Sindrome di Asperger
Nella giornata di oggi, (18 febbraio) nel 1906, nasceva Hans Asperger (100 anni più 10, il pediatra austriaco che avrebbe dato il nome al particolare modello di comportamento da lui osservato. Cercherò di approfondire la sindrome di Asperger attraverso vari articoli: Il primo articolo è tratto dalla dalla Rivista AUTISMO OGGI, Fondazione ARES www.fondazioneares.com. Segue una breve biografia. In ulteriori approfondimenti cercherò di sintetizzare alcuni criteri diagnostici.
La meditazione sulla morte in età adolescenziale
Simbolicamente questo è un giorno che ci ricorda che siamo di passaggio su questa terra:
Tu sei polvere e in polvere ritornerai. Questa memoira può avere un valore nell’insegnamento pedagogico del bambino? Penso che abbia un grande valore. La meditazione sulla morte è la base per un processo di crescita sia fisico che psichico oltre che energetico e spirituale. Oggi ci sei, domani non ci sei più. Purtroppo di te non rimane nulla. Una volta che non sei più visibile viene facilmente dimenticato e perso nella memoria. Cosa rimarrà di te?
Sviluppo del linguaggio
(Fonte: Formas- agenzia di formazione- Toscana)
Lo sviluppo del linguaggio passa attraverso due fasi che sono:
1) Fase percettiva
2) Fase produttiva
Nell’uomo le fasi percettive e produttive sono sovrapposte e si susseguono con lo stesso andamento temporale in bambini di tutte le culture. Nella fase percettiva si acquisisce la capacità di discriminare i fonemi. Definiamo che cosa si intende per fonema e per unità fonemica.
Svezzamento
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Dieta mediterranea o Dieta vegetariana moderata
Lo svezzamento è una tappa importante per il bambino per la sua crescita e per il suo sviluppo, un processo naturale che stimola una maggiore autonomia del bambino, soddisfa la sua curiosità, apre il bambino a un rapporto tra cibo e affettività più ampio coinvolgendo la famiglia e la convivialità, la comunicazione e il piacere di stare insieme e di condividere la gioia e la soddisfazione a livello fisico ( nuovi sapori e accessibilità a nuove opportunità ), a livello mentale ( nuovi piaceri e piccole gratificazioni), a livello relazionale ( dialogo più efficace). E’ il periodo in cui l’educazione al gusto e la costruzione di sane abitudini alimentari è fondamentale perché ciò che il bambino impara lo conserverà nel suo futuro. La scelta degli alimenti non solo deve essere equilibrata e bilanciata (carboidrati- proteine- grassi, minerali e vitamine), ma anche eticamente corretta. Su questi basi i miei suggerimenti sono brevi e seguono le linee di una dieta mediterranea integrata con una dieta vegetariana moderata, che in parole povere vuol dire dieta ricca di verdure, frutta, legumi, latte, uova, olio d’oliva. Non carne di altri animali! Se proprio si vuol mangiare carne
( per coloro che non fanno una scelta secondo i miei suggerimenti) è preferibile quella bianca (pollo, tacchino, coniglio). Se possibile, per coloro che non sono vegetariano, dare la carne rossa dopo il primo anno di vita quando il bambino inizia a muoversi, a camminare, ad esplorare il mondo.
Perché? Dieta mediterranea
(Fino ad ora rappresenta la dieta più efficace nel contrastare le malattie croniche della maturità)
( riduce il “volume” di molti geni che predispongono a malattie anche per le generazioni future) Rappresenta uno stile alimentare che privilegia il consumo di frutta, verdura, patate, legumi, pane e pesce. Per la sua fondamentale importanza nella prevenzione di molteplici malattie tra cui cardiopatie e malattie vascolari e per la sua storia (competenze, conoscenze, pratiche, tecniche, feste e folclore, conservazione degli alimenti, convivialità, cultura, interazioni sociali e tradizioni ) nel 2010 la dieta mediterranea è stata proclamata patrimonio immateriale culturale dell’umanità (Unesco 17 novembre 2010). Essa si fonda sul rispetto per il territorio e la biodiversità.
Perchè? Dieta vegetariana moderata
E’ una dieta che abitua il bambino a uno stile di vita che coinvolge il suo essere nel mondo e di cui si assume la responsabilità. E’ una scelta fatta non solo per ragioni religiose o di prevenzione di alcune patologie. Ma è una scelta etica ( decisione di non più uccidere o fare uccidere per nutrirsi) ed ecologica ( salvaguardare l’equilibrio e il sistemza del pianeta, rispettare la natura). Personalmente sono per una dieta vegetariana moderata in cui si possono consumare prodotti animali ( latte, latticini ed uova). per calmare le pressioni del sistema accademico tradiuìizonale e l’ansia di alcuni genitori il pediatra può aggiungere al bambino ferro, vit. D, B12, ac. Folico, Zinco e altre vitamine e minerali se necessario. Il bambino ha bisogna di crescere e di avere i nutrienti necessari per il suo sviluppo mentale e fisico.Considero il latte e l’ uova un dono e una specie di scambio tra la natura e l’uomo. In questo scambio c’è la consapevolezza della non violenza e del rispetto reciproco.
Al contrario della maggioranza del mondo accademico che è contro la scelta vegetariana perché secondo molti studiosi è priva di alcuni nutrienti e quindi può essere dannosa per il bambino, ritengo che questo non sia vero. Comunque molti nutrienti si possono aggiungere. Un buon pediatra attraverso un esame di controllo ematico può verificare l’equilibrio di crescita del bambino nei riguardi della vit. D, ferro, ac. folico e altre vitamine e minerali.
Sia la scelta dietetica mediterranea che vegetariana moderata se seguite con equilibrio non predispongono a stili di vita scorretti o a disordini alimentari.
Svezzamento
Lo svezzamento è un processo graduale. Ogni 3-4 giorni il genitore potrà provare ad introdurre un alimento nuovo, rispettando la risposta che il bambino dà alla “novità”. Per motivi biologici ( maturità del sistema gastro enterico, perdita di alcune sostanze nel latte materno, desiderio orale, ecc.) conviene iniziare al quinto – sesto mese. L’allattamento esclusivo al seno, se la madre ha latte, conviene sempre protrarlo fino a sei mesi e continuarlo almeno fino a 12 mesi anche se poche volte al giorno.
Non bisogna scoraggiarsi se il bambino sembra non gradire un determinato alimento. E’ noto, infatti, che solo dopo 7-8 esposizioni all’alimento non gradito, il bambino lo accetterà e il suo gradimento durerà nel tempo. Tutti gli alimenti ma in particolare le verdure e i legumi vanno accompagnati con una risposta e un rinforzo affettivo e anche in una combinazione di sapori, odori gradevoli e seduttivi. Il bambino lo ricorderà e questo inciderà sul suo imprinting, sulla voglia di gustarlo ancora e sul piacere di mangiarlo in una atmosfera gruppale di soddisfazione e gratificazione reciproca.
Lo svezzamento va fatto in 3 fasi.
Prima fase: 5-6 mesi; seconda fase: 8-9 mesi; terza fase: 10 – 12 mesi.
Ricordarsi che nonostante le linee guida dei pediatri o di altre scuole di nutrizione, ogni bambino ha i suoi tempi. Non bisogna correre, non bisogna forzare, non bisogna creare situazioni di stress. Compito dello svezzamento è creare uno stile di vita alimentare che verso i 12 mesi dovrebbe comprendere 4 – 5 pasti ( 3 principali e due accessori, cioè due piccoli spuntini), in questa sequenza:
1° colazione: latte con biscotti integrali
2° spuntino del mattino: frutta
3° pranzo ( ora 12-13) piatto principale, un secondo piatto più verdure ed eventualmente frutta
4° spuntino o merenda del pomeriggio: latte più frutta oppure yogurt più frutta; oppure frullato misto;
5° piatto della sera ( un piatto unico): pastina o un tipo di crema e legumi – in tutte le varianti – più verdura e se il bambino ha ancora fame, frutta oppure un derivato del latte.
Qualsiasi pasto va preparato bene, se possibile con la tradizione e la cultura del posto, con calma e passione, con la comprensione e il rispetto dei ritmi del bambino. Molto importante a mio parere, è anche la prevenzione che una dieta ben equilibrata può dare su alcune malattie ( intolleranza, allergie, ipertensione, carie, obesità, diabete). In pratica fino a 12 mesi bisogna cercare di dare con moderazione e uno per volta alimenti potenzialmente allergizzanti (frutta secca, frutti di bosco, crostacei, funghi, albume, e altri alimenti che possano provocare allergie). rimandare a dopo l’anno e zucchero raffinato, miele e cloruro di sodio ( prevenzione diabete e ipertensione). Nelle famiglie in cui c’è allergia, diabete, ipertensione, intolleranza, obesità è opportuno avere molta attenzione ed eventualmente predisporre un piano di check – up mirati per alcune patologie ( celiachia, anemia, carenze di vit. D e acido folico e altre indagini particolari)
Attenzione
· Il sale marino integrale si può dare dal decimo mese.
· Dieta mediterranea: fino ad un anno, un anno e mezzo ( finchè il bambino non inizia il movimento ) consiglio di non introdurre carni rosse
· per i bambini che in famiglia hanno ascendenti e collaterali con disbiosi intestinali, intolleranze varie , allergie ( asma , oculorinite, dermatite)non è più utile rimandare alimenti dopo i 12 mesi ma iniziare subito una alimentazione variata e verificare volta per volta la digeribilità, la tolleranza e l’eventuale allergia.
Dieta mediterranea
Prima fase: ( 5-6 mesi): 4- 5 pasti Il bambino se è allattato al seno può continuare ad allattarsi , se prende un latte adattato n° 1 deve passare al n° 2 o continuare con un latte a formula unica. Si può sostituire alla poppata di latte ( tra mezzogiorno – l’una o a quella serale ) una pappa così composta:
In 180 – 200 ml di brodo vegetale ( brodo di verdure)
più 2 – 3 – cucchiai ( 30- 40 grammi) di semolino, crema di riso o pastina
più pesce magro ( 20 – 40 grammi)
più Uno due cucchiaini di olio extravergine di oliva
( in più aggiunta di verdure( zucca, purè di patate, carote ecc.)
dopo 15 giorni circa , se va bene di sera , al posto del latte, dare:
un passato di verdure con 2-3 cucchiai di crema o semolino o pastina più un
formaggino o formaggi freschi magri ( ricotta, crescenza, stracchino)
Brodo di verdure
( dopo 15 giorni – un mese si dà anche il passato) Il brodo vegetale si prepara con verdure fresche di stagione adatte al bambino: patate, carote. sedano, zucchine, fagiolini, spinaci. carciofi, coste, biete, piselli e tutte le varietà di insalate.
– Sono da evitare cavoli, cavolfiori, verze, che hanno aromi troppo forti, spesso sgraditi al bambino. Le verdure disponibili devono essere ben pulite, lavate e bollite per un’ora circa in 1 litro di acqua non salata. Per le prime pappe si utilizza solo il brodo filtrato, scartando le verdure bollite
consigli All’inizio si adopereranno carote e patate per poi passare, nel corso dei mesi, ad altre verdure come zucchine, lattuga, sedano, carciofi, fagiolini, nella sequenza che la stagione indicherà. Una comoda e pratica alternativa alle verdure fresche è rappresentata dagli omogeneizzati di verdure che, aggiunti all’acqua calda, permettono di preparare rapidamente il brodo vegetale. Le verdure in vasetto offrono inoltre la garanzia di essere esenti da concimi chimici e fertilizzanti, di essere raccolte in piena maturazione e di essere estremamente digeribili, grazie al processo di frantumazione finissima delle fibre a cui sono sottoposte.
Seconda fase. ( 8-9 mesi): 4- 5 pasti
1°- latte più uno –due biscottini. ( Non esagerare con i farinacei!)
2° – frutta ( mela, pera, banane, kiwi, frutta di stagione, prugne)
3°- minestrina in brodo vegetale più pesce ( o carni bianche: pollo, tacchino, coniglio) più verdura;
4°- latte più biscottino; oppure yogurt più frutta; oppure frullato misto; un gelato fior di latte.
5° – piatto mediterraneo (passato di verdura con legumi più una patata e come contorno verdura). Se ha ancora fame si dà un formaggino, o ricotta, mozzarella light, stracchino, crescenza, robiola, caprino.
Pesce: si dà il pesce cotto a vapore o lessato oppure omogeneizzato ( platessa, sogliola, nasello, merluzzo, rombo, palombo, trota ). Si può arrivare a 70 gr.
Legumi: piselli, lenticchie, fagioli, ceci, soia. Vanno inseriti passati e senza buccia.4 0-50 gr
Omogeneizzati e Liofilizzati: gli omogeneizzati sono molto più digeribili rispetto alle comuni preparazioni domestiche, danno garanzia di sterilità e igiene, e assicurano l’assenza di sostanze estranee potenzialmente nocive (come estrogeni, antibiotici, contaminanti, conservanti ecc.). In alcuni bambini conviene iniziare il liofilizzato ( molto più digeribile). All’inizio metà vasetto poi secondo la tolleranza digestiva o meno, un vasetto intero.
uova A partire dai dieci mesi ( ma in molti casi anche dal sesto mese) si può dare il tuorlo dell’uovo al bambino, meglio nella versione “uovo sodo” . Dopo l’anno si può offrire al piccolo anche l’albume, meglio se cotto alla cocque o in camicia perché è più digeribile
Sale raffinato: Conviene “ sempre” utilizzare il sale marino integrale proveniente da zone non inquinate. La quantità di sale consigliata dalla FAO e dal WHO è di 5/6 grammi al giorno
Zucchero: Non è necessario nel primo anno di vita
Terza fase ( 10 – 12 mesi ) 4 – 5 pasti
1° latte con fetta biscottata più una marmellata;
2° frutta ( si iniziano a introdurre gli agrumi e ananas, pompelmo e altri frutti di stagione
3° pappa al pomodoro o altre minestrine, pesce ( o carni bianche: pollo, tacchino, coniglio), e poi una- due volte la settimana uova: iniziare prima con il rosso e poi il bianco), più verdura più frutta
4° yogurt più frutta; latte più fetta biscottata integrale più frutta; un gelato a fior di latte; una bruschettina leggera con olio d’oliva.
5° piatto mediterraneo con legumi più verdura ( più eventuali formaggi)
Secondo anno di vita
Ampliare l’alimentazione a tutti gli alimenti, coltivare la convivialità e l’educazione al gusto, continuare sempre i 4 – 5 pasti. Ricordarsi : a mezzogiorno la distribuzione degli alimenti segue la regola del primo, secondo, contorno più eventuale frutta; di sera, a cena, un piatto unico di tipo mediterraneo più eventuale ricotta ( o formaggio o prosciutto cotto senza esagerare).
· Per le famiglie ( non vegetariane) che preferiscono la carne: si può iniziare a darne carne rossa ( una volta la settimana) ( distribuita durante la settimana in questo modo:
pesce (tre volte 70 – 80 gr per volta); carne bianca 3 volte 50-80 gr). Carne rossa ( una sola volta). Tra la carne bianca solo il pollo, il tacchino e il coniglio. Mai l’agnello.
Raccomando di non dare al bambino carne di agnello. Anche se non sei vegetariano, non mangiare mai carne agnello. Un povero cucciolo. Non lasciare sgozzare tanti agnelli. Almeno tu abbi il coraggio.
Nei bambini con intolleranza o disbiosi intestinali ( ma se si sta attenti e si dà al bambino almeno nei primi tre anni, se è possibile, alimentazione biologica) si può usare un latte vegetale : di soia ( non ogm), di riso o di altri vegetali.
Svezzamento vegetariano
La dieta vegetariana per il bambino è una dieta che rifiuta la carne ma che permette carboidrati, latte, uova, verdure, legumi e frutta. Può essere iniziata già a sei mesi, allo svezzamento del bambino.
Prima fase: ( 5-6 mesi): 5 pasti Il bambino se è allattato al seno può continuare ad allattarsi , se prende un latte adattato n° 1 deve passare al n° 2 o continuare con un latte a formula unica. Si può sostituire alla poppata di latte ( tra mezzogiorno – l’una o a quella serale ) una pappa così composta:
In 180 – 200 ml di brodo vegetale ( brodo di verdure)
più 2 – 3 – cucchiai ( 30- 40 grammi) di semolino, crema di riso ( e altre creme) o pastina
più Uno due cucchiaini di olio extravergine di oliva
più Un pizzico di sale marino integrale ( non sale raffinato)
dopo 15 giorni circa , se va bene di sera , al posto del latte, dare:
un passato di verdure con 2-3 cucchiai di crema o semolino o pastina più un
formaggino o formaggi freschi magri ( ricotta, crescenza, stracchino)
Brodo
di verdure
( dopo un mese si dà anche il passato) Il brodo vegetale si prepara con verdure fresche di stagione adatte al bambino: patate, carote. sedano, zucchine, fagiolini, spinaci. carciofi, coste, biete piselli e tutte le varietà di insalate.
– Sono da evitare cavoli, cavolfiori, verze, che hanno aromi troppo forti, spesso sgraditi al bambino. Le verdure disponibili devono essere ben pulite, lavate e bollite per un’ora circa in 1 litro di acqua non salata. Per le prime pappe si utilizza solo il brodo filtrato, scartando le verdure bollite
consigli All’inizio si adopereranno carote e patate per poi passare, nel corso dei mesi, ad altre verdure come zucchine, lattuga, sedano, carciofi, fagiolini, nella sequenza che la stagione indicherà. Una comoda e pratica alternativa alle verdure fresche è rappresentata dagli omogeneizzati di verdure che, aggiunti all’acqua calda, permettono di preparare rapidamente il brodo vegetale. Le verdure in vasetto offrono inoltre la garanzia di essere esenti da concimi chimici e fertilizzanti, di essere raccolte in piena maturazione e di essere estremamente digeribili, grazie al processo di frantumazione finissima delle fibre a cui sono sottoposte.
Seconda fase. ( 8-9 mesi): 4 – 5 pasti
1°- latte più uno –due biscottini. ( Non esagerare con i farinacei!)
2° – frutta ( mela, pera, banane, kiwi, frutta di stagione, prugne)
3°- minestrina in brodo vegetale più verdura;
4°- latte più biscottino; oppure yogurt più frutta; oppure frullato misto; un gelato fior di latte.
5° – piatto mediterraneo (passato di verdura con legumi più una patata e come contorno verdura). Se ha ancora fame si dà un formaggino, o ricotta, mozzarella light, stracchino, crescenza, robiola, caprino.
Legumi piselli, lenticchie, fagioli, ceci, soia. Vanno inseriti passati e senza buccia.4 0-50 gr
Omogeneizzati – Liofilizzato gli omogeneizzati sono molto più digeribili rispetto alle comuni preparazioni domestiche, danno garanzia di sterilità e igiene, e assicurano l’assenza di sostanze estranee potenzialmente nocive (come estrogeni, antibiotici, contaminanti, conservanti ecc.). In alcuni bambini conviene iniziare il liofilizzato ( molto più digeribile). All’inizio metà vasetto poi secondo la tolleranza digestiva o meno, un vasetto intero.
uova A partire dai 5- 6 si può dare il tuorlo dell’uovo al bambino, meglio nella versione “uovo sodo” . Dopo l’anno ( o verso i 10 mesi) si può offrire al piccolo anche l’albume, meglio se cotto alla cocque o in camicia perché è più digeribile
Sale marino integrale Conviene “ sempre” utilizzare il sale marino integrale (e mai il raffinato! ) proveniente da zone non inquinate. La quantità di sale consigliata dalla FAO e dal WHO è di 5/6 grammi al giorno
Zucchero Non è necessario nel primo anno di vita
Secondo anno
Ampliare l’alimentazione a tutti gli alimenti, coltivare la convivialità e l’educazione al gusto, continuare sempre i 4 – 5 pasti. Ricordarsi : a mezzogiorno la distribuzione degli alimenti segue la regola del primo, secondo, contorno più eventuale frutta; di sera, a cena, un piatto unico di tipo mediterraneo più eventuale ricotta ( o formaggio o senza esagerare).
Inquinamento ( indoor e outdoor) e salute
nei bambini
L’inquinamento è un problema di notevole importanza per i bambini e questa sezione sara continuamente aggiornata.
Consiglio tre libri per coloro che vogliono approfondire i vari contenuti:
1.Inquinamento e salute dei bambini ( Toffol et al. ) Il pensiero scientifico ed. 2010
2. Gestione dei rifiuti e rischi per la salute ( Romizi R:, Burgio E. ) – Edizioni medico – scientifiche – 2009
3. Aria da morire ( Mannucci – Fronte ) Dalai ed. 2013
L’inquinamento “indoor” ( ambienti chiusi e confinati) è dato da fumo di sigarette e altri agenti di natura chimica ( composti organici volatici, anidride carbonica, formaldeide, polveri), di natura fisica ( rumore, microclima, e radon) di natura biologica ( funghi, batteri, acrari, alghe) fino alla sindrome dell’edificio malato ( tipologia di materiali di rivestimento, vernici, arredi e mobili, materili di pulizia, riscaldamento,vestiario ecc.)
L’inquinamento “outdoor” è quello atmosferico e indica tutti gli agenti fisici, chimici e biologici che modificano le caratteristiche naturali dell’aria ( traffico veicolare, rifiuti tossici, rumori, diossina inquinamento da fumi, da fabbriche, da polveri ecc.)
da: www.puntosicuri.it
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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) hanno presentato una monografia dal titolo “Children’s health and environment: a review of evidence”, per sottolineare l’importanza di salvaguardare la salute dei bambini nei confronti delle minacce ambientali.
La pubblicazione, presentata in occasione dell’apertura di Green Week 2002 da parte del presidente della Commissione Europea Romano Prodi, “dimostra che i governi europei e le istituzioni possono collaborare per proteggere la salute dei bambini contro l’ambiente”, ha sottolineato il Direttore Regionale OMS Europa, Marc Danzon.
I bambini sono particolarmente esposti all’impatto dell’inquinamento ambientale, perché organismi in fase di crescita e sono molto vulnerabili nei confronti di agenti chimici.
Il contatto frequente con pavimenti e giocattoli legato al tipico gesto delle ”mani in bocca”, li espone facilmente al rischio di ingerire sostanze potenzialmente tossiche.
Il rapporto tra degrado ambientale e cattiva salute è molto forte e “i bambini sono a rischio di esposizione a più di 15.000 agenti chimici sintetici, quasi tutti sintetizzati negli ultimi 50 anni ed a una varietà di agenti fisici quali aria inquinata in locali chiusi e all’aperto, traffico stradale, cibo e acqua contaminati, palazzi non sicuri, contaminanti nei giocattoli, radiazioni e fumo passivo” ha specificato Domingo Jiménez-Beltran, Direttore esecutivo dell’EEA.
Dal momento che molte malattie in continua diffusione quali asma, incidenti, disordini neurologici, cancro, malattie trasmesse da acqua e cibo sembrano strettamente correlate a particolari fattori ambientali, Jiménez-Beltran ha anche sottolineato quanto sia fondamentale “una stretta collaborazione tra organizzazioni ambientali e sanitarie”, per tutelare efficacemente i bambini e il loro sviluppo.
Inquinamento e salute
Fonte: http://www.nonsoloaria.com/index.htm – Dottor Davide Compagni
L’inquinamento atmosferico comporta spesso numerose conseguenze a carico della salute, soprattutto nei casi in cui si verifichi un brusco innalzamento delle concentrazioni dei comuni contaminanti dell’aria (inquinamento acuto). In questi casi, l’aumentata esposizione a vari irritanti atmosferici provoca la riduzione della funzionalità polmonare, l’aumento delle malattie respiratorie nei bambini, gli attacchi acuti di bronchite e l’aggravamento dei quadri di asma; il tutto comporta un forte incremento nel numero dei decessi fra le persone più sensibili a determinati inquinanti, come gli anziani o le persone affette da malattie respiratorie e cardiovascolari.
L’effetto dell’inquinamento a bassi livelli e per lungo tempo risulta invece più subdolo e difficile da individuare. Si presume che provochi a breve termine disagio, irritazione, tossicità specifica, affezioni respiratorie acute e, in rari casi, mortalità, soprattutto fra gli anziani affetti da patologie croniche cardiovascolari o respiratorie. Gli effetti a lungo termine causati da una esposizione ad inquinanti presenti a concentrazioni relativamente basse non sono ancora completamente chiari; in ogni caso si ritiene che fra i vari effetti vi sia la comparsa di malattie polmonari croniche aspecifiche (come la bronchite cronica, l’asma e l’enfisema), la formazione di varie neoplasie maligne (cancro polmonare, leucemie) ed un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari e respiratorie.
GLOSSARIO AGENTI NOCIVI ALLA SALUTE
Agenti Cancerogeni: agente o processo che aumenta significativamente l’incidenza di neoplasie, indipendentemente dal meccanismo di azione. Gli agenti cancerogeni si distinguono in genotossici e non-genotossici.
I cancerogeni genotossici sono agenti che significativamente aumentano l’incidenza di tumori in una popolazione e hanno l’abilità di alterare l’informazione genetica.
I cancerogeni non-genotossici (ad azione epigenetica) sono agenti che aumentano significativamente la frequenza di tumori in una popolazione ma non hanno l’abilità di alterare l’informazione genetica.
Sulla base della potenziale cancerogenicità delle sostanze sono state fatte numerose classificazioni.
L’Unione Europea distingue tre diverse categorie: alla prima appartengono le sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo; alla seconda quelle che devono essere assimilate ai cancerogeni umani sulla base degli studi condotti sugli animali; alla terza appartengono quelle per le quali gli studi hanno dato risultati preoccupanti, ma non sufficienti ad iscriverle alla seconda categoria.
Il Centro Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) adotta invece la seguente classificazione:
Gruppo 1 : l’agente è sicuramente cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 2A : l’agente è probabilmente cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 2B : l’agente è un possibile cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 3 : l’agente non può essere classificato come cancerogeno per l’essere umano;
Gruppo 4 : l’agente è probabilmente non cancerogeno per l’essere umano.
Agenti Mutageni: agente o processo che aumenta la frequenza di mutazioni in una popolazione di cellule o di individui. Gli agenti mutageni si distinguono in mutageni diretti e indiretti.
Mutageni diretti: agenti chimici o fisici che interagiscono direttamente con il DNA modificandolo.
Mutageni indiretti: agenti chimici che non interagiscono direttamente con il DNA, ma attraverso la produzione di radicali reattivi o la interazione con la sintesi, replicazione o mantenimento della sua struttura.
Agenti Teratogeni: agente che interferisce con il normale sviluppo dell’embrione. Fra le sostanze teratogene riconosciute o sospette che si possono trovare nell’ambiente vi sono le diossine, il mercurio ed il fumo di sigaretta.
Allergeni: Gli allergeni sono gli agenti che causano le allergie. Di varia natura, sono sostanze innocue per le persone normali ma determinano sintomi specifici soprattutto a carico della pelle e dell’apparato respiratorio nelle persone divenute ad esse ipersensibili.
La reazione dell’organismo a queste sostanze è scatenata dal sistema immunitario ed è dovuta alla produzione di particolari anticorpi.
Le allergie si possono manifestare in maniera molto diversa a seconda della loro gravità ed in alcuni casi determinano l’insorgenza dell’asma, dell’orticaria, delle polmoniti da ipersensibilità e degli shock anafilattici. Gli allergeni aerodispersi si possono suddividere in quattro diverse categorie a seconda della loro origine.
Gli allergeni di origine animale sono, per lo più, le parti del corpo e gli escrementi di acari ed insetti, ed anche le piume e i frammenti dell’epidermide dei mammiferi.
Gli allergeni di origine vegetale sono quelli più conosciuti: il polline, le fibre tessili, il pulviscolo di legno e di caffè, i residui delle gomme, gli oli, gli aromi e i profumi. In genere si fanno rientrare in questa categoria anche le spore dei funghi e delle muffe, anche se questi organismi non sono propriamente dei vegetali.
Gli allergeni di origine chimica sono diffusi per lo più negli ambienti chiusi, specialmente nei luoghi di lavoro. In questa categoria rientrano i sali metallici, le resine epossidiche, i residui dei medicinali, gli enzimi, il fumo di tabacco, ecc.
Gli allergeni metallici e minerali vanno a costituire gran parte delle polveri aerodisperse. In ambito professionale sono relativamente diffuse le allergie alla polvere di gesso, di asfalto, di cemento, di nichel, ecc.
Agenti nocivi all’apparato respiratorio: Il principale apparato da prendere in considerazione quando si ha a che fare con gli inquinanti dell’aria è il sistema respiratorio. Questo apparato può divenire il bersaglio di una quantità innumerevole di sostanze tossiche oppure può fungere da punto di entrata per tutti quegli agenti che, venendo a contatto col sangue, si diffondono poi nel resto del corpo.
Il tratto respiratorio è tradizionalmente suddiviso in una parte superiore ed in una inferiore. Quella superiore è composta dalla regione nasale, dalla faringe e dalla trachea e serve a riscaldare, inumidire e ripulire l’aria che viene condotta nei polmoni.
I bronchi, i bronchioli e gli alveoli costituiscono il tratto inferiore (o polmoni) dove avviene lo scambio dei gas con il sangue. La forza motrice della respirazione è data dal diaframma, un esteso muscolo che si estende sopra la cavità addominale alla base dei polmoni. Per questo motivo, ogni tossina che agisce negativamente sull’azione del sistema muscolare può avere anche un effetto nocivo sull’apparato respiratorio.
Il particolato aerodisperso penetra abbastanza difficilmente all’interno dei polmoni, in quanto esiste tutta una serie di mezzi anatomici e funzionali che ostacola l’accesso delle polveri.
Al contrario i gas ed i vapori penetrano molto più speditamente nell’organismo ed i composti tossici inalati vengono spesso assorbiti, anche se con modalità diverse per quanto riguarda la quantità ed il punto di assorbimento. Un gas molto solubile in acqua viene assorbito facilmente già nel tratto superiore del sistema respiratorio: può finire nel muco oppure passare attraverso lo strato epiteliale e penetrare così all’interno del corpo. I gas meno solubili, invece, vengono più che altro trasportati nel tratto più profondo dell’apparato respiratorio fino agli alveoli dove l’assorbimento dipende prevalentemente dalle pressioni parziali dei gas nell’aria inspirata.
Gli effetti tossici a carico del sistema respiratorio sono molto vari e possono spaziare da una semplice irritazione e costrizione dei passaggi dell’aria, alla fibrosi polmonare (cambiamenti nella composizione e nel tipo cellulare), all’edema (un’eccessiva ritenzione di fluidi), al cancro.
Da notare che gli effetti irritanti sono solitamente reversibili, comunque l’esposizione cronica ad un irritante può comportare l’insorgenza di un danno permanente a livello cellulare.
L’azione dei composti tossici può quindi variare da un comune senso di malessere e di oppressione al petto, all’anossia, alla tosse cronica, ecc.; in alcuni casi vi può essere la morte.
L’amianto e l’arsenico sono due agenti tossici che rappresentano anche le più comuni cause del cancro ai polmoni.
Agenti nocivi al sistema nervoso: Neurotossiche sono tutte quelle sostanze nocive che hanno come organo bersaglio il sistema nervoso.
Gli effetti tossici sul sistema nervoso comprendono principalmente l’alterazione del bilanciamento ionico, l’interferenza con i neurotramettitori chimici o con i loro recettori e l’anossia, cioè la mancanza di ossigeno a livello cellulare. Le cellule nervose hanno infatti un’elevata velocità metabolica e per questo richiedono un maggiore apporto di ossigeno rispetto alle altre cellule del corpo. Dato che un apporto adeguato di ossigeno è essenziale per l’appropriato funzionamento del cervello, ogni sostanza che compromette il flusso del sangue al cervello può causare dei seri danni.
Quindi la tossicità si può manifestare sia a livello generale del cervello, ma anche sulle singole fibre nervose, sulle guaine mieliniche, ecc.
Il piombo è una classica neurotossina, da molto tempo conosciuta per i suoi effetti deleteri. L’estrema pericolosità del piombo si può attribuire in parte ai suoi diversi meccanismi di azione. Può infatti colpire il sistema neuronale danneggiando gli assoni, distruggendo la guaina mielinica ed anche interferendo con i neurotrasmettitori chimici nelle sinapsi. Anche gli insetticidi organofosfati interferiscono con la funzione dei neurotrasmettitori chimici all’interno del sistema nervoso, spesso causando debolezza e paralisi, qualche volta anche la morte.
Altri composti neurotossici diffusi sono l’acrilamide, l’endrin, il dieldrin ed alcune forme di mercurio.
Agenti nocivi al fegato: All’interno del corpo umano il fegato svolge un ruolo di fondamentale importanza: rappresenta il punto principale nel quale avviene la biotrasformazione delle sostanze, cioè il loro metabolismo. Questo organo agisce in modo da modificare chimicamente i nutrienti, gli ormoni, i componenti del sangue oramai invecchiati ed anche le sostanze estranee, al fine di ottemperare a vari processi di estrema importanza come il nutrimento, l’immagazzinamento di vitamine e nutrienti, la detossificazione e l’escrezione.
Il fegato svolge un’azione detossificante nei confronti della maggior parte delle sostanze tossiche, anche se in alcuni casi la sua azione metabolica può rivelarsi dannosa. In effetti la sua azione è anche in grado di modificare la struttura delle sostanze pericolose trasformandole in sostanze tossiche e causando così un danno più o meno grave.
Il tetracloruro di carbonio (anche chiamato CFC-10) è probabilmente l’epatotossina più conosciuta e non è tossico per il fegato nella sua forma non metabolizzata. Questa sostanza è una di quelle la cui tossicità viene incrementata dal fegato piuttosto che diminuita. Da notare che gli effetti tossici del CFC-10 vengono accresciuti da una preliminare assunzione di bevande alcoliche.
Altre comuni epatotossine sono il berillio, il cloroformio, il tricloroetilene ed il cloruro di vinile.
L’azione finale delle tossine nel fegato può condurre alla loro accumulazione nel tessuto grasso, all’itterizia, alla morte cellulare (apoptosi), alla cirrosi ed al cancro. Oltre a questo, le sostanze che incrementano o diminuiscono i livelli degli enzimi metabolici nel fegato possono influire sulla tossicità di molti altri composti alterando il loro metabolismo.
Agenti nocivi alla riproduzione: Gli inquinanti tossici dell’aria possono causare molte disfunzioni riproduttive diverse.
Vari inquinanti possono determinare una diminuzione della fertilità sia ai danni dell’apparato maschile che di quello femminile. Molti studi scientifici hanno evidenziato che certi idrocarburi policiclici aromatici esercitano un’azione tossica diretta nei confronti degli ovociti. L’esposizione a queste sostanze può addirittura causare una sterilità permanente.
E’ possibile che l’esposizione a determinati composti provochi un’alterazione della normale attività ormonale compromettendo la stessa fecondazione oppure lo sviluppo dell’ovulo fecondato diminuendo così le possibilità di sopravvivenza dell’embrione.
La pericolosità di queste sostanze è tanto maggiore quanto minori sono i disturbi o i malesseri immediati che si manifestano a carico delle persone che ne subiscono l’esposizione.
In effetti, una persona che entra in contatto con una sostanza che colpisce il sistema riproduttivo, spesso si rende conto della gravità della situazione solamente una volta effettuato un controllo della propria fertilità oppure sulla base dei danni che si manifestano nella prole.
Alcuni agenti tossici alterando lo sviluppo embrionale possono comportarsi da potenti teratogeni causando delle anomalie fisiche ai figli oppure determinando un ritardo della loro crescita fisica o mentale o vari effetti tossici a carico di organi specifici. Non sono da escludere nemmeno alterazioni dello sviluppo degli organi sessuali e la definitiva compromissione delle capacità riproduttive dei figli.
Da notare che i bambini possono entrare in contatto con queste sostanze tossiche anche attraverso il latte materno, per cui l’esposizione a questi agenti è assolutamente da evitare anche nel periodo dell’allattamento naturale e non solo durante la gestazione.
Fonte: http://www.nonsoloaria.com/index.htm – Dottor Davide Compagnin
Inquinamento e bambini
da: M.L. Rabbone A. Biolchini , M.G. De Gaspari, A.Nova Milano, 11 febbraio 2012
Perche parlarne …
WHO EUROPE,5 CONFERENZA MINISTERIELE SULL’ AMBIENTE E LA SALUTE,PARMA 2010
1. IL 23% DI MORTI NEL MONDO E’ PER FATTORI AMBIENTALI, IL
33% DEI BAMBINI SOTTO I 5 ANNI SOFFRE DI PATOLOGIE
2. LEGATE ALL’AMBIENTE.
IN EUROPA LA MORTALITA’ INFANTILE DA PATOLOGIE
3. RESPIRATORIE E’ DEL 12% FINO AL 25% PER MALATI DI
ASMA ,ALLERGIE ED ADOLESCENTI.
4. IN EUROPA 1% DELLA MORTALITA’ INFANTILE E’
ATTRIBUIBILE ALL’ESPOSIZIONE AD ARIA INQUINATA.
5. 6.4% DELLE MORTI PER TUTTE LE CAUSE TRA 0 E 4 ANNI DI
ETA’ E’ DOVUTO AD INQUINAMENTO ATMOSFERICO
6. NEGLI ULTIMI 30 ANNI LA PREVALENZA DELL’ASMA NEL
BAMBINO E’ PASSATA DAL 3% AL 10 %.
Inquinanti aria esterna (outdoor)
Nell’aria esterna sostanze diverse in relazione al
tipo di emissioni, alle condizioni geografiche
climatiche ed atmosferiche costituiscono insiemi
di inquinanti che interagiscono.
Gli esiti sulla salute sono determinati da
miscele di molecole e composti che agiscono
contemporaneamente ,con effetto sinergico e
nel tempo.
Effetto mortalità non e’ diretto ma per un
insieme di fattori su soggetti vulnerabili
(bambini, anziani, malati cronici)
Inquinanti dell’aria
principali indicatori
MISA-2 , ARPA Toscana
• SO2 – ( Biossido zolfo o Anidride solforosa ) combustione (carbone, gasolio, nafta) – impianti termici
• NO (Ossido azoto ) traffico veicolare (DIESEL) – impianti termici
• O3 (Ozono ) da NO2 e da VOC + energia fotolitica solare – traffico
• CO – (Ossido carbonio) traffico veicolare ( intenso e lento )
• PM – ( Particolato ) traffico veicolare ( scarico, risospensione –
industria – impianti termici
VOC ( Composti organici volatili ) traffico veicolare (BENZINA) benzene – industria
IPA (Idrocarburi policiclici aromatici ) – traffico veicolare (DIESEL,BENZINA) benzo-a-pirene
Il black carbon : nuovo indicatore di
inquinamento da traffico
Particelle black carbon (carbone elementare) o
particolato carbonioso
• Polveri ultra fini < 0,1 micron (polveri “fresche”)
• Emesse dagli scarichi dei veicoli e per combustione
sostanze organiche
• Parte piu’ pericolosa del PM10,rappresentativo degli IPA
• Penetrano nel polmone e nel sangue
• Elevata variabilità spaziale (vicino alla sorgente)
• Dispersione esponenziale nel raggio di 300-500 metri
BC : marcatore di “ prossimità ” da traffico
G.Invernizzi, Atmospheric Environment,2011
Composti organici volatili (VOC)
ARPA EMILIA ROMAGNA – Atmosfera aria e inquinamento
Sostanze Idrocarburi
– semplici: carbonio e idrogeno
– piu complessi: azoto e/o ossigeno e/o cloro
Fonti traffico veicolare
industria: vernici, materie plastiche
Reazioni implicati in processi fotochimici
reagiscono con NOx e O3 producendo radicali
liberi diversi
Effetti
sulla
salute
legati alla elevata liposolubilita
flogosi polmonare
Cancerogenicita (benzene )
Più tossici se veicolati al polmone da pulviscolo
Benzene C6H6
ARPAV – area tecnico scientifica
Fonti traffico veicolare (responsabile dell’80%) ciclo
della benzina (raffinazione,distribuzione)
Esposizione la guida di autoveicoli comporta esposizioni
superiori di 3 – 4 volte
Effetti tossici acuti SNC (cefalea nausea vertigini) miocardio
Effetti da esposizione cronica sostanza cancerogena di classe I (leucemia)
Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro
(IARC): evidenza per l’uomo“sufficiente”
Vulnerabilità dell’età evolutiva
• Sviluppo del polmone
– finestra di maggior suscettibilita dalla nascita ai 5 – 6 anni: e’ un
organo in via di sviluppo
• Maggior esposizione
– per unita di peso i bambini inalano un volume d’aria doppio
dell’adulto e respirano a bocca aperta
– passano piu tempo all’ aria aperta e svolgono maggior attivita’
fisica
– sono bassi, piu vicini alle fonti di emissione sulla strada
– sono piccoli,inconsapevoli
– presentano immaturita’ metabolica ed immunologica
Selevan SG Environ Health Perspect. 2000
US Environmental Protection Agency (1997),
National Research Council (1993) e Gephart et al. (1994).
Esiti per lunghe esposizioni
ad elevate concentrazioni di inquinanti
Abitare vicino a strade con intenso traffico
(traffico pesante) si associa a :
• minor sviluppo del polmone
• maggior sensibilizzazione allergica
• maggior numero di infezioni respiratorie
• maggior sviluppo di broncospasmo
• maggiori riacutizzazioni di sintomi negli asmatici
Tumori infantili e inquinamento
• Possibile associazione tra leucemia infantile ed inquinamento da
traffico (incrementi di rischio modesti ma su larghi strati della
popolazione).
• Maggiore correlazione tra leucemia ed esposizione al benzene
(evidenza 1)
• Possibile effetto mutageno del particolato ultrafine .
(passa la placenta)
Mutazioni : stocastiche (casuali ) o prodotto di uno stress
epigenetico prolungato che si trasforma in danno genetico
anche per esposizione parentale
J.Epid.Community Health 2005 ;
Ann.Ist super.sanità,2000;
Carcinogenesis,2008 ;
Burgio E., Comunicazione personale, 2011
AZIONI raccomandate
per ridurre l’esposizione dei bambini
agli inquinanti dell’aria
• Usare di piu i mezzi pubblici e la bicicletta
• Camminare di piu a piedi con i bambini scegliendo orari e luoghi di
minor traffico.
• Andare a scuola in modo autonomo: “pedibus”, piste ciclabili, percorsi
controllati e chiusi al traffico in vicinanza delle scuole.
• Evitare di svolgere attivita fisica all’aperto nelle ore piu calde in
estate e nelle ore piu’ fredde in inverno.
• Collaborare con gli enti preposti perche il piano traffico tenga conto
delle esigenze dei bambini.
• Scegliere l’auto nuova tra quelle che piu rispettano l’ambiente , tenere
conto che chi usa l’auto inala parte delle proprie emissioni.
• Preferire parcheggi sotterranei, non sostare con il motore acceso.
• Costruire scuole e case lontano da zone di traffico intenso e/o con
molte di fabbriche.
Detergenti inquinano la nostra casa e il nostro ambiente, possono essere tossici
e causare danni alla salute. impariamo a usarli meno e meglio
Le azioni proposte
• Fare a meno di prodotti inutili, usare pochi prodotti per diverse pulizie.
• Utilizzare spruzzino con acqua e aceto (di mele ha meno odore),
ottimo come sgrassatore e anticalcare.
• Utilizzare panni di microfibra, permettono di ridurre la quantità
di detersivo utilizzata.
• Utilizzare acqua calda e TEMPO. Lasciare agire i detersivi permette
un risultato migliore con meno prodotto.
• Usare i guanti, qualsiasi sostanza passa attraverso la pelle e viene
assorbita dal nostro organismo.
• Scegliere là dove possibile detergenti biologici altamente biodegradabili,
sono meno tossici e hanno un minor impatto sull’ambiente.
• Rispettare o anche ridurre le dosi consigliate, spesso si ottengono
risultati analoghi e si risparmia!
• Utilizzare prodotti concentrati e ricariche, durano più a lungo
e si producono meno rifiuti
L’aria di casa…può essere migliore!
Lo sai che l’esposizione indoor ad agenti tossici risulta da 10 a 50 volte
superiore rispetto a quella outdoor?
Le azioni proposte
✖
non sprecare l’acqua, l’energia, il cibo
✖
aver cura dell’ambiente intorno a noi,
in casa e fuori
✖
promuovere un’alimentazione sana
a base di prodotti effettivamente biologici
✖
privilegiare la mobilità a piedi,
in bicicletta, con i mezzi pubblici
✖
privilegiare i beni prodotti nel rispetto
dei diritti umani
✖
sostenere il diritto all’educazione,
alla salute e ad ambienti vivibili
per i bambini che ne sono esclusi
✖
promuovere la conoscenza tra bambini
e ragazzi di diverse nazionalità
✖
educare a relazioni basate
sulla comunicazione e la non violenza
Si definisce inquinamento indoor
da: http://www.inquinamentoindoor.info/
“la presenza nell’aria di ambienti confinati di contaminanti fisici, chimici e biologici
non presenti naturalmente nell’aria esterna di sistemi ecologici di elevata qualità”
(Ministero dell’ambiente)
I fattori di inquinamento per uno spazio confinato sono:
l’ambiente esterno con le sue concentrazioni inquinanti, i materiali da costruzione, i mobili, gli arredi, gli odori generati dalla cottura dei cibi, dai detersivi, dai saponi, dai profumi, gli animali domestici, la polvere e quant’altro, dall’unione di tutti questi fattori il risultato è scontato e non certo salubre, la scarsa ventilazione e l’inadeguato o impossibilitato ricambio d’aria fanno il resto.
L ’ uomo trascorre la quasi totalità delle 24 ore (80-90%)
all’interno di edifici, respirando circa 22.000 volte ogni 24 ore.
E’ di fondamentale importanza considerare la qualita’ dell’aria indoor come principio per la salute.
La composizione dell’atmosfera all’interno degli edifici è fondamentalmente simile a quella esterna.
Si differenziano tra loro le quantità e i tipi di contaminanti, agli agenti inquinanti presenti all’ esterno, si consideri una serie di agenti
inquinanti le cui fonti sono presenti all’interno degli edifici.
Le fonti principali di contaminanti indoor sono:
· i materiali da costruzione
· gli impianti di riscaldamento, condizionamento e cottura dei cibi etc.
· gli arredi
· i rivestimenti (pitture murali, vernici, pavimenti etc.)
· prodotti per la manutenzione e la pulizia (detersivi, insetticidi etc.)
· l’utilizzo degli spazi ed il tipo di attività che vi si svolge.
A quanto indicato, e’ considerato importante, la tossicità di ogni singoloinquinante che e’ spesso “amplificata” dall’ associazione
chimico/fisica con altre sostanze e/o agenti inquinanti.
Le piu’ comuni sostanze rilevate, sono: le polveri, il fumo di sigaretta e i vapori generati dalla cottura dei cibi.
Il rischio per la salute e’ dato dalla concentrazione (quantità per m3) e dal tempo di permanenza nell’ambiente.
Gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute umana sono molteplici in quanto, uno studio ha identificato che, gli agenti inquinanti,
condizioni di reazione chimico/fisica, stress psicofisico, mutazione del clima esterno e discomfort climatico, sono responsabili del
disturbo della salute.
E’ da considerare importante, che ogni individuo reagisce in modo indipendente alle stesse condizioni.
E’ improbabile valutare il rischio singolo all’ esposizione, in quanto la pericolosita’ degli agenti inquinanti e’ data dal tempo di
esposizione, dalla composizione chimica e dalla loro combinazione miscelazione.
Le azioni preventive
Ridurre l’utilizzo dell’ automobile, ridurre il riscaldamento domestico
Non fumare
Arieggiare le abitazioni
Ridurre l’uso di prodotti per la pulizia e di pesticidi.
Inquinamento dell’aria
( approfondimento)
Da: http://www.savetheworld.it/
L’inquinamento atmosferico è determinato dalla presenza, nell’aria che respiriamo, di sostanze che possono
avere effetti significativi sulla vegetazione, sugli animali, sull’uomo o sui diversi materiali presenti sul pianeta.
Queste sostanze inquinanti spesso possono essere classificate in sostanze di origine antropica (prodotti dal’uomo)
e naturali; ancora possiamo trovare inquinanti primari (non hanno bisogno di reazioni chimiche per manifestare
i loro effetti) e secondari che inquinano grazie a reazioni chimico-fisiche. Con un ulteriore classificazione collochiamo
inquinanti outdoor (esterni) come lo smog che invade le nostre città ed inquinanti indoor (interni) ovvero
quelli all’interno di edifici o luoghi chiusi che, come vedremo, i cui effetti non sono da ritenersi secondari.
Inquinanti outdoor – Negli ultimi secoli la mano dell’uomo è stata fondamentale per l’evoluzione
della nostra civiltà attuale grazie ai notevoli passi in avanti in ambito scientifico e tecnologico.
Questo progresso non è stato però accompagnato dal controllo degli effetti sull’impatto ambientale
o comunque i provvedimenti in merito si sono rivelati non sufficienti. Tutto questo, quindi, unito
all’enorme incremento demografico (nelle grandi metropoli in particolare) rende la problematica
particolarmente preoccupante in quanto è a duro rischio l’incolumità dell’uomo e dell’ambiente.
Il contributo maggiore di inquinamento di origine antropica è quello prodotto per soddisfare esigenze
alimentari, civili ed industriali. In particolari le grandi sorgenti in questione sono ovviamente
le industrie di produzione e trasformazione che sono strettamente legate all’uso incontrollato di
combustibili fossili (oli pesanti in particolare; classico esempio il petrolio). Anche le piccole
fonti di inquinamento domestico (impianti di riscaldamento) e il traffico veicolare non sono
da sottovalutare soprattutto nelle città più trafficate, dove in alcune delle quali gli ecologisti
hanno riscontrato dati piuttosto allarmanti. Ci sono anche Paesi dove la situazione è ancora
più catastrofica: come accade in alcuni Paesi asiatici dove non ci sono vere e proprie limitazioni
governative per quanto riguarda l’emissione atmosferica di sostanze inquinanti ai fini di incentivare
l’industrializzazione (ancor più stimolata dalla manodopera a basso costo); in diversi
Paesi, ancora, vengono utilizzati, in maniera legalmente riconosciuta, combustibili con concentrato
di piombo (quella che chiamavamo benzina rossa) e l’uso incontrollato di tale sostanza potrebbe
costituire l’80% dei concentrati atmosferici. Le piccole sorgenti risulterebbero meno dannose ma
in realtà non è così, poiché mentre i “grandi inquinatori” sono solitamente lontani delle aree
densamente abitate e le sostanze vengono liberate a quote significativamente alte, le piccole
fonti invece sono riscontrabili proprio in aree urbanizzate le cui emissioni avvengono a
basse altezze o al livello del suolo addirittura. Pertanto è importante quest’aspetto ai fini
dell’analisi del problema: per salvaguardare l’incolumità pubblica è opportuno ridimensionare
soprattutto le piccole fonti di inquinamento. Per quanto concerne gli inquinanti primari, essi
dopo essere stati diffusi possono subire trasformazioni chimico-fisiche portando alla formazione
di inquinanti secondari, spesso di gran lunga più nocivi dei primi. Basta pensare a quello che viene
chiamato smog fotochimico, forse la forma più grave di inquinamento che minaccia l’ecosistema.
Per quanto detto, è fondamentale conoscere gli inquinanti primari in modo da intervenire per limitarne
le cause non solo regolando le emissioni ma anche acquisendo informazioni relative ai fenomeni
meteorologici delle aree di interesse.
Di solito si associa all’inquinamento la responsabilità umana: non sempre è così! Le fonti naturali di inquinamento sono a volte più temibili di quelle di origine antropica. E’ chiaro però che ben poco può essere fatto per limitare i danni dovuti alle sostanze naturali e per tale motivo si concentra di più l’attenzione sull’inquinamento di origine umana, anche perché le emissioni naturali avvengono in un arco temporale decisamente modesto (es. fulmini). Ma come sempre non mancano le eccezioni: un esempio è quanto avvenne a seguito dell’esplosione del vulcano di Saint Helens (1980) i cui effetti si protrassero per diversi mesi dopo l’eruzione (come sappiamo, quasi tutte le eruzioni vulcaniche provocano nubi tossiche che possono portare conseguenze anche di medio-lungo termine); un altro esempio ancora sono le polveri del Sahara che grazie all’azione eolica possono addirittura raggiungere Paesi come la Gran Bretagna; anche la flora da il suo contributo al riguardo, poiché tutti ormai siamo a conoscenza degli effetti allergici dei pollini. Nella foto a sinistra è rappresentata l’eruzione del vulcano di Saint Helens avvenuta nel 1980 (fonte: associazionecrocedelsud.com).
Fino a pochi anni fa si credeva che il Monte St.Helens, un vulcano situato nello stato di Washington,
fosse ormai inattivo da più di 20.000 anni. La caratteristica di questo vulcano, in modo analogo al Vesuvio,
è quella di essere esplosivo. Il 18 Maggio di 30 anni fa circa, un terremoto di magnitudo 5.2 “risvegliò”
il vulcano. Successivamente al distaccamento di un fianco del monte, un’esplosione provocò una nube
incandescente devastando tutto e tutti nel raggio di circa 200 Km. 70 persone morirono e i
danni causati ammontarono a circa 3 miliardi di dollari.
Inquinanti indoor – In precedenza abbiamo già accennato cosa si intende per inquinamento indoor, distinguendolo da quello outdoor. Ora è doveroso puntualizzare che nella categoria indoor sono esclusi gli ambienti industriali poiché l’inquinamento relativo a essi varia a seconda del settore in cui operano i soggetti all’interno dello stabilimento. Negli ultimi anni si sta prestando particolare attenzione agli inquinanti indoor, considerando anche che ormai nei Paesi sviluppati, le persone vi trascorrono il 90% della giornata e quindi ciò ha richiesto l’intervento delle autorità governative con controlli e azioni legislative.L’esempio più comune e forse quello più fastidioso è dato dalla presenza di fumatori. Noti enti di ricerca hanno ufficialmente dichiarato che il fumo di tabacco comporta gravissimi effetti cancerogeni sia nel caso in cui viene aspirato direttamente sia nel caso di aspirazione passiva (o meglio fumo passivo). Gli effetti dannosi di quest’ultimo colpiscono soprattutto anziani, soggetti deboli, donne incinte ed infanti in quanto proprio questi possono essere vittime di acute malattie respiratorie e in alcuni casi di morti improvvise (SIDS). Pertanto data l’insostenibile entità dei danni provocati dai fumatori, è facile convincersi che la sola via per salvaguardare l’incolumità personale ed altrui è l’eliminazione totale di questi reagenti.
Anche l’amianto manifesta la sua pericolosità negli ambienti indoor: una fibra minerale che è stata
largamente impiegata nel passato per realizzare ad esempio pannelli isolanti per abitazioni.
Purtroppo è scientificamente provata l’elevata minaccia di questo materiale in quanto cancerogeno, ma esso
risulta però innocuo se non disperde fibre nell’aria. Qualora si abbia, in ogni caso, amianto in casa è
opportuno ricorrere a ditte specializzate per la sua rimozione poiché una manovra non corretta incrementa
notevolmente il rischio di esposizione. Un’ulteriore minaccia in tali circostanze è dovuta ai batteri, ossia
microrganismi viventi diffusissimi in tutti gli ambienti e possono essere sia “buoni” (innocui) che “cattivi”
(portatori di varie patologie). I luoghi di diffusione e trasmissione di questi ultimi sono quelli più affollati
(come scuole, uffici, caserme, mezzi pubblici, ecc.), in quanto la via preferenziale di questi organismi è
quella aerea. Per stroncare al nascere tale fenomeno, risulta indispensabile pulire periodicamente
gli impianti di ventilazione e climatizzazione perché spesso è proprio lì che si annidano i batteri più pericolosi,
come la “Legionella” che una volta introdotto nell’apparato respiratorio può essere causa di malattie mortali!
Quindi, per tutelare la salute dei soggetti coinvolti negli ambienti indoor, è sicuramente consigliabile favorire
il ricambio d’aria in maniera abbastanza frequente e oltre ad essere efficace è sicuramente un rimedio semplice,
pratico e non comporta alcun costo economico!
Effetti sull’uomo e sull’ambiente – Molti sostengono che gli effetti dell’inquinamento atmosferico
sull’uomo riguardano solo la salute in senso stretto (come disfunzionalità polmonari, malattie respiratorie
e/o cardiovascolari, asma bronchiale ecc.): si sbagliano! Ci sono anche malattie che mettono stato d’ansia e
paura catalogabili come malattie psicopatiche e maniacali attribuibili alla forma di inquinamento in questione,
anche se l’intuito porterebbe a smentire questa constatazione! Per quanto concerne l’ambiente, oramai
i fatti parlano più delle parole! Il gravissimo disagio ambientale non solo riguarda le Nazioni industrializzate
con quello che abbiamo definito smog fotochimica ma tutto il globo! Basta pensare alle conseguenze
delle piogge acide e dell’effetto serra, nonché del buco dell’ozono (risulta doveroso approfondire
la natura di questi processi). In ogni caso, se non si interverrà politicamente al riguardo mettendo
da parte i profitti e la visione imprenditoriale del sistema in cui viviamo, gli effetti diventeranno
via via sempre più devastanti!
Il bambino timido
da: Philip G. Zimbardo, Shirley L. Radl
La timidezza — un atteggiamento che porta a essere estremamente preoccupati della valutazione sociale che gli altri possono dare di noi, con la conseguente tendenza a evitare ogni persona o situazione che in qualche modo possa implicare una critica — è una condizione generalmente sottovalutata, così come le sue conseguenze. La timidezza, infatti, rende difficile incontrare persone nuove o gustare esperienze potenzialmente positive, impedisce di difendere efficacemente i propri diritti e di esprimere le proprie opinioni davanti ad altre persone, ostacola la lucidità di pensiero e la comunicazione, è accompagnata da stati d’animo negativi come la depressione, l’ansia, la scarsa autostima e il senso di solitudine. In questi e in molti altri modi, la timidezza limita pesantemente lo sviluppo delle potenzialità personali e danneggia gravemente la qualità della vita. Sulla scorta di studi condotti in tutto il mondo e di una vastissima esperienza clinica, gli autori ( nel loro libro “il bambino timido” pubblicato da Erckson ed. con il sottotitolo ” comprendere e aiutare a superare le difficoltà personali”) esaminano le cause, le dinamiche e le manifestazioni della timidezza, e presentano un programma per prevenirla o superarla promuovendo la sicurezza di sé, insegnando le abilità per gestire le emozioni e le situazioni sociali, e migliorando l’autostima.
Timidezza e socializzazione
da: http://www.edscuola.it ( Giusy Rao)
Potrebbe la timidezza ripercuotersi sulla vita sociale del bambino? Qual è la linea di demarcazione fra un atteggiamento timido e un comportamento troppo remissivo?
La timidezza si sviluppa sulla base delle relazioni che il bambino instaura col mondo esterno, quindi è da considerarsi un atteggiamento che si acquisisce in base agli stimoli provenienti dall’esterno.
Secondo il punto di vista di numerosi esperti, la timidezza non può essere considerata una patologia psicologica da eliminare, né un difetto da correggere. Presumibilmente, le questioni maggiori della timidezza infantile sono proprio quelli legati all’approvazione o al rigetto di questo modo di essere (da parte di genitori, insegnanti, amici) del bambino stesso. È quasi un istinto naturale quello che un genitore tenda a spingere il figlio che ha “paura degli altri” verso di loro. Trattasi di un atteggiamento “naturale”, quasi comprensibile ma che molti esperti considerano sbagliato e per nulla proficuo.
“Anche con i più piccoli è necessario evitare atteggiamenti che possono aumentare la loro difficoltà a rapportarsi con gli altri. Genitori sempre critici e rimproveri continui a lungo andare rovinano completamente l’autostima del bambino e lo rendono insicuro, ingigantendo la sua timidezza”. In una situazione del genere, l’adulto dovrà evitare di mostrare eccessiva ansia, disappunto o disinteresse e derisione nei confronti del piccolo; la timidezza, infatti può diventare paralizzante se quest’ultimo si sente umiliato o rifiutato.
Il più delle volte, la timidezza ha un suo background di base: spesso il bambino timido è cresciuto con una mamma timida che, in maniera del tutto involontaria, può avergli comunicato e così trasferito le sue ansie e le sue paure circa gli eventi della vita.
Sin dai primi approcci madre-figlio, nascono i presupposti della vita emotiva del piccolo, lo si veda ad esempio dalla reciprocità degli sguardi.
Solitamente il genitore è teso a garantire al figlio il pieno soddisfacimento dei bisogni fisici i quali assumono una posizione di rilievo rispetto alle componenti psicoemotive e spirituali, merita invece, di essere opportunamente sottolineata l’importanza di questi ultimi due aspetti in quanto essi contribuiscono a garantire al soggetto un ottimo adattamento alle situazioni sociali.
Durante lo sviluppo corporeo, è necessario che l’adulto osservi scrupolosamente il carattere del piccolo intervenendo per facilitare sia l’accrescimento fisico, sia l’espressione emotiva. In questa fase si dovrebbe rigorosamente evitare di programmare l’intera giornata del fanciullo, il quale deve essere posto in una situazione in cui sia possibile inseguire i suoi pensieri e fantasticare con la mente. Similmente al “counselor”[1] il genitore o l’insegnante che si trova ad interagire col fanciullo, deve porsi in una situazione di vicinanza, senza porre domande ma cercando di far parlare il bambino, mediante l’ausilio del gioco o della fiaba.
Lentamente, l’adulto riuscirà ad accorgersi di eventuali problemi che il bambino non esprime e ad aiutarlo a comunicare tutto ciò che prova o sente.
Solitamente, i bambini timidi rivelano delle difficoltà ad esprimere sentimenti negativi, (paura, rabbia e odio), appare così fondamentale insegnare loro a gestire l’aggressività, a tirarla fuori, a dominare i propri istinti e le proprie emozioni.
E’ fondamentale che il bambino venga aiutato a capire il suo mondo interiore, ricco ed ilare, ma proprio per questo difficile da comprendere. Se la timidezza è motivata dalla paura degli altri, occorre stare vicini al bambino, facendogli attenzionare i lati piacevoli e divertenti delle persone in modo tale da debellare quel senso di soggezione emergente. Qualche problema maggiore può nascere quando ci si accorge che il ragazzino, crescendo, diventa sempre più timido e chiuso. “Più aumentano i suoi contatti con il mondo, più crescono i rossori e le paure”. Al fine di aiutarlo, gli adulti dovranno mostrare di apprezzare i suoi punti di forza e accettare, senza colpevolizzazioni, i suoi limiti. Così agendo, anche il ragazzino imparerà a non sentirsi inferiore o umiliato per la sua debolezza.
Giunti a questo impasse, l’adulto, dovrà spingere il piccolo a socializzare con gli altri bambini: mediante gli sport competitivi (se lo sport diventa una passione agonistica, tanto meglio, sarà un aiuto in più per sfogare tutte le emozioni) o di squadra il bambino può imparare a considerare gli aspetti positivi inerenti l’appartenenza ad un gruppo ed acquisire contemporaneamente il piacere di gestire meglio i suoi rapporti sociali. Indicato anche uno sport in cui il bambino possa confrontarsi direttamente con un altro, un avversario, come il tennis.
La suddetta esperienza va vissuta nell’ottica del divertimento e della socializzazione, poiché se venisse vissuta come imposizione, innesterebbe nel bambino un ulteriore senso di inadeguatezza che lo porterà a considerare se stesso come piccolo uomo inserito a forza nella dinamica sociale “poiché timido e quindi soggetto da curare”. La timidezza se non viene ben canalizzata, può generare nel bambino un atteggiamento fin troppo remissivo. Il bambino remissivo è spinto a non esprimere opinioni, a non reagire alle offese dei coetanei, ad accettare ogni situazione senza esprimere la sua volontà. Talvolta, il fatto di essere fin troppo accondiscendenti, è da imputare al carattere, altre volte il bambino non ha ancora appreso come negoziare la controversia, vale a dire non è ancora stabile in lui la capacità di far presenti al mondo esterno le sue aspettative e i suoi desideri. Non è da escludere il fatto che il clima familiare porta il bambino a reagire in questo modo. Non è raro infatti che, se c’è tensione in famiglia, il bambino si convinca che per “aggiustare” un po’ la situazione debba essere sempre buono e quindi non creare altri problemi motivo per cui, si fa viva in lui l’idea che sia conveniente mantenere un atteggiamento remissivo che poi inevitabilmente verrà trasferito a tutti i rapporti sociali. L’adulto che si trova a far fronte a tale situazione di accondiscendenza estrema, dovrà seguire delle linee base che lo guideranno via via ad aiutare il piccolo ad acquisire maggiore sicurezza in sé.
Innanzitutto, l’adulto deve evitate di intervenire quando il piccolo si trovi a litigare con i coetanei. Anche se la prima reazione sarebbe quella di difendere il bambino questo comportamento potrebbe rivelarsi controproducente per due motivazioni: in primis il bambino potrebbe convincersi di non essere all’altezza nel saper fronteggiare da solo una situazione di lite e svilupperà conseguentemente un’idea di inadeguatezza del sé; in secondo luogo i coetanei (se prepotenti) troveranno nell’atteggiamento remissivo del bambino un’ulteriore occasione per poter infierire su di lui ed enfatizzare così un atteggiamento ancor più prepotente.
Così come Carl Rogers nel suo “Colloquio d’aiuto” si batteva per il rispetto dei tempi del soggetto, parimenti l’adulto dovrà considerare e rispettare i tempi di crescita del piccolo.[2] È di prioritaria importanza mantenere un atteggiamento che valorizzi le capacità e che potenzi ed apprezzi le qualità del piccolo timido.
Qualora si verificasse un dissidio con qualche coetaneo, il bambino deve poter contare sulla comprensione dell’adulto: se alle difficoltà già incontrate si aggiungessero le critiche per un comportamento giudicato troppo remissivo il bambino rischierebbe di vivere un’esperienza di solitudine.[3]
L’adulto dovrà inoltre aiutare il piccolo ad esternare le sue emozioni e le sue opinioni cercando di sottolineare quelle che sono le sue vere aspirazioni. Solo così agendo si potrà dare al bambino l’opportunità di diventare un essere sociale in grado di fronteggiare le diverse situazioni senza rischiare di tramutarsi in un capro espiatorio.
[1] Le definizioni date dal dizionario alla parola Counseling non sono di rilevante aiuto poiché tendono a enfatizzare il significato di consiglio e in qualche caso il Counselor (vale a dire il consulente) viene definito come un consigliere. Il termine Counsel deriva dal latino consilium che nel suo significato traslato significa consiglio, giudizio o consultazione. È perciò ovvio che il termine Counseling tradizionalmente si riferiva alla “pratica di dare consigli o di pronunciare giudizi”.
[2] Per maggiori informazioni Cfr. Rao Giusy, Riflessioni sull’utilità del Counseling, in “Qualeducazione”, trimestrale internazionale di Pedagogia, Anno XXII, n° 1-2, Fasc. n° 67, Ed. Luigi Pellegrini, (In corso stampa)
[3] Marini Franco, Mameli Cinzia, Il bullismo nelle scuole Ed. Carocci, 1999
Consigli per aiutare il bambino
a cura del pediatra Dott. Leo Venturelli
La timidezza è un atteggiamento del comportamento del bambino quando si relaziona con altre persone. Durante il periodo che va dall’anno e mezzo – due anni in poi, il vostro bambino comincia a cercare il rapporto con gli altri, ma è ancora molto concentrato su sé stesso e sui suoi bisogni per cui è normale che abbia più atteggiamenti possessivi e di gioco individuale che non desiderio di socializzazione.
Se guardate i bambini in un gruppo, per esempio quando sono alla scuola materna, ne troverete senz’altro parecchi timidi, che se ne stanno in disparte, che hanno bisogno di tempi lunghi per socializzare. Alcuni bambini poi sono a loro agio con gli adulti, ma sono timidi coi coetanei, altri sono timidi con tutti e solo in famiglia si sentono a loro agio. Fino a sei anni circa il 50% dei bambini soffre di situazioni di timidezza, che andrà progressivamente sparendo entro l’adolescenza.
In generale un bambino su cinque avrà timidezza anche da grande, per via del suo carattere, anche se nel tempo sarà in grado di controllarla. Davanti ad un bambino timido, voi genitori dovete perciò innanzitutto accettare questa sua situazione senza forzare le tappe del suo sviluppo psicologico; dovete però aiutarlo a superare certe situazioni di timidezza, facendogli vedere i lati positivi degli adulti e cercando di spingerlo a stare con i suoi coetanei infondendogli sentimenti di ottimismo.
Qualche consiglio per aiutare vostro figlio a superare la timidezza
· Accettatelo per quello che è
Non dovete paragonare il bambino agli adulti e pretendere che reagisca allo stare con gli altri come una persona grande: Non mettetelo in imbarazzo forzandolo, ma piuttosto pensate che questa situazione in genere è transitoria e verrà superata nel tempo. Fategli capire che gli volete comunque bene e non nutrite sentimenti di rimprovero per lui.
· Non dite che è timido parlando in sua presenza
Se il piccolo sente voi genitori affermare in famiglia o peggio davanti ad altre persone che è timido, questo gli confermerà che il suo carattere è quello e soprattutto che voi avete questo giudizio su di lui. Il ripetergli che è timido rischia di rendere la sua timidezza continua, anche se non è innata. Per il bambino poi può diventare un comodo alibi sapere che è giudicato timido; può pensare: “sono timido, quindi non è necessario che cambi o mi sforzi di stare con gli altri”.
Evitate di fare confronti sui coetanei, mettendo in evidenza quelli spavaldi da quelli che si comportano da gregari e facendo paragoni con i suoi comportamenti quando è con gli altri. L’autostima che vostro figlio si costruisce giorno dopo giorno potrebbe diminuire se insistete a definirlo un timido.
· Comprendete il suo disagio
“So che fai fatica a stare con gli altri, ma vedrai che non è poi così male, riuscirai a divertirti”. Non prendetelo in giro per le sue preoccupazioni o ansie: dategli tutte le rassicurazioni e l’aiuto che gli serve, non forzatelo a fare cose controvoglia, non correte a mettervi in mezzo, aspettate ad intervenire. Dategli la possibilità di tentare prima del fallimento.
· Incoraggiatelo
Organizzate momenti di incontro tra il vostro bambino a altri suoi coetanei, aiutatelo a rompere il ghiaccio, quando è necessario, senza forzature. Cercate amichetti più piccoli, in modo da evitare confronti immediati con bambini vissuti come molto più grandi da vostro figlio. Al di là dell’età, cercate compagni di gioco calmi e non aggressivi. Partite col fargli fare amicizia con un solo bambino, poi con calma, con due o più coetanei, quando si capisce che è in grado di stare in compagnia.
Cercate dunque con tatto di costruire una rete di amichetti idonei al carattere del bambino. Suggeritegli qualche piccolo accorgimento per i momenti di tensione e di ansia: “respira lentamente”, oppure, “pensa a qualcosa di piacevole” .
· Proponetegli dei giochi sui ruoli
Provate a fargli imitare una situazione reale tramite i suoi peluche o le sue bambole, per esempio una partita dove un orsacchiotto appena arrivato se ne sta ai bordi del campo, vorrebbe giocare, ma nessuno lo invita. Chiedete al vostro bambino che cosa direbbe se fosse un giocatore per introdurre nella partita l’estraneo e quali ragioni metterebbe in bocca all’orsacchiotto per farlo partecipare al gioco collettivo. In un’occasione reale, la simulazione messa in atto in un momento precedente potrebbe aiutare il bambino a ripetere le stesse cose pensate nel gioco.
· Preparatelo alle situazioni Certi bambini sono molto sensibili ai cambiamenti, specie alle novità: la situazione più classica è l’inserimento alla scuola materna o al nido: uno dei due genitori dovrebbe passare i primi minuti col bambino per spiegargli cosa succede nel nuovo posto e per fargli conoscere le maestre, i compagni, gli ambienti. È utile ripetergli i nomi delle insegnanti, degli amici di gioco; il bambino potrebbe essere accompagnato alla scuola qualche minuto prima dell’inizio ufficiale delle attività per prendere confidenza con l’ambiente ancora semideserto o per iniziare a giocare con pochi amici senza ufficialità.
Bisogna però stare attenti a non esagerare nelle preparazioni per non cadere nel rischio opposto di sopravalutare la situazione e di provocare inquietudine invece che tranquillità. Se c’è una festa cui partecipare, per esempio un compleanno, è bene arrivare tra i primi e non tra gli ultimi quando tutti stanno già divertendosi ed è quindi più difficile inserirsi nei giochi. Se per caso arrivaste comunque tardi, sarebbe utile spiegare al bambino cosa farete: “adesso entreremo, ti toglierò il cappotto, metteremo il regalo insieme con gli altri e ti porterò dove tutti stanno giocando”.
· Dategli sicurezza con un suo oggetto preferito
Come succede per gli adulti, che possono sentirsi più tranquilli arrivando ad una festa con qualcosa in mano, una borsa, una bibita, un bicchiere, così anche vostro figlio può sentirsi più protetto se si porta dietro un suo giocattolo preferito o una bambola o un peluche: siccome l’oggetto gli appartiene, gli darà un senso di sicurezza. In ogni caso è meglio aiutare il bambino a scegliere una cosa che possa essere poi eventualmente prestata agli altri amichetti.
· Aiutatelo se ne vedete la necessità
Se vedete vostro figlio in difficoltà perché guarda gli altri bambini che giocano e vorrebbe unirsi al gruppo ma non sa come fare per inserirsi, dategli qualche suggerimento, senza spingerlo forzatamente: “perché non vai là e fai vedere a quelle bambine la tua bambola nuova?”.
Oppure chiedetegli se vuole un aiuto per essere accompagnato in mezzo al gruppo di bambini. Se non c’è rifiuto, accompagnatelo per mano, facendo voi le presentazioni: “questo è Mario, potete farlo giocare con voi, è appena arrivato, vi vorrebbe conoscere, come vi chiamate?” State col bambino il meno possibile, quanto basta per capire che si è ambientato e può rimanere solo con gli altri.
Quando preoccuparsi?
· Se vostro figlio ha già superato i 3-4 anni e continua a rifiutarsi di giocare con gli altri, vuole sempre una persona adulta familiare nel giocare o nel partecipare a feste o compleanni e non se ne stacca, piange invariabilmente tutte le mattine quando deve recarsi alla scuola, discutetene col vostro pediatra. Potrebbe essere necessario fare qualche colloquio con uno psicologo per trovare il sistema più opportuno per far fronte all’estrema timidezza del bambino o per valutare altri problemi di relazione presenti o nascosti.
Suggerimenti per i genitori
A cura della Dott.ssa Francesca Saccà http://psicologoinfamiglia.myblog.it
· Molti pensano che nei bambini l’introversione sia una caratteristica negativa al contrario di altre caratteristiche giudicate positivamente come la socievolezza, l’estroversione, la loquacità. Lo stereotipo sociale infatti identifica il bambino più estroverso come un soggetto forte e vincente, mentre il bambino più introverso, timido e ritirato come un soggetto debole, oggetto di possibili azioni offensive. La timidezza in realtà è
· un tratto della personalità che va accettato come tale, non come un difetto. E’ assolutamente normale che i bambini siano timidi, essere piccoli significa proprio aver paura di ciò che è estraneo ed è assolutamente naturale che il bambino piccolo si senta sicuro solo con le sue figure di riferimento costanti e mostri un iniziale diffidenza verso l’estraneo per capire se fidarsi di lui o no.
· Il modo in cui un bambino percepisce la sua timidezza dipende dai genitori: se questi accettano la sua personalità e non considerano la timidezza come un difetto, il piccolo si sentirà a suo agio e sentirà di non aver nulla di meno rispetto agli altri bambini, se invece i genitori provano a cambiarlo o lo giudicano negativamente, il bimbo potrà avere delle difficoltà.
· E’ bene imparare a non considerare la timidezza un problema, per lo meno nei primi anni di vita. È solo a partire dai cinque-sei anni, infatti, che certi atteggiamenti di chiusura nei confronti degli altri potrebbero segnalare un disturbo del comportamento.
· Dunque cosa possono fare i genitori dei bambini timidi?
· – Evitare di “etichettare” il bambino: se il bambino sente continuamente affermare dai genitori che è timido, questo gli confermerà che il suo carattere è quello e soprattutto i genitori lo stanno giudicando. Si dovrà poi evitare di fare confronti tra il figlio e gli altri bambini poiché questo potrebbe portare il piccolo ad un ritiro sociale più marcato. E’ bene invece rassicuralo sempre sul suo valore!
· – I genitori possono e devono parlare con il figlio delle situazioni che possono mettergli ansia: affrontare dunque argomenti come l’entrata a scuola, la frequentazione di un gruppo, ecc., o anche simulare in maniera pratica le situazioni di disagio: “Incontri il tuo amico Luca a nuoto, come lo saluti?”, far esercitare il piccolo può essere molto utile.
· – E’ bene poi rispettare quella che è la natura dei bambini ed i loro tempi: ciò vuol dire stare attenti a non voler anticipare la capacità di socializzazione dei figli prima che questi si sentano pronti. Questo atteggiamento rafforzerà la fiducia che il bambino ha nei suoi genitori.
· – Non sottovalutare mai le preoccupazioni del figlio e le sue paure: piuttosto è fondamentale rassicurarlo, cercando di fargli comprendere che non si deve spaventare nell’affrontare un compito o una situazione nuova, non deve temere di perdere qualcosa a cui tiene, né soprattutto pensare che dall’esito della prova dipenda il suo valore come persona.
Approfondimenti
Dott.ssa Isabella Ricci
Psicologa (http://www.pianetamamma.it/ )
Molti genitori e molti educatori sembrano preoccuparsi quando notano nel carattere di un bambino una certa timidezza, una riluttanza a lasciarsi coinvolgere nelle attività di gioco, a socializzare con gli altri bambini. L’introversione viene quasi sempre stigmatizzata dal senso comune come un tratto di personalità poco adattivo: infatti, ad essere considerate in una luce positiva e favorevole all’adattamento sembrerebbero altre caratteristiche, come l’apertura all’esperienza, la socievolezza, l’estroversione, la loquacità, l’energia. In realtà il continuum introversione-estroversione non indica una progressione da una disposizione caratteriale negativa verso una positiva, in quanto le due polarità non sono sinonimo di maggiore o minore adattamento, ma semplicemente due modi diversi di essere, che in ogni caso non sono quasi mai assoluti, e che dipendono in gran parte dal temperamento, cioè dal substrato biologico della personalità. Questo concetto fa riferimento al livello ottimale di attivazione che un organismo tende naturalmente a raggiungere e a mantenere.
In questo senso le persone che già possiedono un elevato livello di eccitazione interna ricercherebbero in misura minore stimolazioni esterne ed avrebbero un carattere più tranquillo e solitario. Al contrario, individui con un minore livello di attivazione interna sarebbero propensi a cercare nel mondo esterno sensazioni forti e stimoli continui. Questa disposizione renderebbe il loro carattere più estroverso. In realtà le spiegazioni biologiche delle caratteristiche di personalità non sono esaustive, perchè accomunano l’individuo ad un ente sempre uguale a se stesso, appunto “per carattere”, mentre la persona, pur avendo delle caratteristiche stabili, è continuamente aperta alla possibilità di cambiamento, in relazione alle esperienze di vita, ai contesti di sviluppo e alle relazioni con le figure significative, non solo in infanzia, ma lungo tutto l’arco di vita.
Iniziamo quindi a considerare l’introversione semplicemente come una caratteristica della personalità che non va connotata negativamente, come un indice di chiusura e di ripiegamento nei confronti del mondo esterno. Non dimentichiamoci che le persone introverse sono spesso quelle più sensibili e che tra queste personalità si annoverano moltissimi artisti, scrittori, musicisti.
Il problema non sembra dunque riguardare la salute mentale dell’individuo, nel senso che un carattere più timido e tranquillo non deve per forza far pensare all’anormalità o alla patologia.
Tuttavia molto spesso questa diversità viene colta dai compagni di gioco ed il bambino rischia di essere isolato o in occasione dell’inserimento scolastico di diventare vittima di episodi di bullismo Con questo termine si fa riferimento al mobbing infantile, cioè a una serie di comportamenti di prevaricazione attuati da uno o più individui a danno di una vittima designata. La scuola è il principale contesto in cui questo fenomeno si manifesta, ma non l’unico. Ancora una volta è lo stereotipo sociale che identifica il bambino più estroverso come un soggetto forte e vincente, mentre il bambino più introverso, timido e ritirato come un soggetto debole, una vittima su cui attuare azioni offensive.
In presenza di un bambino timido e più ritirato è inutile essere intrusivi e cercare di renderlo come tutti gli altri bambini. Spetta a chi interagisce con lui, genitore o educatrice, mitigare gradualmente certe caratteristiche del bambino, nel rispetto del suo carattere, cercando di catturare il suo interesse e di coinvolgerlo nelle attività di gioco senza forzare i suoi tempi e i suoi modi
Capire i bambini
vari tipi di comportamento e di carattere
Dott.ssa Maria Galantucci (http://www.psicologi-italia.it )
Si corre il rischio di “classificare” il bambino assegnandogli un’etichetta basata su impressioni e giudizi che spesso non corrispondono alla sua vera indole, ma si limitano a coglierne gli aspetti più esteriori, di superficie. Invece di stigmatizzare il carattere del bambino con giudizi che rischiano di immobilizzarlo in uno stereotipo, è importante capire che cosa lo spinge a comportarsi in modo negativo per se stesso, prima ancora che con gli altri.
Il bambino timido: la timidezza è un sentimento universale che tutti conosciamo e che nasce da un senso di inferiorità che ognuno di noi ha provato da piccolo nei confronti degli adulti. La timidezza nasce da un temperamento iperemotivo che lo rende estremamente sensibile agli stimoli esterni. Se a questa vulnerabilità emotiva si aggiungono influssi ambientali negativi, è probabile che il bambino tenda a chiudersi nel suo guscio, sforzandosi di esercitare il massimo controllo sulle emozioni che avverte come un pericolo. La timidezza diventa così una copertura, un meccanismo di difesa che induce il bambino ad evitare le situazioni che possono mettere a nudo la sua fragilità emotiva ed esporlo cosi al giudizio degli altri. E’ un bambino che ha bisogno di essere rassicurato e rafforzato nella sua autostima, mettendo in rilievo le sue qualità e nello stesso tempo accettando i suoi limiti. La paura di fare brutta figura, di rischiare un insuccesso, un rifiuto, un’umiliazione può emergere in molte occasioni. Non è facile per un bambino timido non solo rompere il ghiaccio e fare amicizia, ma anche unirsi ad un’attività di gruppo con altri bambini. Per lo più preferisce stare a guardare.
Il bambino aggressivo: la sua aggressività traspare anche dai gesti, dal tono della voce, dal modo di guardare, di afferrare le cose, di camminare, di mangiare. Perfino nelle manifestazioni di affetto, c’ è spesso quel “qualcosa in più”, in cui si avverte una energia eccessiva, che potrebbe trasformare la tenerezza nel suo contrario. Per poter incanalare le tendenze aggressive, sempre presenti in ogni bambino, bisogna prima di tutto aiutarlo a riconoscere dentro di sé. E dare un nome, un significalo alle azioni che provocano, trasformandole da semplici impulsi in emozioni, sentimenti, intenzioni. Il passaggio dalla “messa in atto” dell’aggressività alla sua trasformazione in pensiero consente al bambino di accettarla come parte di sé, del suo mondo interiore e di controllarla meglio, come tutto ciò che si conosce. E quindi fa meno paura. Questa elaborazione mentale avviene in parte spontaneamente attraverso il gioco e il sogno, che permettono al bambino di rappresentare in modo simbolico i suoi impulsi più conflittuali, come la violenza distruttiva e le paure che ne derivano. E’ proprio quando il bambino è travolto dalla collera che è importante mantenere la calma, in modo da contenere la sua aggressività: si rende conto così che l’impulso che prova non è tanto terribile e distruttivo da annientare il buon rapporto che ci lega. Quando la tempesta è finita, è il momento di parlargli, non per fare delle prediche, che non ascolterebbe, se è di carattere molto impulsivo ed estroverso, ma per porgli delle domande che lo inducano a riflettere. Trasformare gli impulsi e le azioni in parole è già un primo passo per dare un nome e un significato a questi sfoghi incontrollati. Sara più facile riconoscerli. Non importa se non sempre il bambino ci riesce: almeno “sa” che cosa prova, e perché. E questa consapevolezza è già una grande conquista che apre la strada ad un maggior equilibrio nel rapporto con se stessi e con gli altri. Il bambino predisposto agli scoppi di rabbia è pieno di energie, di impulsi al movimento che la vita normale non permette di esprimere pienamente. Una valvola di sfogo è costituita dal gioco all’ aria aperta, dalle corse i salti, gli arrampicamenti.
Il bambino oppositivo: sa che cosa non vuole. Qualsiasi cosa gli si dica, gli si chieda , gli si proponga la sua prima risposta è sempre no. Anche la tendenza più o meno accentuata all’opposizione dipende non tanto dalla “qua!ità” di questa caratteristica, ma dalla quantità che diventa eccessiva quando il bambino si comporta come se non potesse fare a meno di dire sempre “no”. E non solo quando si tratta di ubbidire a qualcosa che “non gli va”. Di solito si cerca di insistere, di convincere il bambino, col risultato di aumentare la sua ostinazione Naturalmente ci sono anche bambini che non limitano la loro opposizione agli scontri verbali, ai contrasti di idee e di intenzioni. Ma disubbidiscono in modo determinato, freddo e soprattutto palese, senza timore di punizioni e sgridate. Da bambini come da adulti, il “no” è il modo più rapido e diretto per erigere una barriera fra sé e gli altri, per stabilire una differenza e mantenere una distanza. Ma il bambino oppositivo lo usa anche per proteggere il suo mondo interiore dalle incursioni altrui, che avverte come un pericolo anche quando non si scontrano col suo modo di sentire e di pensare. Il negativismo serve più per difendersi che per attaccare frontalmente gli altri, come fa il bambino collerico. Anche se il “bastian contrario” sembra un “duro”, e fa di tutto per sembrarlo in realtà si tratta spesso di un bambino ipersensibile, che reagisce con particolare intensità agli stimoli esterni. Opponendosi assume un ruolo di “bambino cattivo” e se lo fa in modo aperto, provocatorio è perché non solo non teme le punizioni, ma se le aspetta. Anzi inconsciamente le richiede. Sono la risposta più coerente al suo gioco di sfida e di ribellione.
Il bambino pigro: un po’ svagato, sognatore, sempre assorto nei suoi pensieri e nelle sue fantasie, sembra che la sua vita scorra al rallentatore. Un po’ apatico poco emotivo, difficile da coinvolgere. Alla base di questi comportamene c’è quasi sempre un tipo di temperamento “lento”, poco reattivo, che il bambino manifesta fin dalla nascita mostrandosi meno sensibile di altri agli stimoli esterni e meno rapido nelle reazioni. Poiché percepisce in modo attutito tutti gli stimoli, è raro che pianga o urli se si fa male, ma anche che si entusiasmi per un giocattolo nuovo. Anche crescendo è sempre tranquillo, cosi “buono”, così poco esigente che spesso si finisce per lasciarlo in disparte. A differenza dei bambini timidi, aggressivi od oppositivi, non crea quasi mai dei problemi. All’asilo preferisce starsene in disparte e giocare da solo, piuttosto che unirsi ai compagni e “socializzare”: non per timidezza, ma perche preferisce rimanere tranquillo nel suo piccolo mondo, piuttosto che uscire allo scoperto.
I falsi pigri si rifugiano nell’inerzia, nella pigrizia, trasformandola in una forma di opposizione passiva, un modo per esprimere la loro ribellione e l’ostilità. La lentezza può derivare anche da un senso di insicurezza, di scarsa fiducia nelle proprie capacità. Possono apparire lenti, pigri, poco intraprendenti, privi di iniziativa e di interessi anche molti bambini che sono invece dei grandi sognatori, così impegnati a “lavorare di fantasia”, a seguire le loro idee, la loro immaginazione. Probabilmente hanno un temperamento introverso, che li rende inclini a pensare piuttosto che ad agire. Ma se si rifugiano troppo spesso nei loro sogni, è perché la realtà è cosi poco invitante, spesso scoraggiante, che preferiscono evitarla. Appena si sentono più amati e più incoraggiati, anche i piccoli sognatori cronici smettono di vivere continuamente sulle nuvole. Scendono in mezzo agli altri, senza rinunciare alla loro fantasia, ma utilizzandola in modo meno vago, più costruttivo e reale. Tocca a noi quindi avvicinarlo e proporgli di fare qualcosa che gli piaccia, conducendolo piano piano dall’inerzia all’attività. Naturalmente intervenire non significa affiancarlo in ogni attività sostituendosi a lui, ma sospingerlo inizialmente e poi lasciarlo andare, sollecitando il suo spirito di iniziativa. A poco a poco scoprirà di essere lui a “condurre il gioco”.
LA RELAZIONE TRA COETANEI
L’AMICIZIA – La molla che fa scattare l’amicizia non è mai casuale, la scelta di un amico corrisponde sempre a bisogni molto profondi del bambino, che spesso sono di “compensazione”. Più che la somiglianza prevale ora l’attrazione tra opposti: le mancanze di uno vengono compensate dall’altro e viceversa. Non è strano che un bambino un po’ timido, delicato, sensibile diventi amico di quello più estroverso deciso, combattivo: se l’uno si sente più protetto, meno difeso nei giochi di gruppo, l’altro ha modo di dare prova della sua “forza”, in senso positivo, non solo aggredendo, ma anche difendendo il più debole.
LA COMPETIZIONE – I bambini verificano le proprie capacità e le confrontano con un altro bambino. C’è competitività nell’amicizia ma si tratta di un confronto “ad armi pari”, che consente una prima verifica reale dei propri punti di forza e dei propri limiti. Il bambino si abitua a puntare sulle sue risorse, ad accentuarle, equilibrando i suoi punti deboli. C’è chi ha un atteggiamento da leader e chi si sente un gregario o un “seguace”; chi ha continuamente delle idee, e chi le elabora, le rende realizzabili.
I BAMBINI TROPPO SOLI – I bambini che si sentono più esposti al rifiuto sono spesso quelli che ne hanno paura. Oggi si da una tale enfasi al “bisogno di socializzare” dei bambini che si rischia davvero di trasformarlo in un problema, anche quando non lo è affatto. Si dimentica che ci sono bambini che pur non avendo alcuna difficoltà a stare con gli altri e a fare amicizia hanno bisogno di ritagliarsi degli spazi di solitudine, fra un’immersione e l’altra nei giochi di gruppo e nei riti sociali. Di solito si tratta dì bambini sensibili e ricchi di immaginazione, ai quali piace ogni tanto fare una pausa: uscire dal gruppo e crearsi una propria nicchia, ritirarsi in un angolino lontano dal chiasso e dalla confusione, per inseguire le proprie fantasie e i propri sogni, magari con un giocattolo portato da casa. Naturalmente è diverso il caso dei bambini che hanno una costante tendenza depressiva: allora anche l’isolamento, la solitudine non rappresentano più una pausa salutare e un piacere, ma un sintomo.
GIOCHI DI GRUPPO – A 4/5 anni il bambino conosce perfettamente la differenza fra due tipi di gioco, “per giocare” e “per vincere”: sa che l’unica vera regola del primo è il piacere, l’invenzione, il puro divertimento, come nel gioco da solo, che ora però si allarga ai suoi compagni. E sa anche che invece i giochi basati sulle regole insite in ogni gara, creano una maggior eccitazione. E anche una certa tensione altrimenti, come si fa a vincere? Per questo è importante che gli adulti, gli insegnanti/educatori, non intervengano nei loro giochi, ma mantengano un ruolo da ”spettatore”, e a volte, se necessario, da “moderatore”, senza partecipare , né dettare le regole. Certo gli si possono dare delle idee e indicare i modi per realizzarle, ma i giochi più belli sono loro a inventarseli, seguendo un’aspirazione che li accomuna.
La timidezza non è una malattia
di Mariapaola Ramaglia – educatrice
(http://www.mammeacrobate.com )
Il problema è che viviamo in una società che esalta valori che spesso valori non sono e che si basa molto sull’apparenza ed è per questo che chi è più riflessivo, sensibile, riservato, rispettoso e tranquillo viene talvolta considerato in modo negativo, trovandosi ad essere penalizzato a causa del proprio modo di essere. Ci sono genitori che quasi si vergognano di avere un bambino non molto socievole e che non ama mettersi in mostra, facendo sembrare la timidezza quasi un errore o un difetto. È fondamentale, invece, che il bambino timido non si senta mai giudicato, che non si senta in colpa né si vergogni per ciò che prova. Deve sentirsi amato e apprezzato per come è, sapere che i suoi genitori lo considerano speciale e non pensano che abbia “qualcosa che non va”. Bisogna stargli vicino, con discrezione e amore, senza forzare in lui comportamenti che non gli sono naturali, né minimizzare i suoi timori, ma agevolando in lui lo sviluppo dell’autonomia e dell’autostima, rispettando sempre la sua indole e i suoi tempi.
A volte, l’atteggiamento del timido può essere scambiato per presunzione o distacco e destare antipatie, ma potrebbe anche trattarsi solo di difficoltà a “rompere il ghiaccio” e – dopo che il bambino si sente “accettato”- allora potrebbe non avere problemi a relazionarsi con gli altri, dimostrandosi simpatico e perfino espansivo.
È importante considerare, ad ogni modo, che una situazione può essere vissuta dal bambino in modo diverso rispetto a quanto viene percepito dall’adulto. Magari il bambino vive serenamente il suo modo di essere, preferisce avere pochi amici fidati e non grandi comitive. Il dialogo, dunque, è fondamentale per capire quali sono le reali difficoltà percepite e poterlo davvero aiutare, anche perché già solo l’esternare e condividere un problema è un buon inizio per risolverlo. La situazione è un po’ più complicata, però, quando anche il genitore di un bambino timido è stato o è ancora timido. In tal caso l’adulto rivive le proprie ansie e le proprie difficoltà osservando il figlio relazionarsi agli altri e, talvolta, si sente anche in colpa, perché non sa come aiutarlo a “sconfiggere” questa sorta di eredità.
Sono comprensibili la rabbia e il dispiacere dei genitori, che si rendono conto che il proprio bambino potrebbe dare molto agli altri, ma non riesce a farlo, perché bloccato dalla timidezza. Come possono, dunque, aiutarlo? Prima di tutto accettarlo veramente per come è, senza volerlo cambiare e aiutandolo anche ad accettarsi con i suoi pregi e i suoi difetti. Accettarlo significa rispettare anche la sua personalità e dargli spazio e modo di esprimersi e trovare il proprio posto e il proprio ruolo in famiglia, così come fuori casa. È anche importante non affibbiargli l’etichetta di “timido” (quasi come se fosse malato), soprattutto in sua presenza.
Venendo alla pratica, se, per esempio, ci si accorge dell’ansia che il bambino prova di fronte alle novità, lo si può preparare prima, descrivendogli con entusiasmo chi e cosa dovrà “affrontare” e cercando di suscitare in lui interesse e curiosità. Può anche essere d’aiuto far in modo che siano gli altri bambini ad avvicinarsi a lui, in modo da superare il problema della paura del non essere accettati, facendo attenzione che sia sempre tutto molto naturale, per non creare comunque stress o ansie, né farlo sentire “non all’altezza” e, perciò, bisognoso dell’aiuto di un adulto. Non va mai sottovalutata, inoltre, l’importanza della collaborazione con la scuola. Anche se, ovviamente, non si deve pretendere per il figlio un trattamento di favore che non gli sarebbe neppure d’aiuto, è opportuno parlare con gli insegnanti dei possibili problemi e delle difficoltà incontrate dal proprio figlio, perché sia più facile trovare il giusto modo per far emergere la personalità del bambino anche in classe, cercando di aiutarlo a interagire e a superare eventuali disagi, silenzi o imbarazzi. È utile anche dare il buon esempio e mostrare i vantaggi della socializzazione, magari invitando a casa un paio di mamme con i loro bambini. A casa sua, tra le sue cose, accanto ai suoi cari e in compagnia di piccoli gruppi di persone, il bambino timido è più sicuro di sé e, quindi, anche più a suo agio. Perfino far chiedere il conto al ristorante, dargli il buon esempio salutando e scambiando due parole con la vicina di casa o fargli fare la spesa possono essere dei piccoli esercizi che favoriscono lo sviluppo delle abilità sociali.
Una funzione per così dire “catartica” può essere anche assunta da libri o giochi in cui coinvolgere il proprio bambino.
Assecondando le sue preferenze e le sue inclinazioni, si potrebbe anche suggerire – con entusiasmo e non come se fosse una medicina per guarire da una malattia – una delle seguenti attività:
1) attività artistica (pittura, disegno, argilla ecc…): l’arte può facilitare l’esternazione di sentimenti ed emozioni che, a volte, la timidezza può bloccare;
2) laboratori di drammatizzazione: sono molto utili anche per l’acquisizione di competenze linguistiche che rendono più sicuri di sé i bambini nell’espressione e nella comunicazione, oltre ad incentivare l’interazione con altri bambini e l’espressione di sé;
3) pet therapy: gli animali si sono dimostrati ottimi terapeuti, perché aiutano a socializzare e infondono sicurezza;
4) lo sport (preferibilmente di squadra e non troppo competitivo): una situazione vissuta comunque come ludica può offrire al bambino la possibilità di imparare ad apprezzare il far parte di un gruppo, imparare a fidarsi dei suoi compagni e gioire della fiducia che i suoi compagni ripongono in lui, imparando a confrontarsi con gli altri e ad esprimersi attraverso il proprio corpo.
Va precisato che, comunque, la timidezza può anche essere legata ad una fase della crescita e scomparire poi con l’età. Il bambino deve imparare a gestirla, senza esserne sopraffatto e, potrebbe essere semplicemente una questione di tempo e maturità.
Piuttosto che concentrarsi sui “limiti” del bambino o volerne modificare la natura, comunque, bisogna dargli fiducia e concentrarsi sulle potenzialità, le doti e le abilità, che sono nascoste dentro di lui e hanno solo bisogno di essere aiutate a venir fuori.
Una delle situazioni più frequenti, ma spesso non preoccupanti, è quella di vedere il proprio bambino molto timido.
Come aiutare il bambino timido ( nei primi anni di vita)
da: http://it.ewrite.us/
· 1 Una delle tante cose da non fare in questa situazione, è quella di forzare il bambino a fare qualcosa che non vuole fare.
· 2 Se per esempio, vedete che il vostro bambino (considerando una fascia di età tra i due e i quattro anni), andando al parco, guarda i bambini ma non ha il coraggio di andare a giocare con loro, ecco come fare.
· 3 Chiedete al bambino se vuole giocare con quei bambini, quindi chiedetegli se vuole che lo accompagnate voi. Se dice di no, non lo forzate.
· 4 Se invece dice di si, accompagnatelo ma non prendete iniziative: dovrete accertarvi che lui non abbia il coraggio di proporsi da solo.
· 5 Se avvicinandovi, i bambini lo accolgono con simpatia, potrebbe anche succedere che il bambino si rassicuri in maniera naturale e voi non avrete bisogno di intervenire.
· 6 Se invece i bambini non lo accolgono in maniera naturale, sarete voi a dover ricorrere alle presentazioni, cercando di renderli piacevoli a vicenda.
· 7 “che bei giochi che fate! Fate giocare anche lui? E’ molto bravo e vi potete divertire insieme!” i bambini lo accoglieranno con sè.
· 8 Ovviamente in questo caso è molto semplice inserire il bambino, il problema potrebbe sorgere se il vostro bambino avrebbe il rifiuto di avvicinarsi a loro.
· 9 In questo caso non dovrete mai forzare la mano insistendo che giochi con gli altri bambini, ma dovrete aspettare che sia lui a volersi proporre.
· 10 Se il bambino è timido sempre, anche con le persone più grandi, con i parenti e così via, non mettetelo mai di fronte alle seguenti situazioni:
· 11 Non dite mai davanti alla sua presenza che è timido, altrimenti se ne convincerà fino a personificarsi esattamente come una persona timida.
· 12 Questa situazione potrebbe anche avere delle ripercussioni future, di conseguenza non dichiaratelo mai, soprattutto non di fronte a lui.
· 13 Il bambino interpreterebbe la sua timidezza come un suo status naturale, e potrebbe, per questo, non voler mai reagire per cambiare le cose.
· 14 Non prendetelo mai e poi mai in giro, nè quando siete da soli, nè tantomeno quando siete in compagnia di altre persone.
· 15 Evitate assolutamente di rimproverarlo se si nasconde dietro le vostre gambe o piange perchè non vuole stare al centro dell’attenzione.
· 16 In genere questo stato cambia con il passare del tempo. In adolescenza dovrebbe già passare in maniera naturale e senza alcun provvedimento particolare.
· 17 La vostra funzione di accorgimenti e attenzioni amorevoli sarà fondamentale per fare uscire il bambino da questa situazione di normale timidezza.
· 18 Dovrete però stare bene attenti a non assecondarlo eccessivamente e di non risultare iperprotettivi, altrimenti potreste ottenere l’effetto opposto.
· 19 Comprensione, amore, accondiscendenza, pugno fermo e dialogo con il bambino devono essere ben dosati. Una giusta dose potrà certamente aiutare il vostro bambino.
· 20 Se e solo se, superati i quattro anni di età, il bambino continua a soffrire di timidezza, portatelo dal pediatra e parlatene con lui.
· 21 Solitamente, superato il primo “ostacolo” di incontro con i compagnetti della scuola materna, dovrebbe bastare per superare la timidezza.
Domanda e risposta
http://www.bimbinsalute.itda
DOMANDA
Desidero avere un parere e consiglio sul comportamento di mio figlio.
Ha 2 anni e frequenta il secondo anno di nido.
Le maestre mi hanno detto che durante le attività di gruppo in genere partecipa attivamente e con allegria, mentre quando sono lasciati a giocare da soli con i vari giochi, lui spesso sta a guardare e devono insistere per mandarlo nel gruppo a prendere qualche gioco.
Potrebbe essere timidezza o carattere, ma mi dicono che sarebbe normale per un bambino appena arrivato. Lui ormai conosce compagni e maestre e dovrebbe essere padrone dell’ambiente.
A casa è invece molto attivo. Passa da un gioco all’altro, gioca con noi e da solo ed è molto indipendente, tanto che non mi sarei mai immaginata un diverso comportamento al nido.
Il pediatra dice che è piccolo per preoccuparsi e che se questo è il suo carattere…
Ma io non vorrei che col passare del tempo “l’isolamento” aumentasse.
Come posso aiutarlo visto che a casa è diverso?
È meglio agire o come dice il pediatra aspettare gli anni della scuola?
RISPOSTA
Sono in perfetto accordo con il pediatra.
Due anni sono davvero pochi ed ho la sensazione che tutti pretendano dai nostri piccoli bambini delle prestazioni sociali sempre troppo alte: una mamma è completamente appagata soltanto quando il suo bambino socializza precocemente e con tutti e poi da grande, a scuola, quando avrà una bella pagella.
Basta!! È ora di ridare il giusto senso alle cose: un bambino a due anni può essere più o meno timido e se se ne sta un po’ in disparte ad osservare gli altri, durante il gioco libero, è perché non se la sente subito di fare il compagnone!
Liberi lo sguardo dalle aspettative sociali di nidi e contro nidi!!
Si goda, cara amica, il suo bel bambino, senza avere un occhio prestazionale (in tutti i sensi) che inquina i nostri figli e non tiene conto dei naturali passi di ogni crescita.
Vuole una profezia?
A sei anni il suo bambino sarà circondato da amichetti ed in classe non starà mai zitto!
Si fida?
Il bambino e il suo futuro
Finchè si vive in coppia ma non si è genitori, la situazione può fluttuare come si vuole, ma entro certi limiti. Basta rispettare le regole sociali ed essere onesti a livello intellettuale ed eticamente corretti e seguire uno stile di vita sano e salutare. Quando si diventa genitori, ( o per intenzione o casualmente ), e si ha uno o più figli, il vissuto cambia, perché cambia il ruolo della coppia che diventa una coppia genitoriale ( non più due partner ma un padre e una madre) che ha un progetto educativo da portare avanti, un progetto d’amore…… Nella crescita, nello sviluppo di un bambino ( o di una bambina), c’è una interazione tra fattori congeniti ( DNA, geni e altri eventi trasmissibili) e fattori acquisiti (famiglia, cultura, interazione sociale, scuola, gruppo, mass-media). Oggi noi sappiamo, attraverso gli studi della biologia molecolare, delle neuroscienze, della genetica, dell’epigenetica, che la maggioranza delle deviazioni comportamentali ( immaturità emotiva, aggressività e violenza, dipendenze e molte altre patologie psichiche e mentali) dipendono dall’ambiente. Un vero genitore non è perfetto ma è imperfetto e diventa “grande e straordinario” se cresce con la crescita del proprio figlio, se riesce a trasmettere alcuni valori fondamentali che fanno vivere bene e se riesce a permettere al proprio figlio ( alla propria figlia) di avere il piacere di esistere e di godere della gioia della vita. La vita può essere affrontata in tanti modi. Ognuno di noi ( credente, ateo o agnostico) ne sceglie uno, in maniera consapevole o inconsapevole, secondo il suo temperamento e il suo carattere, l’imprinting che ha ricevuto, il lavoro che svolge e l’impegno quotidiano nel fare le cose necessarie, utili e dilettevoli e le sue credenze o anche le sue patologie. Ciò che è importante capire è che la giustizia, l’onestà, il dialogo, la tolleranza e la non violenza, l’ascolto di se stessi e dell’altro, l’accettarsi e credere nelle potenzialità interiori unito al senso della libertà e dell’autonomia cognitiva e emotiva devono essere dei valori che appartengono a noi stessi e quindi da coltivare giorno per giorno ( anche per prove ed errori) e da trasmettere ai nostri figli attraverso la solidarietà, la condivisione e l’affetto. Valori non solo individuali ma universali, alla cui base c’è la filosofia o il credo di:
“ Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”
e “Ama il prossimo tuo come te stesso”.
Il futuro del bambino parte da queste premesse e dal modello educativo genitoriale integrato( ruolo paterno e ruolo materno). Questo modello si manifesta, a livello comportamentale in modo trasparente e non ambiguo, in modo chiaro e non falso, ( se si sono introiettati questi valori e si è consapevoli fortemente di essere padre o madre), attraverso l’autorevolezza, l’omogeneità e la coerenza di ciò che si dice, la fermezza e la costanza nel portare avanti questi principi, senza rigidità, ma con semplicità e moderazione. Se si sbaglia, pazienza. L’errore è umano. Se si cade bisogna rialzarsi e proseguire. Perseverare nell’errore comporta di sicuro l’infelicità del bambino e la possibilità di una condotta deviante. In questo percorso non può essere presente la madre e assente il padre ( o viceversa) oppure usare iil meccanismo della delega e dell’affido. Entrambi i genitori devono dare il proprio contributo positivo nella quantità richiesta dalle proprie disponibilità e competenza e nella qualità che deve essere sempre buona e costruttiva. Se possibile, è necessario sempre, dare il meglio di sè.
Ti ricordo, mio caro amico e compagno di viaggio, attraverso due riflessioni, il tuo cammino di genitore. La prima riflessione (autore: Dorothy Law Nolte….adattata) parte dal presupposto che il bambino impara ciò che vive:
Se vive nel rimprovero,
diverrà un intransigente.
Se vive nell’ostilità,
diverrà un aggressivo.
Se vive nella derisione,
diverrà un timido.
Se vive nel rifiuto,
diverrà uno sfiduciato.
Se vive nella serenità,
diverrà più equilibrato.
Se vive nell’incoraggiamento,
diverrà più intraprendente.
Se vive nell’apprezzamento,
diverrà più comprensivo.
Se vive nella lealtà,
diverrà più giusto.
Se vive nella chiarezza,
diverrà più fiducioso.
Se vive nella stima,
diverrà più sicuro di sè.
Se vive nell’amicizia,
diverrà veramente amico per il suo mondo
La seconda riflessione (autore: K. Gibran) è più profonda e necessita di una maggiore comprensione e una ampia consapevolezza. Ma non aver paura di affrontare questa visione della vita. Non perderai niente. Tu darai la libertà a tuo figlio e tuo figlio ti ringrazierà e avrà un amore e un affetto per te nel tempo e nell’eternità. Per sempre. nonostante tutto.
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa.
Essi vengono
attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri…
Essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime…
Esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi…
La vita procede e non s’attarda sul passato.
PROTOCOLLI
( corso di gastroenterologia pediatrica – regione Toscana – 2012 )
( protocolli di massima da aggiornare nel tempo a secondo ulteriori conoscenze scieentifiche)
Esami MINIMI sospetto DAR funzionali senza diarrea
Emocromo, PCR, AST e ALT, prot tot e protidogramma, creatinina
dosaggio Ig A Atc antitransglutaminasi
es urine
(Ecografia)
Esami MINIMI sospetto DAR funzionale con diarrea
(sindrome intestino irritabile)
Emocromo, PCR, AST e ALT, prot tot e protidogramma, creatinina
dosaggio Ig A Atc antitransglutaminasi
es urine
(Ecografia)
esame parassitologico per Giardia (atg fecale)
Sospetta MICI
Emocromo, ferritina, glicemia, PCR, VES, AST e ALT, prot tot e protidogramma, creatinina, es urine, sangue occulto fecale
pANCA, ASCA, calprotectina
Ecografia addome in toto con valutazione spessore anse intestinali ed esame doppler per vascolarizzazione parete intestinale (Centro specialistico)
Sospetto H.Pylori
In caso di parente di I grado con K gastrico
Ricerca atg fecale
Breath test Urea C13 ( bambini collaboranti)
Se + endoscopia
Screening celiachia
Sotto i 2 anni: Dosaggio IgA totali, AGA deamidati IgG e IgA, anti tTg
Sopra i 2 anni: Dosaggio IgA totali, anti tTg
Follow up celiachia ( da convalidare con gli altri Centri)
Emocromo, anti tTg
glicemia, AST e ALT
fT4, TSH
atc antimicrosomi, atc antitereoglobulina
Allattamento al seno
da: www.chicco.com
“Mamma, nel tuo latte c’è più dell’amore”.
L’allattamento è una fase molto importante della vita del bambino e della mamma. Per il neonato attaccarsi al seno e succhiare non è solo la soddisfazione di una necessità fisiologica primaria, è soprattutto un momento di relazione con la mamma, ricco di emozioni e di sensazioni tattili, acustiche, gustative ed olfattive. Appagare questa necessità procura ad entrambi un profondo senso di benessere e tranquillità.
Il latte materno contiene tutte le sostanze nutritive necessarie a soddisfare il fabbisogno nutrizionale e le esigenze psicologiche del lattante almeno fino ai 6 mesi.
Allattare al seno è così importante che tutte le principali società scientifiche come l’Accademia Americana di Pediatria e la Società Italiana di Neonatologia giudicano l’allattamento al seno la migliore fonte di nutrizione del neonato nei primi 6 mesi di vita. L’Accademia Americana di Pediatria raccomanda inoltre, se possibile, di allattare al seno il bambino fino all’anno di vita.
Al seno della mamma, il bambino trova anche l’amore e la sicurezza necessarie per un corretto sviluppo psicofisico.
A sua volta, la mamma allattando prende coscienza del legame profondo con suo figlio e di quanto il suo bambino dipenda da lei: è un modo per accudirlo, confortarlo e fargli percepire quanto grande è il suo amore. La mamma prova piacere ad essere fonte di gratificazione per il suo bambino e avverte una sensazione di benessere che rimanda al suo piccolo. Il bambino che sente la mamma star bene, cresce sereno.
A sua volta, la mamma allattando prende coscienza del legame profondo con suo figlio e di quanto il suo bambino dipenda da lei: è un modo per accudirlo, confortarlo e fargli percepire quanto grande è il suo amore. La mamma prova piacere ad essere fonte di gratificazione per il suo bambino e avverte una sensazione di benessere che rimanda al suo piccolo. Il bambino che sente la mamma star bene, cresce sereno.
Il parere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
Tanti e importanti sono i vantaggi dell’allattamento al seno, che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di allattare esclusivamente al seno per almeno i primi sei mesi di vita del bambino e di mantenere il latte materno fino al primo anno di vita e oltre, pur introducendo gradualmente altri cibi.
Il seno in gravidanza
La mammella è un organo formato da tessuto ghiandolare, costituito da lobi e deputato alla secrezione del latte, da tessuto di sostegno e da tessuto adiposo, che fungono da isolante e da protezione nei confronti degli urti. Ogni lobo è dotato di un tubulo escretore che confluisce in canali più grossi detti dotti galattofori i quali, a loro volta, sbucano all’apice del capezzolo. Quest’ultimo è contornato dall’areola mammaria, una zona circolare più scura rispetto alla pelle, con piccole sporgenze irregolari di origine ghiandolare, chiamate tubercoli di Montgomery.
Già durante le prime settimane di gestazione per effetto di alcuni ormoni, tra cui gli estrogeni e il progesterone, il seno si inturgidisce e può comparire un senso di tensione e di pesantezza. L’areola mammaria si scurisce e i tubercoli di Montgomery diventano più sporgenti, perché pronti a secernere una sostanza grassa che lubrifica e protegge il capezzolo durante la poppata. Verso il quarto mese di gravidanza, dal capezzolo può iniziare a fuoriuscire il colostro; questo non è comunque indice di produzione di latte particolarmente abbondante.
In seguito all’aumento di volume la cute del seno, che ha un’importante funzione di contenimento e di sostegno, tende facilmente a rilassarsi, tanto che possono formarsi smagliature e striature rossastre, causate dalla lacerazione delle fibre elastiche della parte profonda della cute, chiamata derma.
Cura ed igiene – Durante la gravidanza, il seno richiede attenzioni e cure particolari per prepararsi ad allattare bene, mantenendosi in forma. Nel periodo della gravidanza bisogna quindi aiutare il seno, sostenendolo con un reggiseno sempre adeguato al suo sviluppo, meglio se senza ferretto che potrebbe comprimere i dotti. L’indumento deve sempre essere lavato bene, soprattutto se compaiono secrezioni dai capezzoli. Il seno deve essere lavato con cura e idratato.
Bisogna irrobustire i capezzoli con massaggi per prepararli all’allattamento. Alternare docce calde e fredde o massaggiare delicatamente con un guanto non troppo ruvido può aiutare a stimolare il seno e i capezzoli.
L’idratazione cutanea può essere ottenuta usando prodotti specifici. Queste manovre associate a opportuni movimenti eseguiti con la punta delle dita, dalla base del seno verso il capezzolo che va tirato leggermente in fuori, ne favoriscono l’estroflessione e l’elasticità.
Bisogna irrobustire i capezzoli con massaggi per prepararli all’allattamento. Alternare docce calde e fredde o massaggiare delicatamente con un guanto non troppo ruvido può aiutare a stimolare il seno e i capezzoli.
L’idratazione cutanea può essere ottenuta usando prodotti specifici. Queste manovre associate a opportuni movimenti eseguiti con la punta delle dita, dalla base del seno verso il capezzolo che va tirato leggermente in fuori, ne favoriscono l’estroflessione e l’elasticità.
Quando inizia l’allattamento
Lo stimolo alla produzione del latte avviene già durante il parto subito dopo l’espulsione della placenta, quando il livello di estrogeni e progesterone, ormoni femminili prodotti in grande quantità durante la gravidanza, si riduce bruscamente, mentre aumenta la secrezione della prolattina, un ormone prodotto dall’ipofisi (ghiandola situata alla base del cervello), che stimola la produzione del latte. Nei primi giorni dopo il parto, le mammelle producono un liquido denso e giallastro, chiamato colostro, che oltre a possedere un elevatissimo potere nutrizionale contiene gli anticorpi e altre sostanze in grado di difendere il piccolo dalle infezioni per alcuni mesi dopo la nascita. La suzione del capezzolo stimola la produzione di un altro ormone da parte dell’ipofisi materna, l’ossitocina, che favorisce l’insorgenza della montata lattea. Si tratta di un fenomeno imponente, spesso fastidioso. È caratterizzato da un turgore pronunciato delle mammelle, accompagnato da congestione, aumento della temperatura locale e senso di tensione talora pronunciato. Superata questa fase, che in genere dura 24-48 ore, se il neonato ha iniziato a succhiare regolarmente il latte, i sintomi fastidiosi della montata lattea scompaiono e la secrezione di latte continua senza altri particolari disturbi.
Per assecondare il flusso di latte, può essere utile applicare impacchi caldi o farsi una doccia calda prima di allattare. Impacchi freddi dopo la poppata, invece, possono ridurre la tensione ed il gonfiore del seno. Anche un buon reggiseno da allattamento può aiutare a sostenere il seno pesante dando sollievo; è consigliabile un modello senza ferretto e ad apertura completa della coppa che non comprime il seno. La forma e le dimensioni del seno non influiscono sulla capacità di produrre il latte.
A montata lattea avvenuta, la lattazione viene poi mantenuta grazie alla stimolazione del capezzolo da parte del bambino e allo svuotamento della ghiandola mammaria durante la poppata. La produzione di latte è regolata dalle effettive necessità del neonato: più il bambino succhia e più latte viene prodotto. È molto importante, quindi, non interferire fin dall’inizio con i ritmi di suzione del neonato: mamma e neonato per quanto possibile non devono essere separati (rooming-in) e il neonato va attaccato al seno appena nato e in seguito tutte le volte che lo desidera, senza restrizioni di orario e durata della poppata, né di giorno né di notte.
Fattori che diminuiscono la produzione di latte
- stress
- preoccupazioni
- stanchezza
- dolore
Fattori che aumentano la produzione di latte
- riposo
- attaccare il bambino al seno
- bere
La maggior parte dei neonati allattati al seno richiede inizialmente 8-12 poppate nelle 24 ore. La distribuzione delle poppate nel corso della giornata varia da bambino a bambino e non ha regole fisse. È preferibile allattare a richiesta, ogni volta che il bambino dà segno di essere affamato, per esempio quando muove la testa da un lato e dall’altro, si succhia il pugno o le mani, apre la bocca e fa sporgere la lingua. Non è detto che il bambino affamato pianga, perché il pianto è un segno tardivo di fame. Più che dall’orologio, la mamma deve lasciarsi guidare dal suo istinto e dalla sua esperienza, che le permettono di capire quando il bambino ha fame.
Successivamente, quando la produzione di latte si è stabilizzata, pur mantenendo l’allattamento a richiesta è meglio rispettare intervalli di almeno due/tre ore tra un pasto e l’altro, per evitare ritmi troppo pressanti per la mamma, che non le lasciano tempo per il riposo di cui ha tanto bisogno, e per permetterle di gestire meglio la sua vita sociale.
L’allattamento a orari fissi, che garantisce il fabbisogno di nutrimento, è invece consigliabile per i bambini “pigri” che succhiano con poca energia (per esempio quelli con ittero neonatale). Questi neonati vanno svegliati spesso e nutriti con pasti piccoli e frequenti.
L’allattamento a richiesta instaura una relazione mamma-bambino, fondata sulla fiducia del neonato di ricevere dalla mamma un giusto soddisfacimento dei propri bisogni. Nei primi mesi di vita, succhiare non significa solo nutrirsi, ma crescere emotivamente. La sicurezza del bimbo di essere amato, la sua tranquillità, il suo equilibrio sono certamente influenzati dal modo in cui il bimbo viene allattato.
Attaccare il bambino al seno
Posizionare e attaccare bene il neonato
Affinché il neonato sia nelle condizioni migliori per succhiare in modo sufficiente con il minimo sforzo, è importante che sia attaccato al seno in maniera corretta.
Posizione a “C”
Dal momento che la poppata può richiedere da pochi minuti a più di mezz’ora, è consigliabile che la mamma si segga in un posto tranquillo, che le permetta di rilassarsi, e trovi la posizione più comoda per lei e il suo bambino.
Per allattare in maniera corretta, la madre non deve abbassare il busto sopra il bambino, ma è il bambino che deve essere portato al seno.
Il bambino deve essere:
-
in posizione orizzontale,
-
girato verso il corpo della mamma, pancia contro pancia,
-
con il naso davanti al capezzolo e le ginocchia all’altezza dell’altra mammella,
Attacco corretto
-
sostenuto da una o entrambe le braccia della madre.
Una volta trovata una posizione comoda, la mamma deve avvicinare il neonato al seno senza forzarlo, aspettare che il bambino spalanchi la bocca come se sbadigliasse e sporga la lingua. A questo punto, porgendogli il seno, il bambino si attacca e inizia quindi a succhiare. Può essere utile sostenere la mammella non con le dita disposte a forbice (rischiano di fare pressione sui dotti galattofori), bensì con la mano a “C”, con le dita lunghe, il palmo sotto la mammella e il pollice adagiato sopra.
Il neonato è attaccato correttamente quando:
Attacco scorretto
-
la sua bocca è ben aperta e prende oltre al capezzolo anche parte dell’areola;
-
è più visibile l’areola al di sopra del labbro superiore rispetto al labbro inferiore (i dotti galattofori sono spremuti dal movimento della lingua);
-
il mento e il naso del neonato toccano il seno;
-
le suzioni sono inizialmente più rapide e diventano poi lente e profonde, perché il latte all’inizio esce più velocemente ed è più liquido;
-
il neonato deglutisce e non vi sono “schiocchi”, segnali di una suzione a vuoto; le guance sono piene e senza fossette.
Se il neonato è attaccato al seno in maniera corretta, la mamma può provare solo un leggero fastidio e solo per i primi giorni. Se compare dolore, bisogna interrompere la poppata, chiudendo delicatamente con le dita il nasino del neonato e riprovando ad allattare dopo un breve intervallo.
Posizioni per la poppata
Non esiste una posizione ideale per allattare il bambino, perché ogni mamma utilizza quella che ritiene più comoda.
Cambiare ogni tanto la posizione della poppata evita di stimolare sempre la stessa zona del capezzolo, che potrebbe irritarsi, e consente lo svuotamento completo di tutti i dotti.
La posizione classica è quella seduta con il bambino in braccio: la mamma sta seduta comodamente su una sedia bassa o con i piedi poggiati su uno sgabello, in modo che le ginocchia rimangano sollevate e le gambe possano sostenere il bambino ad un’altezza sufficiente per afferrare il seno, senza che quest’ultimo subisca trazioni. Può essere necessario posizionare uno o più cuscini fra le gambe della madre e il bambino.
Alcune donne, invece, possono prediligere la posizione sdraiata, a letto, col bambino a fianco, specie se sono affaticate o se accusano dolore a causa, per esempio, dei punti di sutura del taglio cesareo.
Una terza posizione è quella chiamata a rugby, particolarmente indicata se la mamma è predisposta all’ingorgo mammario, perché favorisce lo svuotamento dei dotti galattofori più profondi. Si tiene il bambino come un pallone da rugby, sostenendone il corpo con l’avambraccio all’altezza dell’ascella materna e il suo capo con la mano in modo che si trovi all’altezza del seno materno. E’ una posizione particolarmente utile in caso di difficoltà ad attaccare il bambino, di parto cesareo, di nasino chiuso del lattante e di allattamento di gemelli.
Durata della poppata.
Non c’è una regola fissa, perché la durata della poppata varia da bambino a bambino. Un bambino può essere soddisfatto in dieci minuti e un altro in venti; la durata della poppata varia anche a seconda dell’ora della giornata e dell’età del bambino, è più lunga nei primi tre o quattro giorni dopo il parto, si abbrevia con il prosieguo dell’allattamento.
Una poppata breve non sarà necessariamente inadeguata se il flusso di latte è rapido e sufficientemente abbondante. Anche il flusso del latte è maggiore nei primi minuti della poppata, in seguito rallenta. Solo nel caso in cui la poppata si prolunghi troppo, consultate il vostro pediatra per farvi consigliare.
È opportuno che il bimbo succhi da entrambi i seni. Potete iniziare la poppata dal lato in cui il neonato si è attaccato per l’ultima volta, lasciandolo succhiare per 15 minuti circa. Quindi attaccatelo all’altro seno. La poppata non dovrebbe durare più di 25 – 30 minuti per evitare che il capezzolo si irriti o che il bimbo succhi a vuoto.
Prima e dopo la poppata
Per evitare la comparsa di irritazioni o addirittura di ragadi, è indicato massaggiare il seno per qualche minuto prima della poppata. È consigliabile quindi lavarsi le mani per prevenire la comparsa di una infezione causata da un fungo – la Candida Albicans – chiamata mughetto, che si manifesta con piccoli puntini bianchi nella cavità orale del neonato. Questa infezione può passare alla mamma durante la poppata e i capezzoli possono presentarsi rossi e dolenti. anche se fastidioso, questo problema è di scarsa rilevanza e facilmente curabile assumendo farmaci prescritti dal medico. Il seno non richiede un’igiene particolare, troppo aggressiva, perché la secrezione delle ghiandole del montgomery garantisce lubrificazione e protezione necessarie.
È importante lavare sempre bene le mani prima di iniziare l’allattamento. Immediatamente prima della poppata potete detergere il seno con acqua tiepida e garza sterile o usare i pratici fazzolettini in commercio, specifici per la detersione del seno in allattamento, accertandovi che i componenti siano naturali e che non necessitino di ulteriori risciacqui. Verificate anche che non contengano tensioattivi che seccano la pelle o profumi in quanto potrebbero modificare l’odore naturale della mamma e disturbare il bambino. Dopo la poppata lavate il seno con acqua tiepida e senza sapone, lasciandolo anche per quanto possibile esposto all’aria. In caso di perdite di latte è bene utilizzare solo coppette assorbilatte studiate per garantire traspirazione e quindi pelle sempre asciutta. è molto utile spalmare periodicamente qualche goccia del proprio latte sui capezzoli e sull’areola, soprattutto in caso di ragadi; il latte materno ha infatti proprietà sterilizzanti, idratanti e cicatrizzanti. Prima di attaccare il bimbo al seno verificate che il suo nasino sia ben libero ed il bimbo possa respirare, altrimenti usate l’apposita soluzione fisiologica.
Quando smettere di allattare al seno
Non esiste un momento preciso per smettere di allattare. l’allattamento può continuare anche oltre il momento dello svezzamento, integrando il latte materno con un dieta solida o semi solida indispensabile dal 6° mese. seguendo queste modalità, come suggerisce l’organizzazione mondiale della sanità, l’allattamento al seno può proseguire anche oltre l’anno di vita del bambino.
A volte è il desiderio materno che spinge la mamma a prolungare l’allattamento come momento di coccola e contatto. È bene che la mamma intuisca quando l’allattamento al seno non è più prioritario per il bambino e quando è bene favorire il distacco e l’indipendenza reciproca.
È possibile mantenere un buon rapporto tra genitori e figlio dopo l’anno di età anche sviluppando momenti di relazione diversi, fatti di piccole ma importanti esperienze comuni.
È possibile mantenere un buon rapporto tra genitori e figlio dopo l’anno di età anche sviluppando momenti di relazione diversi, fatti di piccole ma importanti esperienze comuni.
Alimentazione durante l’allattamento
Affinché la secrezione lattea continui con regolarità e il latte sia ben tollerato, nel corso dell’allattamento la mamma deve seguire una dieta sana ed equilibrata, ricca di fibre, liquidi, sali minerali e vitamine, con un buon apporto di calorie (almeno 600 calorie in più) per far fronte alle richieste nutrizionali proprie e produrre un’adeguata quantità di latte.
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se la mamma deve seguire una dieta priva di latte e latticini, è utile integrare la dieta con calcio.
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è fondamentale, inoltre, bere tanto, soprattutto nella stagione calda, sotto forma di acqua, tisane, bevande analcoliche, possibilmente non gassate.
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meglio non consumare alimenti “ light “ perché contengono zuccheri sintetici che tendono a fermentare: questo potrebbe provocare disturbi intestinali alla mamma e coliche gassose al neonato.
Salvo casi particolari, per esempio in caso di allergia o intolleranza ad alcuni cibi da parte dei genitori o dei fratelli del neonato, che vanno segnalate al pediatra, sono poche le limitazioni alla dieta della mamma che allatta:
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caffè: preferibilmente decaffeinato, 1-2 tazzine al giorno;
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tè: preferibilmente deteinato;
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vino e birra: al massimo mezzo bicchiere di vino o una lattina di birra a pasto;
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cibi che danno un gusto particolare al latte o che possono causare al lattante disturbi: da evitare cavoli, carciofi, cipolle, aglio, asparagi, cioccolato, aromi, spezie, crostacei.
Cosa eliminare
Il fumo va eliminato o comunque drasticamente ridotto, in quanto la nicotina può passare nel latte, causando agitazione, diarrea e nausea. da eliminare anche i superalcolici.
la mamma che allatta al seno deve svolgere una vita tranquilla, farsi aiutare nelle faccende domestiche per concentrarsi il più possibile sul bambino, deve dormire a sufficienza ed essere sicura di poter allattare il figlio per tutto il tempo necessario. traumi psichici, emozioni violente o stress psicologici rappresentano infatti cause importanti di diminuzione o scomparsa della secrezione lattea. è consigliabile, inoltre, fare qualche passeggiata per riattivare la circolazione, favorire l’attività dell’intestino e il recupero fisico.
Difficoltà della mamma
Allattamento materno, problemi
Durante l’allattamento, soprattutto nelle fasi iniziali più delicate, possono presentarsi diversi problemi, da parte della mamma o del bambino, di ordine medico, psicologico o sociale, che possono rendere difficile o impedire la prosecuzione dell’allattamento. spesso alcuni di questi problemi possono essere superati, soprattutto se la madre desidera allattare e ha l’aiuto fisico e psicologico del partner, di coloro che le stanno vicino o degli operatori sanitari. Possono essere utili i supporti pratici specifici in commercio. In altri casi, su consiglio del pediatra, è necessario passare da un allattamento materno esclusivo a un allattamento misto o, talvolta, ad un allattamento totalmente artificiale.
Difficoltà materna
Non avviene la montata lattea
la reale impossibilità del seno a produrre latte è caso estremamente raro, ma può accadere che la montata lattea non si verifichi. In questo caso, come pure nel caso in cui la produzione di latte cessi o diventi insufficiente per i fabbisogni del bambino, sarà il pediatra a consigliare alle mamme se ricorrere al latte artificiale.
Utilizzo di farmaci
Poiché i farmaci possono passare nel latte materno, anche se in quantità molto modeste, durante l’allattamento è meglio non assumere medicine. In caso di necessità è bene chiedere consiglio al medico.
Ragadi
Le ragadi sono frequenti, specialmente nelle donne che hanno iniziato da poco e per la prima volta ad allattare al seno. si tratta di piccole fessurazioni, situate alla base, nel mezzo o all’apice del capezzolo, facilmente sanguinanti e molto dolorose, specialmente durante la suzione. Il dolore può divenire acuto, tanto da scoraggiare la mamma ad attaccare il bimbo al seno. occorre curarle immediatamente, per evitare l’ingresso di germi comunemente presenti sulla pelle con conseguenti infiammazioni alla ghiandola mammaria (mastite).
è possibile una efficace prevenzione delle ragadi:
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ponendo particolare attenzione alla corretta posizione del bambino durante la poppata
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pulendo scrupolosamente il capezzolo, prima e dopo la poppata, evitando l’uso di saponi o detergenti
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mantenendo i capezzoli asciutti ed esposti all’aria
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sostituendo frequentemente le coppette assorbilatte, preferendo quelle traspiranti.
Per la cura è consigliato:
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l’uso degli specifici dischetti Idrogel
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spalmare sul capezzolo qualche goccia del proprio latte che ha caratteristiche sterilizzanti, idratanti, cicatrizzanti.
Durante la poppata, potete proteggervi con i paracapezzoli.
Capezzolo piatto o retratto
L’estroflessione del capezzolo, che nella maggior parte delle donne consegue alla sollecitazione dell’areola, è invece debolissima nel caso di capezzoli appiattiti. Ancora più rara è la situazione in cui i capezzoli non solo non diventano eretti, ma, se stimolati, tendono a ritirarsi verso l’interno. In questi casi si parla di capezzoli retratti.
Avere i capezzoli piatti o retratti non significa però non poter allattare, in quanto il bambino non prende soltanto il capezzolo ma a tutta l’areola. sicuramente però il bimbo avrà delle difficoltà ad attaccarsi e l’allattamento sarà più faticoso. Per facilitare la poppata è necessario mettere in pratica alcuni accorgimenti. È’ consigliabile utilizzare, naturalmente sempre su consiglio del ginecologo o dell’ostetrica e non prima del quinto mese di gravidanza, gli estroflettori che stimoleranno la fuoriuscita del capezzolo. Gli estroflettori possono essere utilizzati anche dopo il parto, immediatamente prima della poppata. Il resto verrà fatto dai movimenti di suzione del bambino che provvederanno a modellare il capezzolo nel migliore dei modi. anche l’utilizzo di paracapezzoli, in presenza di questo problema, potrà agevolare l’allattamento.
Ingorgo mammario
Si tratta di un importante aumento della consistenza e della tensione mammaria, accompagnato da gonfiore, rossore, dolore, aumento della temperatura locale, a seguito di un ristagno di latte nei dotti galattofori e nella ghiandola mammaria. questo fenomeno provoca, a sua volta, una sofferenza delle cellule secretrici del latte, con conseguente diminuzione della produzione di latte. L’ingorgo mammario è importante perché può predisporre alla comparsa di mastite (infezione della mammella) con febbre anche elevata. La causa principale del problema è una insufficiente suzione del lattante che non consente di svuotare il seno. La suzione a richiesta può prevenire questa condizione, così come svuotare il seno, dopo ogni poppata, mediante spremitura manuale o con un tiralatte.
I rimedi sono rappresentati da:
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allattare più spesso (iniziando dalla mammella più turgida);
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spremere dolcemente la mammella durante l’allattamento, chinandosi verso il bimbo, per favorire l’apertura dei dotti ostruiti, “ammorbidire” la mammella e quindi favorire la suzione da parte del lattante;
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effettuare impacchi locali caldo-umidi che favoriscono la fuoriuscita del latte.
Mastite
Si tratta di un’infiammazione acuta, causata da germi che colonizzano la cute – in particolare lo stafilococco aureo – che, in certe condizioni di temperatura e umidità e grazie alle sostanze nutritive contenute nel latte materno, si riproducono nella ghiandola mammaria. Il seno diventa molto caldo e dolente, possono comparire febbre e rossore. nel dubbio di mastite, se i sintomi sopra descritti non migliorano dopo 6 ore, occorre rivolgersi al medico.
Rimedi:
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assumere antibiotici per almeno dieci giorni, su prescrizione del proprio medico;
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stare a riposo fino alla guarigione;
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continuare con l’allattamento a richiesta;
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ricominciare le poppate dal seno non infiammato;
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effettuare docce di acqua tiepida prima della poppata;
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spremere, dopo ogni poppata, delicatamente il latte dal seno dolente, manualmente o con un tiralatte, per svuotarlocompletamente;
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applicare impacchi freddi dopo la poppata.
Abbondanza di latte o necessità di allontanarsi dal bambino
In questi casi si può estrarre il latte per poi conservarlo e somministrarlo al bambino quando necessario. dopo ogni utilizzo, tutte le parti del tiralatte che vengono a contatto con il seno materno e con il latte vanno smontate, lavate e risciacquate accuratamente. vanno poi sterilizzate dopo ogni uso almeno fino al 5° mese del bambino.
Chiedi alla tua ostetrica di fiducia di mostrarti le modalità di spremitura manuale del latte, oppure puoi fare uso di un tiralatte, pratico e veloce, meglio se dotato di valvola per regolare l’intensità di estrazione e quindi più delicato. È consigliabile far fluire il latte direttamente negli appositi contenitori sterilizzabili e a chiusura ermetica.
Se è necessario conservare il latte, è bene riempire il contenitore con la quantità di latte necessaria per una sola poppata, chiudere bene il tappo e applicate l’etichetta con la data di estrazione. Il latte si conserva a temperatura ambiente per circa 8 ore, in frigorifero fino a 72 ore, nel freezer per non più di 3 mesi e nel congelatore a – 18°c per non oltre 6 mesi.
Il latte va scongelato a temperatura ambiente e prima della poppata va riscaldato a bagnomaria, con lo scaldabiberon o in microonde: prima di somministrarlo al bambino, occorre agitare dolcemente il contenitore per uniformare la temperatura del latte. I contenitori compatibili con ghiera e tettarella vi consentono di dare il latte al piccolo senza ulteriori travasi.
Se è necessario conservare il latte, è bene riempire il contenitore con la quantità di latte necessaria per una sola poppata, chiudere bene il tappo e applicate l’etichetta con la data di estrazione. Il latte si conserva a temperatura ambiente per circa 8 ore, in frigorifero fino a 72 ore, nel freezer per non più di 3 mesi e nel congelatore a – 18°c per non oltre 6 mesi.
Il latte va scongelato a temperatura ambiente e prima della poppata va riscaldato a bagnomaria, con lo scaldabiberon o in microonde: prima di somministrarlo al bambino, occorre agitare dolcemente il contenitore per uniformare la temperatura del latte. I contenitori compatibili con ghiera e tettarella vi consentono di dare il latte al piccolo senza ulteriori travasi.
Se non puoi allattare al seno
Allattamento misto.
Nel caso in cui la mamma abbia dubbi sul buon proseguimento dell’allattamento naturale, il pediatra potrà valutare la situazione ed eventualmente consigliare un’ integrazione di latte artificiale da somministrare con il biberon, il cosiddetto allattamento misto.
Il lattante viene nutrito con latte artificiale in aggiunta al latte materno.
L’allattamento misto consente, pertanto, di mantenere la secrezione lattea e di non privare completamente il bambino dei benefici del latte materno.
L’allattamento misto può essere: a) complementare; b) alternato.
Allattamento complementare.
Ad ogni poppata il lattante succhia da entrambe le mammelle poi la quantità mancante di latte è sostituita da latte artificiale opportunamente preparato.
L’allattamento misto complementare è consigliato in quanto il frequente stimolo della suzione mantiene attiva la secrezione di latte.
Allattamento alternato.
Nell’allattamento alternato un pasto viene somministrato esclusivamente al seno ed il pasto successivo esclusivamente con il biberon.
Questo sistema è quello più comodo per la donna, che ha più tempo per dedicarsi al lavoro o a sé stessa, ma la ridotta suzione da parte del lattante rischia di arrestare rapidamente la produzione di latte.
Allattamento al biberon.
Il caso in cui una madre non possa allattare per ragioni mediche è l’eccezione più che la regola.
Sarà il vostro medico a consigliarvi e ad informarvi su questi rari casi.
Tuttavia, pur conoscendo i notevoli vantaggi dell’allattamento naturale, esistono situazioni in cui le madri sono costrette o preferiscono ricorrere in tutto o in parte all’allattamento al biberon.
Alcune mamme ritengono che questo tipo di allattamento offra alcuni vantaggi dal punto di vista pratico:
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è sempre chiaramente controllabile quanto mangia il bimbo
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è meno vincolante per la mamma e le lascia più libertà
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con le nuove tettarelle più simili al seno, il bimbo si nutre indifferentemente dal seno o dal biberon senza difficoltà nell’alternanza.
Inoltre, i latti artificiali sono concepiti per simulare al meglio il latte materno: sebbene non possano trasferire al bebè gli anticorpi, gli forniscono tutti i principi nutritivi necessari e rappresentano dal punto di vista qualitativo un validissimo sostituto del latte della mamma.
Il passaggio all’allattamento artificiale non deve essere vissuto dalla mamma come una “sconfitta”, una incapacità ad accudire il proprio bambino, perché la cosa più importante è che il bambino si senta amato e venga nutrito. Inoltre, l’allattamento artificiale presenta i suoi vantaggi.
Dal momento che anche il papà può allattare usando il biberon, la mamma può riposarsi.
Inoltre l’allattamento da parte del papà può favorire l’instaurarsi del rapporto padre-figlio, attenuando così i sentimenti di gelosia, di esclusione e di abbandono che i neo-padri spesso sperimentano.
Il sentimento di paternità è un processo in evoluzione: un padre presente psicologicamente e concretamente nei primi momenti di vita del bimbo, permette l’istaurarsi di relazioni affettive equilibrate all’interno della nuova famiglia.
Dal momento che anche il papà può allattare usando il biberon, la mamma può riposarsi.
Inoltre l’allattamento da parte del papà può favorire l’instaurarsi del rapporto padre-figlio, attenuando così i sentimenti di gelosia, di esclusione e di abbandono che i neo-padri spesso sperimentano.
Il sentimento di paternità è un processo in evoluzione: un padre presente psicologicamente e concretamente nei primi momenti di vita del bimbo, permette l’istaurarsi di relazioni affettive equilibrate all’interno della nuova famiglia.
La sterilizzazione.
Per la preparazione del biberon occorre fare attenzione ad alcuni accorgimenti che tutelino il benessere e la salute del piccolo.
È necessario curare l’igiene della bottiglia lavandone l’interno con acqua corrente ed utilizzando l’apposito scovolino.
Tutti gli accessori del biberon vanno sempre sterilizzati.
Il neonato infatti non ha sufficienti difese immunitarie verso l’ambiente esterno e tutto ciò che entra in contatto con la sua bocca può essere veicolo di infezioni.
È possibile sanitizzare il biberon ed i suoi accessori a freddo, tramite liquidi o compresse igienizzanti o a caldo grazie al potere disinfettante del vapore con apparecchi elettrici o da micro onde.
Se si utilizza il latte in polvere, occorrerà diluirlo in un quantità specifica di acqua, quello liquido dovrà essere versato direttamente nel biberon sterilizzato che verrà riscaldato a bagnomaria, con scaldabiberon o in micro onde.
Prima di somministrare il latte al bimbo, è bene agitare dolcemente il biberon per uniformarne la temperatura e controllare sempre che il latte non sia troppo caldo, versandone alcune gocce sulla parte interna del polso.
È importante che la poppata con il biberon si svolga in un ambiente tranquillo e rilassato, che il bimbo senta il vostro contatto e il vostro amore come accadrebbe nell’allattamento al seno.
Il momento della poppata è per il bimbo un insieme di sensazioni diverse e profonde , di esperienze che lasciano il segno, di comunicazione, amore e tenerezza.
NON E’ VERO CHE
..se la mamma è anemica o ha bassi valori di emoglobina, per esempio a causa di un’eccessiva perdita di sangue durante un parto cesareo, non possa allattare al seno, perché la perdita di ferro durante un intero periodo di allattamento è inferiore a quella che si verifica nel corso di una singola mestruazione.
…il latte con il passare del tempo perda sostanza. Nel tempo il latte diventa più acquoso perché cambia la sua composizione, ma non per questo perde il suo potere nutrizionale.
…la miopia sia un ostacolo all’allattamento al seno. L’allattamento al seno è consentito anche in casi di miopia molto grave, a patto che non vi siano concomitanti lesioni della retina.
…un seno piccolo produca poco latte perchè la produzione di latte non dipende dalle dimensioni del seno.
…un capezzolo piatto o rientrante comprometta l’allattamento al seno, perché il lattante si attacca non al capezzolo ma all’areola mammaria.
…se il neonato non fa il ruttino non ha digerito. Il ruttino è solo il rumore della fuoriuscita dell’aria che si è raccolta nello stomaco durante il pasto e non ha niente a che vedere con la digestione.
…il latte artificiale causi allergie. Perché induca allergie, il fattore dietetico deve associarsi al fattore ereditario, cioè alla ipotetica predisposizione causata dalla presenza di allergie in altri membri della famiglia (fratelli o genitori).
…bere birra aumenta la produzione di latte. In allattamento è consigliato assumere molti liquidi e verdure crude, ricche di acqua. la birra non ha particolari proprietà.
…un bambino allattato al seno ha bisogno di bere acqua quando fa molto caldo, perché il latte materno contiene tutta l’acqua di cui il neonato ha bisogno.
…i bambini allattati al seno hanno bisogno di un supplemento di vitamina D. Il neonato immagazzina questa vitamina durante la vita intrauterina e basta una regolare esposizione al sole durante le passeggiate perché riesca ad avere tutta la vitamina d di cui ha bisogno.
…i bambini allattati al seno hanno bisogno di un supplemento di ferro. Il latte materno contiene tutto il ferro di cui il neonato ha bisogno almeno nei primi 6 mesi di vita.
…se la mamma ha un’infezione debba smettere di allattare. a parte pochissime eccezioni, la migliore protezione per un neonato è continuare ad essere allattato. se il bambino si ammala, il decorso della malattia è più breve se la mamma continua ad allattarlo
…l’allattamento al seno sia controindicato in presenza di vomito o diarrea, perché in queste circostanze il latte materno è l’unico liquido di cui il neonato ha bisogno.
Perché scegliere di allattare
Scegliere di allattare vuol dire offrire al bambino il miglior latte possibile, perché:
è completo e soddisfa al meglio i suoi bisogni nutrizionali, senza bisogno di aggiunte
lo protegge meglio dalle infezioni (intestinali, soprattutto) e dalle allergie
è sempre pronto, a costo zero, alla temperatura ideale
aiuta mamma e bimbo a creare un profondo legame affettivo
Sono veramente eccezionali le situazioni in cui è necessario sospendere, del tutto o temporaneamente, l’allattamento, e sarà il medico a individuarle. Questo libretto si propone di fornire alcuni semplici consigli alle mamme che allattano o si apprestano a farlo e che, soprattutto se alla prima esperienza, possono trovarsi in difficoltà con un compito tanto importante quanto naturale.
Come allattare
Rilassatevi e riposate il più possibile, bevete molto e tenete una dieta la più possibile varia, ricca di liquidi, sali minerali e vitamine e con un buon apporto di calorie (almeno 600 in più al giorno). Non fumate. Mantenete il seno ben pulito, sia per evitare di trasmettere infezioni al vostro bambino, sia per prevenire le ragadi.
In pratica, quando allattate:
1. Lavatevi le mani
2. Con acqua bollita e garza sterile, pulite il seno, muovendo dal capezzolo verso l’areola (la zona scura intorno al capezzolo)
3. Mettetevi comode, sostenendo ad esempio il bambino con qualche cuscino e le gambe con uno sgabello; potete scegliere qualsiasi posizione, ma badate a che il bambino riesca a respirare bene e ad attaccarsi afferrando contemporaneamente capezzolo ed areola; cambiatela spesso, in modo da favorire lo svuotamento di tutti i dotti mammari
Da sedute: tenete il bambino in braccio, girato verso la mamma, con la testa nella piega del gomito, in modo che non sia costretto a girare la testa per arrivare al seno
Da distese: mettetevi sul fianco, col bambino, pure sul fianco, rivolto verso di voi, col capo all’altezza del seno
Nella “posizione rugby”: questa posizione, particolarmente utile in caso di ingorgo mammario, è così chiamata perché il corpo del bambino viene tenuto sotto l’ascella della madre con un braccio, mentre il capo è sostenuto con l’altra mano, proprio come un pallone da rugby
4. Cominciate la poppata una volta con un seno, una volta con l’altro (a meno che vi sia ingorgo mammario, nel qual caso è meglio svuotare prima il seno gonfio e dolente: v. anche il capitolo relativo all’ingorgo mammario)
5. Dolcemente, avvicinate la guancia del bambino al seno, in modo che per istinto egli cercherà il capezzolo
6. Stringete tra pollice ed indice areola e capezzolo: il bambino si attaccherà così facilmente, afferrandoli contemporaneamente
7. Contemporaneamente, con le altre dita, sostenete il seno da sotto, lasciando libera l’areola: in questo modo eviterete che il peso della mammella faccia sfuggire di bocca capezzolo ed areola.
8. Lasciate attaccato il bambino al primo seno per una quindicina di minuti, poi, quando vedete che succhia di meno e prima che si stanchi e si addormenti, staccatelo. Importante, per prevenire le ragadi: nello staccarlo, non allontanatelo lasciando che rimanga appeso al capezzolo, ma infilate un dito nell’angolo della bocca del bimbo e spingete poi il seno verso il basso
9. Dopo un breve riposo di qualche minuto, offrite l’altro seno. Ricordate che la poppata dovrebbe durare in tutto circa 20-30 minuti, per evitare il rischio di irritare il capezzolo e che il bambino succhi a vuoto e ingurgiti aria.
10. Terminata la poppata, aiutate il bambino a “fare il ruttino” tenendolo in posizione verticale col capo appoggiato sulla spalla
11. Dopo la poppata lavate il seno con acqua tiepida e senza sapone, asciugatelo bene (anche col phon, eventualmente), poi copritelo con coppette assorbenti (non quelle con la protezione impermeabile!), che cambierete spesso se umide. Indossate vestiti leggeri e comodi. Lasciate spesso il seno liberamente all’aria, ma non direttamente al sole
Ogni quanto devo attaccarlo ?
E’ una delle domande più frequenti che una mamma che allatta pone al pediatra. L’allattamento, soprattutto nelle prime settimane di vita, non deve seguire orari rigidi: se attaccate il bambino quando mostra di avere fame, senza farlo attendere troppo, eviterete che, succhiando in modo frenetico, possa irritare il capezzolo. In pratica, fintanto che la produzione di latte non si è stabilizzata e il neonato non ha recuperato il peso alla nascita (di solito entro le due settimane di vita), attaccate pure il bambino ogni volta che piange o sembra essere affamato. Poi, pur mantenendo l’allattamento “a richiesta”, è meglio rispettare pause di almeno due ore tra un pasto e l’altro, per evitare alla mamma ritmi spesso difficili da sopportare.
Avrò latte a sufficienza ?
Il bambino, nelle prime settimane di vita, si scarica almeno 4 volte al giorno e bagna almeno 6 pannolini al giorno? Dopo il pasto, appare soddisfatto e si addormenta? Allora di sicuro mangia a sufficienza! Se invece è agitato o piange a lungo dopo la poppata, si attacca molto spesso e a lungo (più di 45 minuti), può sorgere il sospetto che il latte della mamma non sia sufficiente. Anche in questi casi, però, non perdetevi d’animo, ed eventualmente parlatene con il pediatra. Probabilmente il latte è comunque sufficiente se:
1. provate (di solito dopo 2-3 settimane dalla nascita) una sensazione di formicolio o di perdita di latte prima di allattare, o, mentre allattate, nel seno opposto a quello cui è attaccato il bambino
2. il bambino cresce, riacquistando il peso alla nascita entro 10-15 giorni e con un ritmo, nei primi 3 mesi, di 120-250 g alla settimana ( a seconda della sua “stazza”)
Ecco perché si consiglia solitamente la “pesata settimanale” del bambino, nudo, alla stessa ora, prima del pasto.
Viceversa, non è di solito necessaria la “doppia pesata”, prima e dopo il pasto. Eseguita una volta ogni tanto, può essere ingannevole (la quantità di latte a poppata può oscillare considerevolmente da una poppata all’altra) e, comunque, l’ansia che genera finisce per ridurre a sua volta la produzione di latte. Può essere utile solo in casi particolari, in cui si sospetti che il latte non sia sufficiente, ma per poco tempo e a tutti i pasti, in modo da permettere di conoscere la quantità di latte assunta in un intero giorno. Non fate aggiunte di latte artificiale, se non ve ne è la necessità, soprattutto nelle prime 5-6 settimane di vita, perché fanno sì che il bambino stimoli di meno il seno e di conseguenza questo produca meno latte. Per lo stesso motivo, e sempre nelle prime 5-6 settimane, non offrite il biberon con acqua o altre bevande.
Posso mangiare di tutto ?
Salvo casi particolari (ad esempio in caso di allergia dei genitori o dei fratelli del neonato, che vanno segnalate al pediatra), sono ben poche le limitazioni alla dieta della mamma che allatta:
caffè: preferibilmente decaffeinato, non più di 1-2 tazzine al giorno
thè: preferibilmente deteinato
vino e birra: al massimo ½ bicchiere di vino o una lattina di birra a pasto; da evitare i superalcolici!
cibi che danno un gusto particolare al latte: da evitare cavoli, carciofi, cipolle, aglio, asparagi, cioccolato, aromi e spezie
Nel caso in cui la mamma debba seguire una dieta priva di latte e latticini, è utile integrare la dieta con calcio.
Devo assumere dei farmaci…
E’ meglio non assumere farmaci durante l’allattamento, salvo assoluta necessità e su indicazione del medico, in quanto possono sia ridurre la produzione di latte, sia modificarne la composizione, sia passare nel latte e provocare danni al bambino. Alcuni farmaci sono più “sicuri” di altri: paracetamolo, acido acetilsalicilico, amoxicillina ed eritromicina.
In pratica:
1.Segnalate al vostro medico che state allattando, se vi prescrive un farmaco
2.Consultate il pediatra prima di sospendere l’allattamento perchè assumete un farmaco
3.Prendete il farmaco subito dopo la poppata, e aspettate possibilmente alcune ore dopo l’assunzione, prima di riattaccare al seno il bambino
Posso conservare il mio latte ?
Talvolta è necessario “spremere” manualmente il seno, ad esempio per risolvere un ingorgo mammario o per offrire il latte al bambino in un secondo tempo. Più comodamente, si può “tirare il latte” col tiralatte:
1. attenzione all’igiene: lavatevi le mani e usate solo strumenti sterilizzati
2. fate impacchi tiepidi o applicate una boulle tiepida per qualche minuto, per favorire il flusso di latte
3. dopo avere applicato l’imbuto del tiralatte sull’areola, tirate delicatamente ma con regolarità, oppure, con la mano, spremete delicatamente il seno
Per conservare il latte così ottenuto:
1. utilizzate contenitori di plastica (il vetro è sconsigliato, perché sottrae al latte alcune sostanze, che rimangono attaccate alle pareti del contenitore)
2. conservatelo: in frigorifero, per non più di 24 ore, nel freezer del frigorifero per non più di 3 mesi, nel congelatore a -18°C non oltre i 2 anni
3. scongelarlo nel frigorifero o in acqua fredda, non a temperatura ambiente
Quando chiamare il pediatra.
1. Se il bambino cresce meno di 150 grammi a settimana dopo le prime due settimane
2. Se il seno fa male, è caldo o arrossato, soprattutto se avete febbre o compaiono strie gialle di pus nel latte
3. Se il bambino fa fatica ad attaccarsi Se avete dei dubbi sul vostro latte e avete intenzione di sospenderlo
Non è vero che…
1. Se il bambino non fa il ruttino, è segno che non ha digerito (il ruttino è solo il rumore della fuoriuscita dell’aria che si è raccolta nello stomaco durante il pasto, e non ha niente a che vedere con la digestione!)
2. Il bambino non sappia regolarsi da solo
3. Se non si seguono orari rigidi si rischia di dare cattive abitudini o di danneggiare lo stomaco del bambino
4. Il latte può “non avere sostanza” (col passare del tempo, il latte, è vero, diventa più acquoso, perché la sua composizione cambia, ma non per questo perde il suo valore nutrizionale)
L’Obesità Infantile
Introduzione
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia l’allarme: nell’ European Health report 2002, il rapporto sulla salute in Europa nell’anno 2002, pubblicato dall’ Ufficio Regionale Europeo dell’OMS, l’obesità è definita come una vera e propria epidemia estesa a tutta la Regione Europea. “In molti Paesi europei – si legge – più della metà della popolazione adulta si trova al di sopra della soglia di “sovrappeso” e circa il 20-30% degli individui adulti rientra nella categoria degli obesi (“clinically obese”).
L’obesità infantile è in continuo aumento e, in molti Paesi europei, un bambino su cinque è affetto da obesità o sovrappeso. Un preoccupante dato di fatto è rappresentato dalla persistenza dell’obesità infantile nell’età adulta, con conseguente aumento dei rischi per la salute. Un altro aspetto del problema è quello delle ripercussioni psicologiche: infatti, l’obesità infantile comporta spesso una diminuzione dell’auto-stima e persino sindromi depressive”.
Nella recente Conferenza sull’obesità, una sfida per l’Unione Europea, tenuta a Copenhagen l’11 e il 12 settembre 2002, il tema è stato analizzato nella sua gravità.
Questi i punti fondamentali emersi dal dibattito:
* Nel mondo, circa 300 milioni di individui sono obesi;
* Tale numero è destinato ad aumentare, con gravi conseguenze per la salute;
* Il problema è più serio nell’America del Nord ed in Europa, ma è diffuso in aree dove, in passato, non era presente se non in minima entità (Asia, india, Cina, Giappone ed anche alcune regioni dell’Africa e del Sud America, comprendendo così anche alcuni Paesi in via di Sviluppo);
* L’incidenza dell’obesità è raddoppiata in molti Paesi, negli ultimi anni;
* Nell’ultima decade, l’incidenza in Europa è aumentata del 10-50%;
* Secondo uno studio della “International Obesity Task Force”, circa il 4% di tutti i bambini d’Europa e affetto da obesità e tale percentuale è in marcato aumento;
* Si stima che il 2-8% dei costi globali per la sanità sia legato all’obesità;
* La dimensione del problema negli USA è doppia rispetto all’Europa, ma il tasso di aumento nei Paesi Europei è più elevato;
* Gli elementi chiave per la prevenzione ed il trattamento dell’obesità sono identificati nell’alimentazione corretta, nel ruolo delle famiglie e nell’attività fisica;
* Campagne informative di larga portata sono ritenute necessarie per aumentare la consapevolezza del problema in tutti i settori della società, compreso quello del personale sanitario (spesso il personale sanitario non è sufficientemente preparato ad affrontare il problema ed i pazienti sono riluttanti a chiedere assistenza).
Definizione
L’obesità infantile è il risultato di un bilancio energetico positivo protratto nel tempo; in pratica si introducono per molto tempo più calorie di quante se ne consumano.
La definizione di sovrappeso/obesità nel bambino è più complessa rispetto all’adulto, il cui peso ideale è calcolato in base al BMI (Body Mass Index o Indice di Massa Corporea)
peso del soggetto in Kg
BMI =__________________________
l’altezza in metri al quadrato
BMI =__________________________
l’altezza in metri al quadrato
In attesa di trovare dei parametri di riferimento più adeguati, il BMI è stato proposto anche per i più piccoli applicando tabelle di correzione che tengono conto del sesso e dell’età (range 2-18 anni). una volta applicata la correzione si definisce:
Sovrappeso: un BMI fra 25 e 30
Obesità di II grado: un BMI fra 30 e 40
Obesità di III grado: un BMI maggiore di 40
Obesità di II grado: un BMI fra 30 e 40
Obesità di III grado: un BMI maggiore di 40
in alternativa, sapendo che
la crescita dei bambini si valuta facendo riferimento alle tabelle dei percentili, grafici che riuniscono i valori percentuali di peso e altezza dei bambini, distinti per sesso ed età. Le teballe dei percentili che riportimao riguardano il peso e l’altezza e vanno da 0 a 24 messi e poi da 2 a 14 anni
si può definire:
in sovrappeso: un bambino il cui peso supera del del 10-20% quello ideale riferito all’altezza
obeso: un bambino il cui peso supera di più del 20% quello ideale
Se vuoi sapere il peso ideale del tuo bambino clicca su: www.perdipesosystem.it/peso
se vuoi calcolare il peso clicca: www.staibene.it/calcolo+peso
Modus Operandi
Il Dott. Vigliotti non dà terapie a distanza. Risponde solo per consigli e ogni suggerimento deve essere filtrato e supervisionato dal medico curante o dal pediatra di famiglia e non accettato passivamente.
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