Malattia e Morte di un bambino
La morte di un bambino oggi non è accettata! E’ come se i bambini non dovessero mai morire. Molti genitori “non accettano” l’evoluzione grave e progressiva di una malattia,di un incidente stradale, in cui sono coinvolti bambini e altre occasioni traumatiche coivolgenti l’età infantile e ” accettano” qualsiasi terapia affinchè non si arrivi o non si possa arrivare alla morte. Bisogna stare attenti tra due estremi nella cura di bambini e bambine terminali: quello di non fare troppo e quello di fare troppo. E’ opportuno evitare sia l’eutanasia che l’accanimento terapeutico e stare in una giusta posizione, in una situazione di mezzo in cui è molto importante la terapia palliativa e la oresenza del pediatra e dell’equipe. La virtù sta nel mezzo.
E’ necessario una visione più aperta del problema per dare una informazione più dettagliata della malattia o del trauma che ha coinvolto il bambino sia nei riguardi dei genitori che nel bambino ( almeno dai 7 ai 12 anni) e nell’adollescente progressivamente in modo autonomo. Dire la verità e dirla in modo appropriato per il pediatra è un atto di coraggio. Nulla si ottiene se un pò di sacrificio e di abdicazione. la verità, detta in maniera giudiziosa, con sentimento e affetto profondo e delicatamente va sempre detta, rispettando non solo i momenti del vissuto quotidiano ma anche l’età e il periodo di crescita e di sviluppo del bambino.
Prendersi cura del bambino
Durante una malatttia progressiva o durante una evoluzione di un trauma, dopo la parte informativa c’è la parte empatica. Il pediatra deve garantire la qualità della vita del bambino al massimo dei suoi sforzi e delle conoscenze scientifiche e in modo ottimale e prendersi cura della mente , del copro e dell’anima senza distinzione tra le tre dimensioni esistenziali. In contemporanea deve prendersi cura dei genitori e del sistema familiare.
Debbo dire che io, personalmente, come pediatra e psicoterapeuta, quando ho davanti a me un bambino che soffre, dentro di me ripeto il mantra dell’amore dell’ Ho’ hoponomono e dico : mi dispiace, ti prego, perdonami; grazie, ti amo. Lo ripeto centinaia di volte affinchè purificato me stesso, possa vibrare energie positive verso il bambino e verso coloro che sono nel suo mondo.. Non c’è da ridere: la compassione, il perdono, la gratitudine e l’amore sono sentimenti superiori di enorme portata benefica : entrano nell’anima, arricchiscono la mente, tonificano il corpo. In questo modo la luce dela mia anima si diffonda sul bambino e su suoi familiari. Bisogna gestire il dolore fisico ( corpo), la paura ( mente e affetti) e le difficoltà comunicative ( anima) in modo che il bambino possa esprimere liberamente le sue preoccupazioni, le sue ansie, le sue angosce, le proprie emozioni e poter piangere con tranquillità il suo dolore ( senza blocchi).
ll concetto di malattia e di morte nel bambino
Il bambino piccolo può far confusione tra il dolore dovuto alla patologia di cui soffre e dalla sofferenza causata dalla terapia che riceve. Le continue attenzioni, le cuntinue cure e interventi che riceve non sono sempre indolori.
Un bambino nella fase di imprinting ( i primi sette anni di vita) non ha un pensiero operativo o astratto ma un pensiero concreto. C’è la malattia che secondo la mente del bambino può essere dovuto a qualche errore che ha fatto nell’ambito della sua attività di ogni giorno: una disubbidienza per cui è stato punito; una cattiva azione e ora ne paga le conseguenze; forse ha fatto arrabbiare la mamma o il papà ed ecco la risposta al suo comportamento. A secondo l’età del bambino bisogna entrare nella sua mente e sciogliere i suoi piccoli enigmi ponendoci in una situazione di ascolto partecipativo e coinvolgente.Le fantasie inconsce sono straripanti in questo periodo come un fiume in piena e il bambino dese essere aiutato a contenerle e ad avere un canale di scarico.
Il bambino nei primi tre anni di vita prima della nascita della coscienza non sa cosa è la morte. Dopo i tre anni la morte appare al bambino come separazione di qualcosa ( in genere la separazione è avvertita come momentanea e il bambino si aspetta che la persona “morta” possa ritornare). In seguito piano piano appare il concetto di irreversibilità e di universalità della morte ma non è sempre e da tutti comprensibile. Verso i 5 anni il concetto di morte si struttura sempre di più e dopo i sei anni si evidenzia il quadro relaistico della perdita in tutta la sua chiarezza e tragicità . Tuttavia si osservano tanti bambini anche piccoli che nel momento della sofferenza più acuta sono consapevoli di qualcosa di grave dentro di loro. D’altra parte si osserva anche che una buonapercentuale di bambini riesce a entrare nel concetto della morte come concepita dagli adulti, solo dopo gli 10 anni.
Verso la morte, verso la fine
Quando siamo agli ultimi istanti e poco prima di morire, la famiglia tutta è riunita attorno al bambino. Ed è giusto che ci sia anche il pediatra che l’ha seguito nell’ultimo percorso sia per il bambino sia per i genitori. Non conviene fuggire. A volte ci nascondiamo con la fatidica frase: “abbiamo fatto tutto il possibile”.
Cosa fare?
Bisogna seguire il bambino nel suo percorso. “Esserci” è fondamentale per aiutare il bambino. “Esserci ” è essenziale senza forzare il porcesso comunicativo. Inoltre la presenza del pediatra tende ad aiutare i genitori ad accogliere e a rispettare la morte, a dialogare nel silenzio dei singhiozzi dell’ultimo istante, a sopportare il dolore umano della mamma e del papà e di coloro che hanno amato il bambino. Ogni bambino che nasce ci ricorda che il mondo è bello e Dio non si è dimenticato della terra e dei suoi abitanti; ogni bambino che muore ci ricorda che un amore visibile è diventato invisibile.