelle ossa. Comunque era previsto un graduale miglioramento con temperatura in aumento.  Scendo dal treno che da Prato mi ha portato alla città con il desiderio di passare qualche ora in balia del caso  e in attesa di entrare a Palazzo Strozzi  verso le 10 e trenta per vedere la mostra dedicata  al     “  Cinquecento a Firenze ”. Esco dalla stazione e mi dirigo a caso  dove il flusso dei pedoni era maggiore, osservando negozi,  e ogni tanto la massa  e i volti delle persone che mi riusciva inquadrare e mi accorgo dopo un po’ , fermandomi  a un passaggio di auto, di vedere una facciata di una chiesa e decido di entrare. Siamo in Via Vecchietti e la chiesa è dedicata a Santa Maria Maggiore, e girando intorno alla chiesa da Via Cerretani si può notare  tra le pietre della torre campanaria una misteriosa testa scolpita. E’ la “Berta”. E’ una testa pèietrificata e come sia finita lassù e un mistero. Ci sono diverse leggende ma probabilmente è un  resto di una statua romana.

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La chiesa esisteva, sia pure con una diversa struttura, forse già in epoca longobarda nell’VIII secolo ed è già documentata nel 931, quando un documento cita il vescovo Rambaldo quale affittuario di una terra e una casa prope ecclesiam Sancti Marie Majoris, prima dunque che venissero erette intorno alla città le mura matildine (1078), il cui tratto nord passava in corrispondenza di via de’ Cerretani. La seconda menzione documentaria, inequivocabile, risale comunque al 1021, mentre non è ritenuta storicamente fondata la leggenda che indica come fondatore della chiesa Papa Pelagio II nel 580.  Nel 1176 divenne collegiata e fu una delle dodici antiche priorie, con tanto di Canonici. Nell’archivio capitolare sono conservati numerosi atti notarili dal 1107 al 1520, che in gran parte registrano doni e acquisti di terre e fabbricati. Da questi documenti si è potuto stimare la ricchezza della comunità legata alla chiesa come molto cospicua, tanto da ricevere il privilegio di essere posta sotto la diretta protezione papale da Lucio III nel 1183, con conferma di Urbano II nel 1186 (una condizione mantenuta anche nel secolo successivo).   Passata ai cistercensi, venne ricostruita in forme gotiche nel XIII secolo, forse mantenendo in piedi le mura esterne e le volte originarie. La struttura cistercense è riconoscibile dalle tre navate divise da arcate a sesto acuto su pilastri quadrangolari, con tre absidiole a fondo piano. Non è dato sapere chi sia quel “maestro Buono” che, secondo il Vasari, avrebbe diretto i lavori di rinnovamento dell’edificio. Sempre il Vasari ricorda come Agnolo Gaddi avesse dipinto la pala per l’altare maggiore (una Incoronazione della Vergine circondata da angeli), mentre la Cappella maggiore conteneva gli affreschi di Spinello Aretino con Storie della Vergine e di Sant’Antonio Abate, dei quali sopravvive solo un frammento con la Strage degli Innocenti. Prima dentro la chiesa c’erano delle opere di Botticelli, di Masolino e Masaccio che ora sono altrove.

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gennaio 21, 2018autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Desiderio desideravi……….(ho desiderato ardentemente)

Introduzione

Ci sono dei posti  e dei luoghi in cui uno desidera andare per qualcosa di ancestrale o per un motivo quasi preistorico  e io ho sempre sognato di andare in Tibet, alle sorgenti del Gange, a toccare con mano la catena dell’Himalaya. Mi sono chiesto sempre il perché di questo desiderio. Questa voluttà inarrestabile ma per ora non realizzata probabilmente  risale al mondo infantile quando leggevo le imprese di Alessandro Magno e la sua entrata in India. Poi ci sono stati gli studi, la meditazione,   il percorso spirituale e  ci sono dei momenti in cui sento il richiamo della foresta e delle vette, la musica del vento e  l’orchestra della steppa e della tundra e di notte ho dei grandi sogni. E’ qualcosa di straordinario solo guardare le vette altissime del pianeta Terra, osservare i monasteri buddisti a 5 mila metri di altezza, assistere al fascino del contatto tra terra e cielo e sapere che stai sul tetto del mondo, assaporare la bellezza di un cielo  terso, lo scintillio delle stelle, e ascoltare nel silenzio la tua anima attraverso i colori dell’alba e del tramonto e del sibilo del vento e di tutto ciò che non puoi descrivere.  Alessandro Magno perse qui la sua prima grande battaglia, quando di fronte ai generali macedoni  che lo volevano riportare indietro, mentre lui voleva raggiungere le vette e passare al di là,verso un mondo ignoto e sconosciuto,   acconsenti e disse di sì (costretto dagli eventi). In quel momento il cuore fu sconfitto e inizio l’agonia del grande condottiero  che fu inghiottito dall’effimero, dall’illusione, dai fantasmi edonistici. Bastava poco  e a pochi km………………… Alessandro Magno avrebbe trovato “Dio dallo sguardo misericordioso” l’incarnazione vivente del Bodhisattva protettore del Tibet.

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La grande consapevolezza dei poteri della mente tipica del buddismo tibetano lo rende estremamente prezioso addirittura sul piano scientifico. Io mi trovo in una situazione particolare  in cui il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (come dice Pascal). In questa   atmosfera di sofferenza  esistenziale  ho visitato la mostra “ la rivelazione del Tibet “ di Ippolito Desideri, a Pistoia.

Pistoia capitale italiana della cultura (2017) ha celebrato con un convegno internazionale di studi multidisciplinari (13-14 ottobre all’Auditorium T. Terzani) e con una mostra sulle imprese scientifiche italiane in Tibet in palazzo Sozzifanti,  uno tra i suoi figli più illustri: Ippolito Desideri. Due straordinari eventi sul missionario gesuita il cui valore umano, scientifico e religioso sono rimasti a lungo offuscati a causa di due secoli di ritardi nella diffusione e divulgazione delle sue imprese e dei suoi scritti. Desideri nacque a Pistoia nel 1684. Formatosi alla “scuola gesuita” tra il 1716 e il 1721 fu missionario a Lhasa. Supportato da doti non comuni nell’apprenderne la lingua, è stato uno straordinario esploratore geografico, filosofico-culturale e religioso del Tibet e del Buddhismo, che comprese a fondo in soli quattro anni di permanenza in quella terra ancora misteriosa. Il convegno di Pistoia ha mostrato  come il modo accademico è  capace di riappropriarsi dell’opera del missionario gesuita, ancora oggi oggetto di tanti studi, padre Desideri è ancora poco conosciuto tra suoi concittadini. Eppure ci troviamo di fronte ad un pioniere del dialogo interreligioso, come ha evidenziato l’attuale XIV Dalai Lama. E il suo approccio con il Tibet e il buddhismo furono talmente rivoluzionari da far affermare all’etnologo e orientalista Fosco Maraini (padre della scrittrice Dacia) che se la sua opera fosse stata conosciuta prima: «oggi parleremmo dell’autore come d’un Marco Polo, d’un Cristoforo Colombo dello spirito». Grazie a te Pistoia per avermi fatto sognare l’avventura e per avermi fatto ancora una volta ricordare i versi di Dante Alighieri:

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gennaio 8, 2018autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Pranzo del 31 dicembre 2017: una minestra di pane

Introduzione

Le previsioni del “LAMMA”, un consorzio, una agenzia meteorologica della Toscana  erano veritiere: Così dicevano: il cielo sarà molto nuvoloso sulle zone settentrionali con piogge sparse, più probabili e frequenti sulle aree di nord – ovest e a ridosso dei rilievi, irregolarmente nuvoloso sul resto della regione. A Prato pioggia debole. La temperatura non era bassa ma si percepiva più freddo del previsto a causa dell’umidità. . E’ l’ultimo giorno dell’anno. Una occasoione da non perdere per una riflessione interiore, per una meditazione profonda, per una contemplazione sul tempo. Sono abbastanza ottinista e mi ricordo le parole di Terzani (un altro giro di giostra):

“sono convinto che ormai,in giro per il mondo ,fra la gente piu’diversa , sta crescendo una nuova coscienza di che cosa e’ sbagliato e di che cosa va fatto. Questa nuova coscienza, a mio parere,e’ il grande bene del nostro tempo. Va coltivata. la soluzione  è dentro di noi, si tratta di conquistarla facendo ordine, buttando via cio’ che e’ inutile e arrivando al nocciolo di chi siamo. Piu’ che assaltare le citta’ del potere ,si tratta ormai di fare una lunga resistenza. Bisogna resistere alle tentazioni del benessere, alla felicita’ impacchettata; bisogna rinunciare a volere solo cio’ che ci fa piacere. La strada da percorrere e’ ovvia: dobbiamo vivere piu’ naturalmente, desiderare di meno, amare di piu’ e anche i malanni diminuiranno. Invece che cercare medicine per le malattie cerchiamo di vivere in maniera che le malattie non insorgano……. Una societa’ in cui i membri hanno una profonda sfiducia gli uni degli altri e dove non esiste una coscienza di valori comuni a tutti  -valori sentiti ancor prima che scritti-  deve ricorrere continuamente alla legge e ai giudici per regolare i suoi rapporti.  Cosi’ e’ l’America: tutte le relazioni sociali, anche le piu’ intime,sono ormai vissute nel timore di una possibile azione legale…….. il male, tutti i mali,quelli psichici come quelli fisici, hanno una unica radice: l’ignoranza.   L’ignoranza dell’io causa la sofferenza che affligge l’uomo dalla nascita alla morte; l’unico modo di non farsi consumare dal consumismo e quello di digiunare,digiunare da qualsiasi cosa che non sia assolutamente indispensabile, digiunare dal comprare il superfluo. I migliori compagni di viaggio sono i libri: parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si vuole silenzio.Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo senza chiedere nulla. Eliminando la sofferenza al suo primo insorgere, l’uomo moderno si nega la possibilita’ di prendere coscienza della straordinaria bellezza del suo contrario: il non-dolore”. 

 

Minestra di pane

Il pranzo è stato speciale, veramente  perfetto. Ho mangiato minestra di pane e poi un piatto caldo di bietole e una insalata mista. La minestra di pane toscana, da non confondere con la Ribollita,  è una zuppa povera della cucina toscana composta da verdure e pane raffermo (la bozza di Prato è eccezionale nella preparazione). E’ una ricetta contadina che veniva preparata sostanzialmente con quello che l’orto offriva al momento ma due sono gli ingredienti, a parte ovviamente il pane, che non possono mancare; i fagioli e il cavolo nero. Ho bevuto (forse due dita) un po’ di di vino di Carmignano (Barco reale – della cantina capezzana  della famiglia Contini Bonaccorsi). Mentre gustavo il vino mi passava nella mente la storia del Carmignano e dei suoi vitigni.  Carmignano può essere orgogliosa di essere stata scelta dal Granduca Cosimo III de’Medici (nel 1716), come una delle 4 zone a vocazione viticola del Granducato di Toscana. Il “Decreto Motu proprio” ed il “Bando” difatti regolamentavano con norme precise la produzione, i limiti geografici, il commercio dei vini prodotti in tali aree, costituendo la prima “doc” esistente al mondo. Alla fine ho chiuso  il pranzo con una tavoletta di gianduia e un pizzico di passito di Pantelleria.

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gennaio 1, 2018autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Concerto di Natale ( 2017) nella chiesa di Santa Margherita a Prato

Introduzione

Inizialmente  la chiesina di santa Margherita  era una cappella  dell’ospedale “Cacciapoveri”. In origine era un oratorio dedicato alla vergine con San Tommaso e San Niccolo che Niccolò di Marcovaldo de’ Bovacchiesi iniziò ad edificare nel 1295 assieme ad un ospedale posto nelle vicinanze. Considerando le scarse risorse economiche l’ospedale venne chiamato dei “cacciapoveri” ( ospitava un numero limitato di bisognosi) per  cui  nel  1338 fu costretto a chiudere. Il nome della chiesa “Santa Margherita” avvenne nel 1394 quando le monache clarisse francescane si trasferirono dal ritiro di Gambarondoli alle Sacca fuori le mura nella zona di santa lucia,   a Prato dentro le mura. Prima si chiamava chiesa “Santa Maria Annuziata (1322) o  di Santa Maria Cacciapoveri (1326).  Con il trasferimento delle clarisse, Santa Margherita divenne  la chiesa del monastero  che comprendeva  una buona parte degli edifici dell’attuale via Santa Margherita ed era uno dei più importanti monasteri  femminili della città insieme a quello di San Niccolò.. Nella chiesa di santa Margherita erano  presenti prima della soppressione del governo francese del 1810 due tavole stupende  del Lippi: l’Assunzione (ora al museo civico di Prato) e la Natività portata dai francesi al Louvre. Nel 1820, ospitò la compagnia  di Sant’Orsola e  si arricchi di un nuovo dipinto “Sant’Orsola con le vergini e san Pietro  ( 1610 circa) del pittore Leonardo Mascagni. Ora il quadro è nel museo dell’opera del duomo. La chiesa, ristrutturata nel Seicento, conserva resti di affreschi del primo quarto del XV secolo (Arrigo di Niccolò) e una tela con l’Annunciazione, della metà del Seicento (copia da Mirabello Cavalori). 

 

Lippi a Prato

Il comune di Prato stanziò nel 1452 per gli affreschi della cappella Maggiore di Santo Stefano e la vetrata la somma di 1.200 fiorini. Dopo aver ricevuto nel marzo dello stesso anno il rifiuto dell’Angelico, si decise di affidare l’incarico al Lippi, che accettò e si recò nella città vicino Firenze. Gli affreschi vennero completati tredici anni dopo, nel 1465 fra interruzioni, richieste di denaro, solleciti, fughe e rinegoziazioni del contratto. Nel frattempo dipinse molte altre opere. Per l’Opera Pia fondata da Francesco Datini fece la tavola detta Madonna del Ceppo oggi conservata al Museo Civico di Prato; per il preposto Geminiano Inghirami le Esequie di san Girolamo; per il convento di Annalena a Firenze il Tondo Cook e l’Adorazione del Bambino di Annalena; una pala per Alfonso I d’Aragona, commissionata da Giovanni de’ Medici, di cui rimangono solo due pannelli laterali; le vele della volta sopra la tomba di Geminiano Inghirami nella chiesa pratese di San Francesco (perdute); l’Adorazione del Bambino di Camaldoli per la cella della famiglia Medici all’interno dell’Eremo.  La cosiddetta Lippina fu un “prototipo” per le successive rappresentazioni della Vergine col Bambino. A questo periodo, risalgono anche le quattro tavole con la Vergine Annunziata, Angelo annunziante, Sant’Antonio Abate e San Giovanni Battista, probabilmente elementi di arredo ecclesiastico ( fonte: wikipedia)

Storia romantica tra sacro e profano

Nel 1456, Lipii fu nominato cappellano del convento pratese di Santa Margherita, vi conobbe e si innamorò della monaca Lucrezia Buti, modella di molti suoi dipinti, figlia del fiorentino Francesco Buti e di Caterina Ciacchi. La loro storia d’amore spinse la Buti a lasciare il convento e a stabilirsi nella casa pratese dell’artista acquistata nel 1455; solamente nel 1461 il papa Pio II, grazie all’intercessione di Cosimo de’ Medici, sciolse dai voti il Lippi e la Buti, regolarizzando la loro posizione, anche se il Lippi si rifiutò di maritarsi. I due ebbero due figli: Filippino Lippi nel 1457 e, nel 1465, Alessandra.

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dicembre 24, 2017autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Natale 2017: un pensiero per coloro che hanno sofferto e sono morti nei campi di sterminio

Introduzione

73 anni fa, ( fra poco) il il 27 gennaio 1945, le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, liberando i pochi prigionieri superstiti. Vorrei ricordare in questo periodo  (Natale e fine anno 2017)  tutti coloro (diverse milioni di persone ),  che furono torturati e uccisi nei campi di concentramento. In questi giorni io sono con loro. Le loro anime sono nel firmamento  e splendono nel cielo e ci ricordano la loro sofferenza, il loro dolore, il loro tormento. C’è una poesia di Gianni Vavassori che dice:

 

Quando le belve umane uccidevano,

la notte Natale,

Gesù nasceva e moriva,

per poi risorgere tra i camini.

Ora ogni notte di Natale ad Auschwitz,

un vento freddo, rancoroso,

pieno di rabbia,

solleva cristalli di neve

per spargerli nel mondo,

affinchè la memoria

rimanga sempre.

 

A qualsiasi religione tu appartenga, o se sei ateo o agnostico, non puoi dimenticare questa tragedia. Riporto  qualche foto per richiamare la tua attenzione  a questo pezzo della nostra storia.

I bambini furono ovviamente tra i più esposti alle violenze dell’Olocausto. I Nazisti sostenevano che l’uccisione dei figli di persone ritenute “indesiderabili” o “pericolose” fosse giustificata dalla loro ideologia, sia quella basata sulla “lotta di razza”, sia quella che considerava l’eliminazione dei nemici una misura preventiva necessaria alla sicurezza. Da un lato, quindi, i Tedeschi e i loro collaboratori uccisero i più giovani con queste motivazioni ideologiche; dall’altro ne eliminarono molti come forma di rappresaglia agli attacchi partigiani veri o presunti.In tutto, si calcola che almeno un milione e mezzo di bambini e ragazzi sia stato ucciso dai Nazisti e dai loro fiancheggiatori; di queste giovani vittime, più di un milione erano Ebrei, mentre le altre decine di migliaia erano Rom (Zingari), Polacchi e Sovietici che vivevano nelle zone occupate dalla Germania, nonché bambini tedeschi con handicap fisici e/o mentali provenienti dagli Istituti di cura. (fonte: https://www.ushmm.org/wlc/it)

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dicembre 10, 2017autore Angelo Vigliotti
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Il Cammino di luce

Un incontro d’Amore e di Poesia. Elizabeth B. Barret e Robert Browing

Memoria e oblio

Quando ero piccolo, il “pifferaio magico” fu una delle fiabe che mi rimase impressa nella mente per molti anni. Era la versione trascritta dai fratelli Grimm. In adolescenza la riscoprii nei versi “magici” di Robert Browing. Fu la prima volta che incontrai “Robert”. E molti anni dopo ritrovai a Firenze nella casa Guidi  i ricordi del  suo soggiorno in questa città. Un mese fa circa ho rifatto un percorso di conoscenza della poesia  e della vita di Robert e Elizabeth che mi ha riporato nella casa dove hanno vissuto  e al cimetero degli inglesi per stare qualche minuto vicino a Elizabeth, dove lei riposa in uno splendido monumento di marmo di Carrara.. E’ stato qualcosa di meraviglioso seguire le vicende esistenziali di questia coppia, del loro amore, e delle loro opere. In questa riflessione  desidero stimolare l’amico lettore a rifare  in parte il cammino di questi due cuori  per prendere “da loro” quel pizzico di creatività e utilizzarlo al meglio in questa breve vita esistenziale.

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Casa Guidi  (fonte: wikipedia)

Casa Guidi è un museo di Firenze situato tra piazza San Felice e via Maggio, allestito nella casa in cui vissero la poetessa inglese Elizabeth Barrett Browning con suo marito Robert Browning e il figlio Pen tra il 1847 ed il 1861. Elizabeth e Robert vissero il loro idillio  d’amore in alcune stanza di questo palzzo che ora sono dedicate alla loro memoria. Firenze allora contava ben un quarto di residenti stranieri nella popolazione. Era convinta, scegliendo firenze, del  mito romantico di una città solare e libera rispetto alle opprimenti ipocrisie  della società inglese dell’epoca vittoriana. Pen, il loro figlio,  nacque qui nel 1849 e crebbe nella casa, studiando pianoforte sullo strumento che ancora è presente nella camera da letto. Anche se i Browning si spostavano spesso in Inghilterra, a Parigi, a Roma, a Siena, la loro dimora principale fu “casa Guidi”, fino alla scomparsa di Elizabeth nel 1861, anno in cui Robert lasciò la casa e si trasferì a Venezia, dove morì nel 1889.   Il  Palazzo Guidi, costruito nel XV secolo per l’illustre famiglia dei Ridolfi nel borgo di “Piazza” (il nome antico di questa zona quando era ancora fuori dalla cinta muraria), il cui stemma (una corona con delle palme incrociate) campeggia ancora sulla facciata, apparteneva all’inizio alla famiglia Ridolfi.. Nel XVI secolo in seguito alla Congiura dei Pucci, alla quale avevano preso parte anche i Ridolfi, il palazzo fu confiscato da Cosimo I che ne fece dono all’Ordine dei cavalieri di Santo Stefano da lui istituito. In seguito fu acquistato  da  un ammiraglio dell’ordine, Jacopo Guidi di Volterra, da cui il nome attuale del palazzo. Ci sono due targhe che ricordano la coppia dei poeti vissuti a Firenze.

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giugno 1, 2017autore Angelo Vigliotti
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